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LA CECOSLOVACCHIA DA MASARYK A BENE ˇS

I nuovi Stati: Cecoslovacchia e Jugoslavia

1.4.1. LA CECOSLOVACCHIA DA MASARYK A BENE ˇS

I nuovi Stati: Cecoslovacchia e Jugoslavia

1.4.1. LA CECOSLOVACCHIA DA MASARYK A BENE ˇS

La creazione di uno Stato separato dalla monarchia asburgica divideva il movimento nazionale ceco sin dalla fine del XIX secolo, quando il

fallimento del progetto di trasformazione federalista della monarchia rafforzò ali più estreme del movimento panslavista. Diversi fattori si frapponevano, tuttavia, all’idea di riunire cechi e slovacchi in un’unica patria. In primo luogo, il forte squilibrio economico e culturale fra le due regioni: la Boemia-Moravia apparteneva all’Austria, l’attuale Slo- vacchia all’Ungheria. La coscienza nazionale era più forte tra la popola- zione ceca, dotata di una solida élite borghese, che tra quella slovacca, dove il ceto contadino pareva l’unico depositario dei valori nazionali nel confronto con un’élite ormai largamente assimilata alla nobiltà un- gherese. A ciò si aggiungeva una persistente lealtà dei sudditi all’impe- ro asburgico, percepito (soprattutto nella sua parte boemo-austriaca) come un elemento di stabilità e progresso. Nei primi due decenni del Novecento, fra la comunità ceca e quella tedesca si combatté in Boemia e Moravia un’incruenta quanto accesa “battaglia per le anime”, sulla quale ha fatto luce la recente storiografia studiando movimenti sportivi, associazioni patriottiche, accademie scientifiche od organizzazioni cari-

tative come gli orfanotrofi37. Dopo lo scoppio della Prima guerra mon-

diale, tuttavia, decisivo fu l’appoggio politico delle potenze occidentali alle rivendicazioni dell’emigrazione cecoslovacca – particolarmente atti- va negli Stati Uniti, oltre che a Londra e Parigi. Nel 1915 i rappre- sentanti delle unità nazionali slovacche e ceche firmarono a Cleveland un accordo sulla costituzione di uno Stato federativo comune. Nel maggio 1918 l’accordo di Pittsburgh, che alcuni patrioti slovacchi e cechi firmarono con Tomáˇs Garrigue Masaryk, espresse la volontà di instaurare una repubblica ceco-slovacca democratica con posizione au- tonoma della Slovacchia.

Dai trattati del 1919 emerse uno Stato di dimensioni importanti (140.000 km2, quasi 15 milioni di abitanti nel 1930), basato sul “con-

dominio” delle due nazionalità titolari. I cechi formavano la metà della popolazione complessiva, mentre gli slovacchi il 15%. Nonostante la Costituzione democratica repubblicana, approvata nel 1920, definisse la nuova entità come patria del popolo “cecoslovacco”, il nuovo Stato ripresentava il mosaico nazionale dell’età asburgica. Gli oltre 3 milioni di tedeschi della regione dei Sudeti costituivano il 23% della popola- zione, e gli 800.000 e più ungheresi, oltre il 5% (concentrati in Slovac- chia, dove abitavano nelle principali città). Seguivano poi polacchi, ebrei, rom e numerosi ruteni (quasi 700.000 persone) della regione orientale della Transcarpazia, che le potenze occidentali avevano asse- gnato alla Cecoslovacchia per motivi di sicurezza in funzione antisovie- tica.

La Cecoslovacchia costituì l’unico esempio di democrazia di tipo occidentale nell’Europa centro-orientale interbellica. Rispetto agli altri paesi, il trattamento delle minoranze poteva considerarsi esemplare: nei distretti in cui esse costituivano il 20% della popolazione, fu loro garantita la libertà di utilizzare la propria lingua nella vita quotidiana, nelle scuole e nelle comunicazioni con le autorità. Ciò non significò, tuttavia, l’assenza di conflitti e di prevaricazioni da parte statale (una censura piuttosto rigida nei confronti della stampa tedesca e unghere- se, critica con le autorità; il carattere nazionalista della riforma agraria accompagnata, soprattutto in Slovacchia meridionale, dalla fondazio- ne di villaggi popolati da coloni di etnia ceca)38. I fattori che con-

tribuirono al successo del nuovo Stato furono diversi: la forza delle élite praghesi, l’eredità di un sistema burocratico efficiente come quello asburgico, l’elevata scolarizzazione che favoriva la nazionalizza- zione della popolazione rurale e operaia, ma anche la capacità dei go- verni cecoslovacchi di porre in atto una complessa architettura politi- ca. La Costituzione affidava il potere legislativo a un’assemblea nazio- nale formata da due Camere (Deputati e Senato) elette a suffragio

universale maschile e femminile, diretto, segreto e obbligatorio. Poteri esecutivi molto estesi vennero tuttavia affidati al presidente della re- pubblica, eletto per 7 anni dal Parlamento sul modello francese. Que- sti era comandante in capo delle forze armate, esercitava diritto di veto sulle leggi approvate dal Parlamento, scioglieva le Camere con- vocando nuove elezioni, designava il capo del governo e presiedeva alla nomina dei funzionari pubblici.

Dominatori dei primi venti anni di storia cecoslovacca furono il creatore e principale ideologo dell’esperimento democratico, Tomáˇs Garrigue Masaryk, già riconosciuto dalle potenze occidentali capo del governo provvisorio del 1918, presidente della repubblica dal 1920 al 1935, quando si rititò per motivi di salute; e in seguito, il suo seguace e collaboratore Edvard Beneˇs, che si dimise dall’incarico il 5 ottobre 1938 per protesta contro il patto di Monaco39. In apparenza, per un

ventennio la vita politica del paese fu dominata dalla frammentazione: i partiti rappresentati in Parlamento in ogni legislatura erano mediamen- te oltre venti. In realtà, il quadro politico presentava una sostanziale stabilità, alla quale contribuivano l’autorevolezza e il prestigio interna- zionale di Masaryk. A eccezione del periodo 1926-29, la tenuta del go- verno fu assicurata da una coalizione pentapartito formata da repub- blicani agrari, socialdemocratici, socialisti nazionali, popolari cattolici (dominanti in Slovacchia) e nazionaldemocratici, i quali rappresentava- no gli ambienti industriali e finanziari boemi. A capo del governo vi era generalmente un esponente degli agrari (per gran parte degli anni venti il leader del partito, Antonín ˇSvehla) o dei socialisti nazionali.

Secondo Victor Mamatey, nell’immediato dopoguerra gli slovacchi (in particolare l’influente minoranza evangelica filocecoslovacca) saluta- rono favorevolmente l’arrivo di funzionari qualificati cechi in grado di sostituire la burocrazia ungherese e contrastare le rivendicazioni della minoranza magiara40. L’egemonia della classe politico-imprenditoriale

e della burocrazia praghese su quella slovacca, non priva di arrogante paternalismo, stimolò tuttavia tensioni fra le nazionalità “titolari”. Gli slovacchi, appena liberatisi della pesante tutela ungherese, si sentivano discriminati in quanto “fratelli minori” della nazione ceca. Le richieste di autonomia amministrativa caddero ripetutamente nel vuoto e persi- no la scelta di inviare personale amministrativo ceco a “civilizzare” la metà orientale del paese rifletteva la convinzione, assai diffusa a Praga, che gli slovacchi non fossero in grado di autoamministrarsi. Solo nel 1935 un esponente di spicco della sezione slovacca del partito agrario, Milan Hodˇza, assunse la carica di primo ministro, che utilizzò nei tre anni successivi per appianare il conflitto ceco-slovacco e tentare, al tempo stesso, di rintuzzare le spinte secessioniste che provenivano non

solo dai suoi connazionali, ma anche dai tedeschi dei Sudeti, attratti in misura crescente dal programma hitleriano di riunificazione nel Reich tedesco41. Nonostante il sistema fosse congegnato in modo tale da fa-

vorire la massima rappresentatività, diverse formazioni politiche (i co- munisti, i partiti etnici ungheresi) non ebbero mai accesso al governo. Quanto alla minoranza tedesca, essa appoggiò sino alle elezioni del 1929 formazioni socialdemocratiche, agrarie cristiano-democratiche che propugnavano la sua integrazione nello Stato cecoslovacco. Nel 1935, tuttavia, il neonato Sudetendeutschen Partei, sostenuto dal partito na- zionalsocialista tedesco e vicino alla sua ideologia, si affermò non solo all’interno della comunità tedesca, ma divenne con oltre il 15% il se- condo gruppo parlamentare del paese dopo i repubblicani agrari.

Il partito comunista cecoslovacco (PCC) ricoprì un ruolo piuttosto

importante nel periodo interbellico. Fondato nel maggio 1921, esso nac- que come un partito di massa con oltre 150.000 iscritti, e poté godere di un ampio sostegno popolare: quasi 1 milione di voti (13,4%) nel 1925. Nel 1929, quando il suo segretario generale, Klement Gottwald, su ispi- razione della Terza Internazionale comunista, il Komintern, pronunciò una dura condanna del “socialfascismo” e della democrazia borghese, i suoi consensi calarono al 10%, una percentuale confermata dalle ultime elezioni, svoltesi nel 1935. Il PCC era un partito classista, che si appog-

giava ai ceti operai della Boemia e alle masse contadine di Slovacchia e Rutenia. Nonostante ciò, secondo Gordon Skilling, esso era universal- mente considerato «un legittimo erede della socialdemocrazia austria- ca»42. Da sempre critico nei confronti della Cecoslovacchia masarykia-

na e della democrazia borghese, il PCCseguì l’evoluzione della posizione

sovietica nei confronti dell’integrità territoriale del paese e della sicurez- za collettiva europea. Nel maggio 1935 l’Unione Sovietica firmò con la Cecoslovacchia un patto di collaborazione politica e militare, in funzio- ne antitedesca, che ricalcava quello appena sottoscritto con la Francia. Con questo patto l’URSSsi ergeva a garante della sicurezza cecoslovacca.

Alla fine degli anni trenta, i comunisti si schierarono compatti contro lo smembramento della Cecoslovacchia e il partito, clandestino dal 1939, acquisì una legittimità nazionale che avrebbe conservato durante tutto il secondo conflitto mondiale43.

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