Vincitori e sconfitti: Polonia, Romania, Ungheria e Bulgaria
1.5.1. LA “ SECONDA REPUBBLICA POLACCA ”
Vincitori e sconfitti: Polonia, Romania, Ungheria e Bulgaria
1.5.1. LA“SECONDA REPUBBLICA POLACCA”
Cancellata dalle mappe geografiche in seguito alle tre partizioni della seconda metà del Settecento, la Polonia tornò a esistere come Stato indipendente nell’autunno 1918 sotto il nome di Repubblica di Polo- nia (Rzeczpospolita Polska). Sulla ricostituzione di uno Stato polacco le potenze dell’Intesa si erano accordate già nel corso della guerra ed essa figurava anche nei 14 punti del presidente americano Wilson. L’opinione pubblica occidentale considerava come un atto di dove- rosa giustizia storica la rinascita di un’antica nazione europea. Tutta- via, l’esistenza di uno Stato assai vasto e popoloso (388.600 km2; 27
milioni di abitanti nel 1921, saliti a quasi 35 milioni nel 1939) nel cuore dell’Europa centrale, al quale appartenevano territori abitati da comunità non polacche, si scontrava con gli interessi di tutti i nuovi vicini. Le dispute più spinose, con la Germania, vennero solo parzialmente risolte dai trattati di Versailles. La città portuale di Danzica (Gda ´nsk), a maggioranza tedesca ma vitale per l’economia polacca, venne dichiarata territorio “libero”, indipendente sia dalla Germania che dalla Polonia, assieme a 200 villaggi circostanti. La cit- tà avrebbe separato il nuovo Stato tedesco dai suoi territori della Prussia orientale (con capitale Königsberg, l’attuale Kaliningrad). Un arbitrato internazionale divise, inoltre, la regione etnicamente mista della Slesia fra i due Stati, attribuendo alla Polonia la parte orientale, più industrializzata. Le frontiere definitive della Polonia ricostituita furono stabilite solo a cinque anni dalla fine della guerra, nel marzo 1923, in seguito alla serie di conflitti armati di diversa scala (con la Russia bolscevica, la Lituania, la Germania – in alta Slesia –, la Ceco- slovacchia per il distretto di Teschen) che il giovane Stato sostenne con i suoi vicini50.
All’insicurezza esterna si accompagnarono continue turbolenze politiche interne, che caratterizzarono le vicende della “seconda re- pubblica polacca” sino alla sua cancellazione nel 1939. Come negli altri paesi dell’area, molti dei suoi conflitti politici e sociali interni as- sumevano una connotazione etnica. Secondo il censimento del 1931, solo il 69% della popolazione si dichiarava polacco, il 14% ucraino e ruteno, l’8,6% ebreo, il 3,1% bielorusso, il 2,3% tedesco, mentre un altro milione di cittadini aveva origini lituane, russe, ceche o arme- ne51. Contrariamente allo stereotipo della Polonia come “paese catto-
fessionalità: i fedeli romano-cattolici formavano il 62-64% della po- polazione, seguiti da un 12% di cattolici di rito greco, un 11% di ortodossi, un 10% di israeliti e un 3-4% di protestanti (soprattutto evangelico-luterani). Il carattere multiconfessionale delle élite politi- che e culturali faceva sì che la lingua, la cultura e l’appartenenza alla comunità politica marcassero i confini identitari assai più della reli- gione. Come nel caso della Jugoslavia, il problema polacco non risie- deva semplicemente nel carattere multietnico dello Stato, ma nel fatto che la “seconda repubblica” si componeva di territori provenienti da diversi imperi, le cui regioni si trovavano in stadi di sviluppo econo- mico, civile e culturale assai diversi. Nonostante la sua popolazione vivesse prevalentemente in un contesto rurale, oltre alla capitale, Var- savia, la Polonia disponeva come nessun altro paese della regione di grandi centri regionali (Cracovia, Pozna ´n, Leopoli, Vilnius, /Lód´z, Lu-
blino), dotati di una struttura economica avanzata. La regione della Slesia era fra le più industrializzate d’Europa; per converso, le pianu- re orientali della Galizia e della Volinia (oggi parte di Ucraina e Bela- rus) si collocavano fra le aree più depresse e meno collegate dell’inte- ro continente.
Unificare non solo questi microcosmi linguistici e culturali, ma anche questi sottosistemi amministrativi e giuridici si rivelò un com- pito improbo. Dal 1918 fino alla morte, avvenuta nel 1935, protago- nista assoluto della vita politica polacca fu il maresciallo Józef Pi/l-
sudski, comandante in capo delle truppe polacche e capo provviso- rio dello Stato dal 1918 al 1922, e in seguito artefice, grazie a un colpo di Stato, di una serie di governi autoritari (1926-35). Nel 1921 Pi/lsudski si ritirò dalla politica, in polemica con l’approvazione di
una Costituzione che prevedeva un regime parlamentare bicamerale a suffragio universale maschile e femminile, con a capo un presiden- te della repubblica eletto per sette anni dal Parlamento e titolare di poteri assai limitati. Nel 1922 il partito democratico-nazionale pre- valse sul partito socialista al quale apparteneva Pi/lsudski, ma negli
anni seguenti nessun uomo politico si dimostrò in grado di costruire governi stabili, mentre coalizioni di destra e di sinistra si succedeva- no nel mezzo di una grave crisi economica. Nel 1923 gli effetti dell’i- perinflazione tedesca misero in crisi la valuta polacca. Il marco ven- ne sostituito nel 1924 dallo z/loty, ancorato al franco svizzero, nel-
l’ambito di un consolidamento bancario cui si accompagnarono ri- forme intese ad alleviare le tensioni sociali. La riforma agraria attua- ta a più riprese fra il 1920 e il 1924 aveva nel frattempo limitato la dimensione massima dei latifondi a un’estensione di 180-300 ettari, a
seconda delle aree geografiche, distribuendo quasi 3 milioni di ettari ai contadini52.
Nel maggio 1926 Pi/lsudski assunse i pieni poteri attraverso un
colpo di Stato e dette inizio a un regime denominato sanacja (risana- mento), nel quale si mescolavano elementi pluralistici (le elezioni “pulite” del 1928, che portarono alla formazione di un governo che si fondava sull’appoggio parlamentare del “blocco governativo” dei so- cialisti e dei partiti nazionalisti) e su tendenze autoritarie e nazionali- ste. Fino al manifestarsi degli effetti della recessione mondiale, la sa-
nacja garantì stabilità politica e un importante consolidamento econo-
mico e sociale. Nel 1930, tuttavia, un conflitto con le opposizioni par- lamentari di destra e di sinistra, che avevano riunito un congresso “per la difesa della legge e della libertà del popolo”, si concluse con l’arresto dei capi dell’opposizione e lo scioglimento d’imperio delle assemblee parlamentari53. Nel frattempo, la comparsa di violenti mo-
vimenti separatisti nelle terre orientali popolate da ucraini e la forte recessione (il reddito nazionale crollò di un quarto nel periodo 1929- 33) spinsero Pi/lsudski a una maggiore attività internazionale per la
difesa e la sicurezza del paese. Negli anni che seguirono la presa del potere da parte di Hitler, la Polonia firmò trattati di non aggressione sia con l’Unione Sovietica (1932), sia con la Germania (1934). Pi/lsud-
ski morì nel maggio 1935, mentre il Parlamento si accingeva a pro- mulgare una nuova Costituzione che, attraverso il concetto di “demo- crazia articolata”, introduceva un ordinamento di tipo corporativo e aboliva di fatto le istituzioni parlamentari. Fino al 1939 la dittatura parlamentare di Pi/lsudski venne sostituita da quella dei “colonnelli”
(il nuovo capo dello Stato Ignacy Mo´scicki, il ministro degli Esteri Józef Beck), sotto la quale si rafforzarono i tratti autoritari e antisemi- ti del regime politico creato a partire dal 192654.
Il partito comunista operaio polacco (Komunistyczna Partia Pol-
ski – KPP), fondato nel dicembre 1918 dall’unificazione di due parti-
ti marxisti, svolse un ruolo secondario nella vita politica polacca in- terbellica. Ciò era dovuto, in primo luogo, al grave deficit di legitti- mazione nazionale del quale esso soffriva: il partito si era dichiarato contrario alla fondazione di uno Stato polacco e nel 1920 i suoi diri- genti avevano appoggiato l’Armata rossa in guerra con la Polonia. Nel 1922 il KPP arrivò a suggerire la cessione delle terre orientali
all’URSS e dell’alta Slesia alla Germania in nome del diritto di auto-
determinazione dei popoli. Dal 1923 al suo interno operavano grup- pi autonomi in Ucraina occidentale e in Belarus. Negli anni successi- vi, il partito fu dominato dalle lotte interne fra i “maggioritari”, che riconoscevano lo Stato borghese e partecipavano alle elezioni, con il
6,9% dei voti nel 1928 e il 2,1% alle elezioni truccate del 1930, e i “minoritari”, appoggiati da Stalin e sostenitori di una linea radicale. L’origine ebraica di molti suoi dirigenti, inoltre, contribuì al rapido diffondersi dello stereotipo antisemita dell’equivalenza di ebraismo e movimento comunista. Ciò suonava particolarmente assurdo nel caso polacco, dove solo una percentuale insignificante degli oltre 3 milio- ni di ebrei polacchi – molti dei quali legati agli ideali nazionali “bor- ghesi” – manifestava simpatia per il movimento operaio. Fiaccato dalla repressione poliziesca seguita alla sanacja, quello comunista di- venne, come nella maggior parte dell’Europa orientale, un partito di emigrazione. Nel 1935-37 l’appoggio ai fronti popolari creati in Spa- gna e Francia lo rese gradito a buona parte dell’intellettualità po- lacca di sinistra, ma ogni simpatia venne cancellata dalla catastrofe del 1938, quando i vertici del partito furono fisicamente liquidati nel corso delle purghe staliniste, e il Komintern decretò lo scioglimento del partito stesso55.