Gli alleati/satelliti del Reich
2.5.2. LA ROMANIA DEL MARESCIALLO ANTONESCU
Le gravi perdite territoriali (oltre un terzo del territorio nazionale) subi- te nell’estate 1940 per mano sovietica, ungherese e bulgara determinaro- no una gravissima crisi politica in Romania. Re Carol II, ritenuto respon-
sabile del disastro, venne costretto il 6 settembre dal nuovo primo mini- stro, il maresciallo Ion Antonescu, ad abdicare in favore del figlio Mi- hai. Il giovane sovrano emise un decreto che accordava al suo premier poteri semidittatoriali e la qualifica di “duce” (conduc˘ator) dello Stato, ma confermava anche il diritto del sovrano a nominare il presidente del Consiglio. Tale dettaglio passò inosservato per quasi quattro anni, ma sarebbe risultato decisivo per la riuscita del colpo di Stato dell’agosto 194463.
Il 15 settembre 1940 Antonescu, divenuto capo di ciò che egli defi- nì uno “Stato nazionale legionario”, formò un governo di coalizione con l’estrema destra guidata da Horia Sima, che controllava i ministeri principali (Interno, Esteri, Istruzione e Propaganda) e quasi tutte le prefetture. Il gabinetto restò in carica fino al gennaio 1941 e perseguì
una dura politica antisemita e di intimidazione violenta degli opposito- ri. L’assassinio politico, già utilizzato dalla Guardia di ferro negli anni trenta, divenne uno strumento di governo e costò la vita a oltre 60 personalità, tra cui lo storico Nicolae Iorga. Le tensioni in seno all’e- strema destra, divisa sul giudizio intorno all’“impolitico” Antonescu, esplosero il 21-23 gennaio 1941 con la rivolta lanciata in tutto il paese dal movimento legionario. Essa si accompagnò a pogrom antiebraici soprattutto a Bucarest, dove si contarono centinaia di vittime, e venne repressa nel sangue dall’esercito, costringendone i capi a rifugiarsi in Germania64. Fino all’agosto 1944 Ion Antonescu rimase a capo di un
regime militare alleato della Germania nazista, sul cui carattere e sulle cui responsabilità la storiografia romena e internazionale ha molto di- battuto. Militare di carriera e “servitore dello Stato” sin dal tempo del- le guerre balcaniche, Antonescu aveva combattuto contro i tedeschi nel 1916-18 ed era successivamente stato attaché militare a Parigi e a Lon- dra prima di ricoprire la carica di capo di Stato maggiore (1933-34) e ministro della Difesa (1937-38). La sua predisposizione culturale e la sua carriera rispecchiavano il tipico orientamento filofrancese della di- plomazia e degli alti comandi militari romeni dell’epoca. Giunto al po- tere in circostanze drammatiche, Antonescu si propose il consolida- mento delle strutture statali, fiaccate da anni di anarchia e lotte interne, e il rafforzamento della disciplina sociale. Secondo Dennis Deletant, l’assetto istituzionale da lui creato può definirsi una dittatura autoritaria di tipo militare, più che un regime totalitario di tipo fascista, sostenuto da un’ideologia forte65. Rispetto al nazionalsocialismo e al fascismo ita-
liano, “policentrici” e incarnati da burocrazie in continua competizio- ne, lo Stato di Antonescu era fortemente accentrato e personalistico: gli apparati burocratici, anche periferici, obbedivano unicamente al condu-
c˘ator, ignorando i suoi ministri e collaboratori. Nonostante il bando dei
partiti di opposizione, Antonescu tollerava, tuttavia, un certo dissenso e prestava orecchio alle critiche rivolte al regime dai leader degli ex parti- ti dominanti, il nazional-contadino Iuliu Maniu e il liberale Constantin I. C. Br˘atianu.
L’antisemitismo costituì un tratto fondante della dittatura antone- sciana. Nel 1941 il conduc˘ator e i suoi collaboratori videro nella campa- gna militare a Est e nello sterminio delle popolazioni “ostili” un’oppor- tunità unica e irrinunciabile di «purificazione della razza romena»66.
La brutalità delle persecuzioni condotte dalle autorità romene su ordi- ne esplicito di Antonescu sorprese anche gli alleati tedeschi e suscitò orrore nell’opinione pubblica internazionale. Il pogrom di Ia¸si del giu- gno 1941, che costò la vita a 15.000 persone, venne descritto in termini apocalittici dallo scrittore Curzio Malaparte, inviato di guerra al seguito
dell’operazione Barbarossa67. Dall’ottobre 1941 al marzo 1942 le trup-
pe romene entrate a Odessa sterminarono l’intera popolazione ebraica dell’importante porto sul Mar Nero. La deportazione e lo sterminio degli ebrei e dei rom in Transnistria (nel caso dei rom, protrattasi fino all’autunno del 1943) provocarono oltre 250.000 vittime tra la comuni- tà ebraica e 11.000 in quella rom. L’olocausto romeno, interpretato a lungo dalla storiografia come una risposta del regime alle pressioni te- desche, emerge dalle ultime ricerche come una serie di azioni autono- me e guidate dalla visione razziale di una Romania “pura”68. Nel
1942-43, lo stesso Antonescu si oppose alla deportazione nei campi di sterminio degli ebrei di Bucarest, della Moldavia occidentale e della Transilvania. Motivata più da opportunismo diplomatico che da con- vinzioni personali, questa scelta contribuì tuttavia a salvare circa 300.000 ebrei romeni. Dopo il 1945 la Romania sarebbe rimasta, per qualche anno, il paese esteuropeo con la più ampia comunità ebraica sopravvissuta alla Shoah.
Negli anni che seguirono l’invasione militare dell’URSS, la vicenda
romena conobbe un’evoluzione speculare a quella ungherese. I due principali alleati di Hitler in Europa orientale condividevano lo stesso obiettivo strategico: il possesso della Transilvania, divisa nel 1940 per mezzo di un accordo che tutti consideravano provvisorio e per il quale necessitavano entrambi dell’appoggio tedesco69. Entrambi cercarono
poi, a partire dal 1943, di uscire dal conflitto negoziando una pace separata con gli alleati occidentali. Nonostante profondesse sul fronte orientale uno sforzo militare ben superiore a quello di qualunque altro alleato (oltre 600.000 uomini nel 1941, quasi il doppio nell’estate 1944), il regime romeno, a differenza di quello di Horthy, riuscì a dare sostanza alla linea diplomatica del doppio binario. I contatti con gli emissari occidentali, e anche sovietici, attivati nelle capitali neutrali (Stoccolma, Ankara, Il Cairo), restarono in buona misura segreti e nel 1943-44, grazie a uno sforzo parallelo, riuscirono ad associare nella di- fesa della causa nazionale non solo i membri del governo, con a capo il primo ministro, Mihai Antonescu (omonimo, non parente del capo del- lo Stato), ma anche gli esponenti più rispettati del sistema politico pre 1938 (in particolare Maniu) e dell’aristocrazia (il principe Barbu ¸Stir- bey)70. A partire dal 1942, inoltre, lo Stato romeno aveva ripetuta-
mente respinto la richiesta tedesca di deportare gli ebrei. Nonostante i due Antonescu conducessero in patria e sul fronte orientale una politi- ca apertamente antisemita, quando non genocida, il rifiuto opposto ai nazisti contribuì a risollevare il prestigio del paese, mentre in Ungheria le deportazioni del 1944 nel giudizio del mondo occidentale segnarono il crollo politico e morale del regime di Horthy.
Come in Ungheria, la situazione giunse a un punto critico nella primavera del 1944. Il 13 aprile il rappresentante sovietico al Cairo comunicò al principe ¸Stirbey le condizioni per un armistizio concorda- te con gli anglo-americani: la definitiva rinuncia alla Bessarabia e alla Bucovina, il pagamento dei danni di guerra, la liberazione dei prigio- nieri di guerra alleati e, soprattutto, assoluta libertà di movimento per l’Armata rossa in territorio romeno. In cambio, i sovietici promisero la restituzione della Transilvania settentrionale e la non interferenza negli affari interni romeni71. In seguito al rifiuto opposto da Antonescu a
queste dure condizioni, l’opposizione si convinse della necessità di libe- rarsi del dittatore e all’inizio di giugno creò un Blocco nazionale demo- cratico che comprendeva non solo i partiti dell’opposizione moderata borghese, ma anche i comunisti. L’incertezza politica, accentuata dai crescenti danni inflitti dai bombardamenti alleati, terminò dopo il 20 agosto, quando l’offensiva sovietica costrinse le forze politiche antifasci- ste all’azione. Antonescu venne deposto e arrestato insieme ai membri del governo tre giorni più tardi, dopo un ulteriore rifiuto opposto al sovrano che gli chiedeva di accettare l’armistizio. Al suo posto re Mihai nominò il generale Constantin S˘an˘atescu, nel cui gabinetto militare en- trarono Maniu, Br˘atianu, il leader socialdemocratico Constantin Titel Petrescu e anche un rappresentante del partito comunista ancora clan- destino, Lucre,tiu P˘atr˘a¸scanu. Il tentativo delle truppe tedesche di oc- cupare Bucarest venne sventato dall’esercito, che si era nel frattempo schierato dalla parte del nuovo alleato sovietico e fu sostenuto da un’insurrezione popolare guidata dal piccolo partito comunista che, al- l’epoca di Ceau¸sescu, la storiografia nazionalcomunista avrebbe trasfor- mato in un’epopea rivoluzionaria72.
Il 31 agosto le truppe sovietiche occuparono la capitale, dalla quale partirono insieme all’esercito romeno per rioccupare la Transil- vania. Da qui, in ottobre, proseguirono per l’Ungheria e nella prima- vera del 1945 si ritrovarono a Praga. Durante questa offensiva cadde- ro altri 110.000 soldati romeni. Fra il 1941 e il 1945 l’esercito pagò il suo immane sforzo con mezzo milione di morti e oltre 200.000 pri- gionieri. Il 12 settembre la Romania firmò con l’Unione Sovietica l’ar- mistizio alle condizioni presentatele ad aprile. La Transilvania setten- trionale, la cui restituzione era l’unica concessione prevista dai termi- ni armistiziali, fu posta sotto sovranità romena dopo che il vicecom- missario sovietico agli Esteri, Andrej Viˇsinskij, ebbe minacciato di ri- vedere la decisione se il re non avesse sostituito il governo militare del generale R˘adescu con un gabinetto “democratico” a guida comu- nista. Il 6 marzo 1945 il leader agrario progressista Petru Groza ven- ne nominato primo ministro; una settimana più tardi, a Cluj, le auto-
rità romene ripresero possesso della Transilvania settentrionale con una cerimonia solenne cui parteciparono anche le autorità militari so- vietiche. Accettando l’appoggio diplomatico di Mosca sul conflitto territoriale con l’Ungheria, i politici romeni contribuirono involonta- riamente a spingere il paese nell’orbita politica dell’URSS73.