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Capitolo I – L'inizio del conflitto e la questione della neutralità genovese e toscana

I. 3 «Un personaggio tanto prestigioso quanto ingombrante»: la presenza nel porto d

I.4 Corsari dell'imperatore: il caso dei sudditi genovesi

I.4.5 Angelo Maria Rivano e Giacinto Paganetto

Gio. Antonio Lusorio non fu l'unico, tra gli uomini impiegati dal Vario, a non voler rinunciare a scorrere il mare: tra questi vi era anche Angelo Maria Rivano, nipote di Sebastiano Vario, il quale – dopo la definitiva partenza dello zio dal porto labronico – era rimasto a fare da «Capo Custode» agli uomini impiegati a bordo del bastimento. In seguito,

255ASG, Archivio Segreto, Lettere Consoli, 2683, lettera del Console Gavi alla Repubblica di Genova, 13 febbraio 1704.

256Si tratta della barca di Rocco Magnotta di Napoli con un carico di sapone e casse di seta.

257ASF, Mediceo del Principato, 2225, lettera del Governatore di Livorno alla Segreteria di Guerra, 18 febbraio 1704. Il caso forniva l'occasione al Provveditore della Dogana per tornare su un tema a lui caro, già affrontato in questa sede: l'impedimento ai traffici commerciali e le pesanti ripercussioni in termini economici per i mercanti della piazza. Egli accennava, infatti, al «gran rammarico degl'interessati, nel vedersi fare il corso avanti gli occhi, prender le mercanzie che escono da questo porto, o vogliono entrarvi, volerle poi rivedere a proprietary, e resarcirsi, e rinfrescarsi di quello che a' di bisogno, per tornar fuori a far nuove prese ». ASF,

Mediceo del Principato, 1616, lettera del Provveditore della Dogana di Livorno alla Segreteria di Stato, 14

febbraio 1704.

258ASF, Mediceo del Principato, 2225, lettera del Governatore di Livorno alla Segreteria di Guerra, 8 aprile 1704.

259ASF, Mediceo del Principato, 2225, lettera del Governatore di Livorno alla Segreteria di Guerra, 21 aprile 1704.

260ASF, Mediceo del Principato, 1616, lettera del Provveditore della Dogana di Livorno, alla Segreteria di Stato, 20 aprile 1704. Dal Governatore Mario Tornaquinci apprendiamo che il bastimento predato era del patron Guglielmo Geli di Agde e aveva un carico di vino. ASF, Mediceo del Principato, 2225, Governatore di Livorno alla Segreteria di Guerra.

«disperato […] d'uscire con questa barca a fare il corso» il Rivano si era unito a un certo «Paganetti medesimamente genovese», riuscendo ad acquistare una «filuca vecchia» grazie al supporto economico dello stesso Sebastiano Vario. Quest'ultimo, inoltre, consegnò al nipote una somma utile a saldare alcuni debiti che aveva nella città toscana, un dettaglio che si rivela di estrema importanza per capire quale delle ipotesi formulate in precedenza possa essere la più probabile: il corsaro imperiale aveva, plausibilmente, ottenuto profitti tali da ritenersi soddisfatto e scegliere di non correre ulteriori rischi; anche se, ottenuto il perdono della Repubblica, aveva continuato ad agire nell'ombra, aiutando il nipote che lo aveva “succeduto” nella lucrosa attività familiare261.

Come accennato, Angelo Maria Rivano, padrone del bastimento, si accordò a Livorno con Giacinto Paganetto262 – coinvolto in veste di armatore – il quale gli aveva riferito di «havere

patente da guerra, et di volere andare al corso»263, motivo per il quale il Governatore di

Livorno lo ritenne incorso nelle pene previste dal bandato proibitivo. Nel primi giorni del 1704, la malandata feluca – di cui ancora non era nota la vera natura con il Rivano che ne giustificava l'acquisto adducendo alla necessità di compiere viaggi mercantili tra Livorno e Genova – otteneva licenza di partire inalberando bandiera genovese264 Fece ritorno qualche

settimana dopo in veste di «corsara con bandiera imperiale»265, dopo essersi approvvigionata

«d'armi, gente, et altro» nella Fiumara di Pisa266: solo a quel punto, si poté procedere

all'arresto – che il Silva aveva richiesto invano settimane prima267 – dietro sospetto che fosse

rientrata a Livorno per «menar via gente».

Sull'attività di Giacinto Paganetto cadde il silenzio per un paio di mesi fino a quando, ai

261La dimensione familiare delle attività che si svolgono sul mare è un dato ormai ampiamente acquisito dalla storiografia e necessario per intessere quella “rete di solidarietà” indispensabile nell'affrontare rischi e pericoli connessi ad esse. Il concetto viene espresso da M. MOLLAT DU JOURDIN, L’Europa e il mare

dall’antichità ad oggi, Laterza, Roma-Bari, 1996, pp. 214-216: per quanto riferito al caso specifico della

pesca, in realtà esso può trovare applicazione a livello generale. Per un caso ligure si rinvia a L. LO BASSO,

Capitani, corsari e armatori. I mestieri e le culture del mare alla tratta degli schiavi a Garibaldi , Città del

silenzio, Novi Ligure, pp. 73-94.

262Un documento genovese che riporta i nomi dei corsari al servizio dell'imperatore cita i due fratelli genovesi, Giacinto e Giuseppe Paganetti, da tempo abitanti a Livorno. Allo stato attuale delle ricerche, tuttavia, solo Giacinto risulta effettivamente impegnato nell'attività corsara mentre Giuseppe era noto come mercante, proprietario di una bottega di vino nella città toscana, e come padrone di barca.

263ASF, Mediceo del Principato, 2225, lettera del Governatore di Livorno alla Segreteria di Guerra, 16 gennaio 1704.

264ASF, Mediceo del Principato, 2225, lettera del Governatore di Livorno alla Segreteria di Guerra, 4 gennaio 1704.

265ASF, Mediceo del Principato, 1616, lettera del Provveditore della Dogana di Livorno alla Segreteria di Stato, 16 gennaio 1704.

266ASF, Mediceo del Principato, 2225, lettera del Governatore di Livorno alla Segreteria di Guerra , 14 gennaio 1704.

267In effetti, l'acquisto della feluca non era passato inosservato agli occhi dell'attento Silva il quale aveva preteso l'arresto di legno e uomini: la perquisizione richiesta, tuttavia, non aveva fatto emergere indizi che potessero giustificare l'operazione per quanto lo stesso Governatore di Livorno condividesse i sospetti del console spagnolo ritenendo che la barca fosse «destinata per andare in corso» o, più plausibilmente, «portar la gente, et il bisognevole» ad un altro bastimento destinato a questo scopo. Cfr. ASF, Mediceo del

Principato, 2224, lettera del Governatore di Livorno alla Segreteria di Guerra, 24 dicembre 1703.

Di fatto, a Livorno vi era una persona ben al corrente dei fatti: si trattava del Console Gavi, informato dallo stesso Hermen del fatto che la feluca fosse stata comprata al solo scopo di «portar le provisioni per il nuovo armamento che [faceva] il detto Paganetti» mentre le armi sarebbero state prese dalla barca di patron Vario, ancorata nel molo di Livorno, ed infine il reclutamento di genti stava già avvenendo nelle due Riviere liguri. Un nuovo allarme viene diramato lungo le coste liguri con il divieto per le autorità portuali di non «amettere alla pratica» bastimenti che esponessero lo stendardo Imperiali. Cfr. ASG, Archivio Segreto, Maritimarum, 1678, 22 gennaio 1704.

primi di marzo, il Console Gavi scrisse ai Collegi per far sapere che l'uomo era rientrato nella città e aveva «spalmato et accomodato la feluga armandola con bon numero di gente»268. Le

fonti toscane, invece, tacciono su di lui fino a quando, il 29 marzo di quell'anno, il Provveditore della Dogana fu costretto a trasmettere al governo centrale una spiacevole notizia: un suddito toscano, Francesco Bertini di Livorno, era stato assalito «sopra di Massa» dalla feluca corsara imperiale. Secondo alcune fonti, il Paganetto si era limitato a saccheggiare il patrone livornese sottraendogli una parte del carico mentre, secondo altre, aveva preso «interamente la filuca e suo carico [...] a titolo di attenere a nemici di esso Imperatore», trattenendola a Viareggio per farle osservare un periodo di quarantena.269

Proprio da Viareggio – dove si era appurato che il carico a bordo della feluca di patron Bertini fosse di spettanza nemica – il Vice Console Imperiale, Arrigo Pleunus, scrisse all'ambasciatore Cesareo a Roma il quale, dal canto suo, rassicurò il Segretario di Guerra Montauti dichiarando di aver già provveduto ad ordinare il rilascio della barca. In quegli stessi giorni, il Lamberg cercò di disciplinare, come già accennato, l'attività corsara auspicando che il suo provvedimento sulla formazione dell'equipaggio potesse «troncare, et abolire questo incomodo»: era palese anche ai suoi occhi che pochi erano i danni causati ai nemici mentre «si strapazan i neutrali». L'ambasciatore Cesareo non si fece alcuno scrupolo nel lanciare un'accusa, tutt'altro che velata, nei confronti delle figure consolari – i quali, secondo il Lamberg, «per li utili loro privati volentieri danno mano, e protezione a simil gente»270

imputandoli di connivenza nei confronti di corsari che certamente non brillavano per il loro comportamento irreprensibile. Per quanto riguarda Stephen Hermen non si dispone di notizie che possano confermare un tale conflitto di interessi: anzi, volendo dar credito a una delle lettere scritte da Sebastiano Vario ai Collegi genovesi la persona che otteneva guadagni dalle prede marittime effettuate dai corsari di Leopoldo I era proprio colui che stava incolpando altre persone, il quale riceveva una porzione in percentuale al ricavato dalle prede271.

Un'indagine sulle carte viennesi – trascurate in questa ricerca – potrebbe forse svelare dinamiche che al momento restano ignote: il riferimento immediato è, naturalmente, alla corrispondenza intrattenuta dal Conte di Lamberg e dai Consoli con la corte di Vienna.

In conclusione della sua missiva, tuttavia, l'Ambasciatore non mancò di avere un occhio di riguardo per coloro che avevano servito l'Imperatore e invocava tolleranza per quelli che, «con i dovuti requisiti», avrebbero richiesto asilo al Granduca, pregando quest'ultimo affinché se queste persone – sottinteso era il riferimento a Giacinto Paganetto – avessero voluto «col dovuto rispetto quietamente sottomettersi» non venissero turbati «per il passato»272. In effetti,

la sua richiesta trovò soddisfazione: il corsaro Paganetto – che aveva lasciato un segno tutt'altro che incisivo in termini di azioni praticate – venne solamente bandito dal dominio toscano273. Che cosa era accaduto per indurre il Conte di Lamberg ad una tale richiesta?

Interviene in aiuto una carta scritta dal Vice Console a Viareggio il quale aveva fatto sapere che la feluca di patron Paganetto – sotto pretesto che la preda a danno di patron Bertini fosse stata realizzata ad una distanza non consentita, in vicinanza della costa – era stata «sequestrata

268ASG, Archivio Segreto, Lettere Consoli, 2683, lettera del Console Gavi, 5 marzo 1704.

269ASF, Mediceo del Principato, 1616, lettera del Provveditore della Dogana di Livorno alla Segreteria di Stato, 29 marzo 1704.

270ASF, Mediceo del Principato, 2225, lettera del Governatore di Livorno alla Segreteria di Guerra, 5 aprile1704.

271ASG, Archivio Segreto, Maritimarum, 1678, lettera di Sebastiano Vario ai proprietari della nave, 7 maggio 1703.

272ASF, Mediceo del Principato, 2225, lettera del Governatore di Livorno alla Segreteria di Guerra, 5 aprile1704.

273ASF, Mediceo del Principato, 1616, lettera del Provveditore della Dogana di Livorno alla Segreteria di Stato, 30 aprile 1704.

a Magra»: Arrigo Pleunus non esplicitava chi avesse materialmente proceduto all'arresto, dichiarandosi però certo che un tale ordine non potesse provenire dalla «Serenissima Repubblica [di Lucca]» per la «perfetta corrispondenza» da sempre tenuta con Leopoldo I274.

Sebastiano Vario che, proprio in quei giorni, si era recato dal Provveditore della Dogana di Livorno per garantirgli di avere intenzione di vendere la barca e desistere dal corso marittimo, fornì anche un'altra notizia rilevante: «patron Lusorio, Angelo Maria Rivano e il Paganetto» erano andati a Vienna e, secondo le supposizioni del Terriesi, per «portar querele della perdita fatta de loro armamenti»275. La breve stagione dei corsari imperiali pareva dunque giunta al

termine: per capire come ciò sia stato possibile si rimanda al capitolo seguente.

Volendo offrire una valutazione su questa fase è indubbio che essa non possa dirsi significativa sul piano pratico in termini di prede realizzate – allo stato attuale delle ricerche se ne contano una decina, in parte rilasciate – per quanto non si possa negare l'entità della minaccia nei confronti delle Due Corone che, dominando la penisola italiana e potendo godere (almeno fino alla fine del 1703) dell'appoggio dei Savoia, non avrebbero avuto fonti di preoccupazione per questa zona del Mediterraneo occidentale se non fosse stato proprio per i disturbi arrecati dai corsari imperiali. Infine, notevoli i riflessi sul piano diplomatico, sia per quanto concerne le pressioni e le ricadute per i governi neutrali – che hanno avuto modo di emergere frequentemente in queste pagine – sia per gli stati direttamente coinvolti nel conflitto.

274ASG, Archivio Segreto, Maritimarum, 1678, lettera del Vice Console Arrigo Pleunus, 1° aprile 1704. Per una contestualizzazione sui rapporti che legavano la Repubblica di Lucca all'Impero e alla Spagna si rimanda a E. CRESSERI, La Repubblica di Lucca tra fedeltà all'Impero e adesione alla Spagna, in C. CREMONINI, R. MUSSO (a cura di), I feudi imperiali in Itala tra XVI e XVIII secolo, Atti del Convegno di studi Albenga –

Finale Ligure – Loano, 27-29 maggio 2004, Bulzoni editore – Istituto Internazionale di Studi Liguri, Roma –

Bordighera - Albenga, 2010, pp. 451-462.

275ASF, Mediceo del Principato, 2225 lettera del Governatore di Livorno alla Segreteria di Guerra, 28 aprile 1704.

Capitolo II – Il fenomeno corsaro nel Mar Ligure e nell'Alto

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