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Le stravaganze e gli eccessi a danno degli Stati neutrali: le ricadute in ambito

Capitolo II – Il fenomeno corsaro nel Mar Ligure e nell'Alto Tirreno: tra squadre di galere e

II. 2 Giuseppe Pesante alias Peppe Fumo, corsaro con bandiera di Filippo V

II.2.2 Le stravaganze e gli eccessi a danno degli Stati neutrali: le ricadute in ambito

Una volta che la seccatura rappresentata dai corsari imperiali venne definitivamente respinta, il napoletano Peppe Fumo si impegnò in quella forma di guerra di corsa che privilegiava la valenza religiosa: una forma che, come già espresso nell'introduzione, ha da sempre goduto da parte degli storici di una considerazione particolare, sfociata in una ricchissima produzione storiografica. Ebbene, allo stato attuale delle ricerche sul periodo storico considerato, si può dire che quest'attività ebbe un ruolo marginale nella carriera del Capitano Pesante: essa si concentrò, in effetti, nell'arco di pochi mesi, tra la primavera e l'estate del 1704. Parrebbe, sulla base degli elementi emersi, che la caccia ai nemici provenienti dalle coste della Barberia fosse per Peppe Fumo poco di più di un “diversivo”, un'occasione da sfruttare nel momento in cui non si presentavano grandi occasioni di profitto: e, in effetti, in quello stesso periodo, egli riuscì a catturare solamente un brigantino genovese322 e una piccola unità inglese323. Non che nel Basso Tirreno la situazione fosse

diversa: mi pare opportuno anticipare che nemmeno lo spoglio compiuto sulle filze della Segreteria dei Viceré napoletana ha fornito riscontri su questo tema. In un primo momento, il Capitano corsaro non agì in prima persona bensì affidò il compito a Filippo di Fortuna, patrone del legno di sua conserva324 e solamente dopo un paio di mesi – forse perché la

campagna della galeotta era stata priva di risultati – Peppe Fumo decise di intervenire, realizzando in un mese almeno cinque prede che portarono alla cattura di circa 150 uomini, presumibilmente tutti condotti in schiavitù.325

A partire dall'autunno di quell'anno, il Capitano Pesante ed i suoi uomini tornarono a turbare le acque degli Stati neutrali: la Repubblica di Genova e il Granducato di Toscana. I corsari napoletani erano particolarmente temuti lungo le coste liguri, specialmente nella Riviera di Levante, dove si fecero notare per il loro comportamento spregiudicato: come informò il Podestà di Porto Venere, due patroni che si definivano «antiguardie» di Peppe Fumo si fecero «lecito entrare et uscire da questo porto si di giorno, come di notte», inducendo diversi patroni – i lericini Pietro d'Oberti e Paolo Poggi, per fornire un esempio – a desistere dalla partenza quando avessero motivo effettivo per temere la presa; si pensi non solo a merci trasportate per conto di nemici, ma anche al trasporto di denaro per conto di mercanti ebrei. Più che desideroso di attaccare i legni nemici pareva che Peppe Fumo fosse maggiormente interessato a colpire le navi genovesi. A dirlo, non sono solo le carte prese in esame ma, in qualche modo, il suo stesso modus operandi poiché egli si muoveva in

321ASF, Mediceo del Principato, 2225, lettera del Governatore di Livorno alla Segreteria di Guerra, 28 aprile 1704.

322ASG, Archivio Segreto, Lettere Consoli, 2683, lettera del Console Gavi alla Repubblica di Genova, 25 giugno 1704.

323ASF, Mediceo del Principato, 1616, lettera del Provveditore della Dogana di Livorno alla Segreteria di Stato, 26 giugno 1704.

324ASF, Mediceo del Principato, 2225, lettere del Governatore di Livorno alla Segreteria di Guerra, 4 e 25 aprile 1704.

325ASF, Mediceo del Principato, 1616, lettera del Provveditore della Dogana di Livorno alla Segreteria di Stato, 20 giugno e 28 luglio 1704 e in ASG, Archivio Segreto, Lettere Consoli, 2683, lettera del Console Gavi alla Repubblica di Genova, 25 giugno 1704.

prossimità dei porti della Riviera di Levante e spesso si rifugiava al loro interno: ciò lo rendeva soggetto, pertanto, all'osservanza delle 24 ore di stallo rispetto alla partenza di bastimenti nemici, riducendo la possibilità di realizzare catture in mare. Di fatto, con la scusante di verificare il carico, Peppe Fumo perquisiva una quantità considerevole di bastimenti liguri: a nulla valse l'intervento del Capitano della Spezia che, insieme al Vice Console spagnolo, invitò il corsaro ad allontanarsi dal Golfo redarguendolo sul non molestare alcun vascello, cosa che egli fece puntualmente – ancora una volta a danno di un patrone di Lerici, Martino Cabano326 – all'uscita dallo scalo, in prossimità del tiro del cannone327.

Se è vero che lo scopo della guerra di corsa era quello di annientare il commercio nemico, si potrebbe pensare che gli Stati in conflitto auspicassero di raggiungere l'obiettivo con le frequenti richieste di diritto di visita – legittimamente pretese dai corsari – quali deterrente per indurre i mercanti neutrali a rinunciare al trasporto di carichi di spettanza nemica; e forse proprio a questo mirava il Capitano Pesante. Ma, a questo punto, si rende opportuna una riflessione, incentrata sul caso specifico rappresentato dal Mar Ligure dove questo elemento dissuasivo – almeno in questa prima fase del conflitto, quando per i napoletani i nemici da colpire sono i sudditi dell'Inghilterra, dell'Olanda e dei Savoia – era privo di reali presupposti. I Collegi genovesi avevano dichiarato che gli scambi commerciali con gli scali sabaudi non fossero particolarmente significativi, se paragonati alla totalità di quelli intrapresi, e consistenti perlopiù nell'esportazione genovese di olio nello scalo di Oneglia: insomma, non sarebbe stata l'individuazione di merci spettanti ai sudditi di Vittorio Amedeo II a bordo dei bastimenti genovesi a danneggiare il mercato del Ducato di Savoia, mentre a farne davvero le spese sarebbero stati solamente i patroni della Serenissima.

Peppe Fumo, dal canto suo, era infervorato da una vera e propria animosità nei confronti dei sudditi della Repubblica: lo dimostrano le carte d'archivio che riportano ripetute denunce di patroni malmenati dal corsaro napoletano. Se la violenza in sé non merita particolari attenzioni – d'altronde, si trattava di una componente che, con diverse sfumature, rappresentava un tratto costante della vita sul mare e di cui si possono trovare ampie attestazioni328 – vale la pena di insistere sulle dichiarazioni rese dal corsaro mentre percuoteva

o bastonava il malcapitato di turno. Arrestando un legno genovese dichiarò che l'azione era stata intenzionale poiché «apunto cercava Genovesi co' quali avea avuto la pace addietro, et ora aveva la guerra»329: non aveva tollerato che dalla torre di Porto Venere gli fossero state

sparate della cannonate – come lui stesso aveva da subito manifestato al patrone perquisito – e il suo atteggiamento nei confronti dei genovesi, che lui accusava di aver «perduto il rispetto alle bandiere di Spagna»330, aveva conosciuto un mutamento repentino. Nutriva un'acredine

così intensa da affermare, mentre picchiava un marinaio, che «più volentieri» avrebbe percosso «il loro duce [doge]», avvertendo l'intero equipaggio «che non si gravasse [...] di tale trattamento perché l'istesso voleva fare ad ogni Genovesi se ne [avesse incontrato] milioni». Non erano in malafede i sudditi della Serenissima quando riportavano le parole del corsaro: queste avevano trovato conferma nella testimonianza di un patrone finalino al quale il

326Nonostante la difesa attuata dalla torre – in primo luogo attraverso semplici fumate a scopo d'avvertimento, poi con lo sparo di alcuni colpi di cannone – Peppe Fumo, totalmente indifferente, condusse con sé la presa salvo poi licenziarla dopo aver appurato che aveva tutte le carte in regola e nessun carico sospetto.

327ASG, Archivio Segreto, Maritimarum, 1678, 20 ottobre 1704.

328Per riferimenti al contesto ligure si veda L. LO BASSO, Gente di bordo. La vita dei marittimi genovesi nel

XVIII secolo, Carocci, Roma, 2016, pp. 147-178. Sul tema, anche se riferito al contesto oceanico, si segnala il

lavoro di M. AUGERON, M. TRANCHANT, La violence et la mer dans l'espace atlantique, Presses Universitaires de Rennes, Rennes, 2004.

329ASG, Archivio Segreto, Maritimarum, 1678, 13 febbraio 1705.

330ASG, Archivio Segreto, Litterarum, 1945, lettera della Repubblica di Genova al Capitano della Spezia, 29 dicembre 1704.

Capitano Pesante aveva espresso il proprio pensiero sui genovesi: «li più nemici che s'habbi»331. La collera di Peppe Fumo – nomignolo forse non casuale! – ebbe degli strascichi

anche sulla terraferma, arrivando a colpire la dimora di un nobile di Porto Venere, Antonio da Passano332: la furia del corsaro era tale che, dopo aver sfondato la porta e sottratto alcune

«robbe», tentò addirittura di «portare via le ferate [inferriate]» e, non riuscendovi, rovinò ulteriormente l'abitazione causando danni ingenti333. La Repubblica si attivò su più fronti con

disposizioni differenti rivolte sia al Capitano che pattugliava la Riviera di Levante334, sia ai

rappresentanti genovesi a Napoli e a Madrid.

Il comportamento così contraddittorio di Peppe Fumo – che, dalla premura mostrata verso i genovesi assaliti per errore sopra la feluca del nemico Paganetto, era passato ad attacchi deliberati ed aventi l'unico scopo di tormentare gli stessi – trova una possibile giustificazione allargando un minimo gli orizzonti e considerando le dinamiche della guerra di corsa nel Mar Ligure in termini un poco più ampi. In effetti, parrebbe che il Capitano Pesante avesse agito in questo modo per ritorsione e per vendicare una preda che alcuni intraprendenti corsari oneglini avevano commesso sotto il tiro del cannone di Porto Venere a danno di due feluche napoletane e che, troppo a lungo, era rimasta impunita nonostante le continue pressioni sul governo genovese335. Effettivamente, questo episodio si collocava proprio a cavallo dei due

che avevano messo in luce l'incoerente atteggiamento del corsaro Fumo il quale, a distanza di mesi, scrisse alla Repubblica respingendo le accuse che gli erano state rivolte e finendo addirittura per ribaltarle, ergendosi a paladino della navigazione ligure nelle acque sarde contro i corsari turchi336.

Una carta genovese risalente al febbraio dell'anno seguente contiene due informazioni di rilievo: l'avvenuta incarcerazione, a Napoli, di Peppe Fumo e la richiesta del Viceré affinché si facesse «terminare la pendenza delle filuche napoletane […] per reintegrare i sudditi di Sua Maestà Cattolica delle vessazione indebite patite da corsari nello Stato della Repubblica»337.

Sarebbe spontaneo immaginare che le due operazioni procedessero in parallelo ma, ancora una volta, l'intreccio di fonti reperite da differenti archivi consente la formulazione di un'ipotesi ben più suggestiva: Giovanni Battista Salomoni – che si trovava a Napoli in qualità di agente toscano – scrisse al Granduca, su sollecitazione di un ministro del Collaterale, affinché venisse resa nota «la di lui [del Peppe Fumo] carcerazione» in Castel Nuovo, precisando come «ciò non si era fatto né per il Papa, ne per i Genovesi ma bensì per il Gran Duca».338 Il Capitano napoletano era stato posto in prigione a causa di un crimine commesso a

Cecina dove i suoi uomini, «armata mano», si erano impossessati di una notevole quantità di

331ASG, Archivio Segreto, Maritimarum, 1678, 3 gennaio 1705.

332Si cita, per conoscenza, un recente studio dedicato a questa casata, A. LERCARI (a cura di), I signori da

Passano: identità territoriale, grande politica e cultura europea nella storia di un'antica stirpe del Levante ligure, Istituto internazionale di studi liguri – sezione lunense, La Spezia, 2013.

333ASG, Archivio Segreto, Maritimarum, 1678, 20 ottobre 1704.

334 Proprio nel mese di ottobre, la Giunta di Marina aveva ritenuto opportuno – a causa delle «piraterie et esecuzioni ostili» commesse dai tanti corsari che animavano le acque liguri – disporre una spedizione delle galere e ne chiedeva l'autorizzazione al Minor Consiglio, trattandosi di un'operazione straordinaria per l'avvicinarsi della stagione invernale. ASG, Archivio Segreto, Maritimarum, 1678.

335ASG, Archivio Segreto, Maritimarum, 1679.

336Si lasci spazio alla voce del corsaro, il quale scrive al Doge: «Vostra Serenità può informarsse di li barcce li quale navicano giornalmente nella Sardegnia quanto […] gli ho hoperato in Cagliari e quanto vassalli di Vostra Serenità ho liberato di mano di Turchi e particolare alli barche di Sturli». ASG, Archivio Segreto,

Maritimarum, 1678, 20 maggio 1705.

337ASG, Archivio Segreto, Maritimarum, 1678, 17 febbraio 1705.

338ASF, Mediceo del Principato, 4128, lettera dell'agente Gio. Batta Salomoni al Segretario Panciatichi, 27 gennaio 1705.

legna che avevano trasferito sulla barca corsara339.

È naturale interrogarsi sul grado di attendibilità di queste parole: leggendo in maniera critica le fonti, si potrebbe presumere che il Viceré di Napoli volesse far credere al governo toscano che Peppe Fumo era stato castigato esclusivamente per i delitti commessi negli Stati del Granduca, alla Serenissima per gli attentati a danno dei patroni genovesi, e via di seguito per i diversi attori in gioco. Tuttavia, per quanto frammentari, i documenti genovesi presi in esame non conservano riferimenti che possano legittimare quest'ipotesi: ed anzi, nonostante il corsaro avesse presentato ripetute istanze per la scarcerazione, la sua rimessa in libertà era stata immediatamente conseguente alla ricezione della lettera in cui Cosimo III espresse la propria soddisfazione, dichiarandosi a favore della liberazione dell'uomo340. D'altronde, il suo

arresto avvenne a poche settimane di distanza dal furto di legna commesso nei domini toscani mentre erano ormai trascorsi diversi mesi dagli episodi che lo videro malmenare i patroni genovesi: anche questo elemento, induce a ritenere che l'arresto fosse avvenuto per porre riparo all'oltraggio commesso a Cecina.

Un altro punto della lettera scritta da Salomoni merita attenzione e si tratta della replica rivolta ad uno dei ministri del Collaterale il quale aveva avuto ebbe interesse a puntualizzare come, nonostante l'ammissione di Peppe Fumo «di aver fatto qualche insolenza ne' stati di quella Repubblica», le istanze di Genova fossero cadute nel vuoto. L'inviato toscano rifletté sulla forza, in ambito politico, degli Stati neutrali affermando come, forse, solamente il Granduca «aveva desiderato, che la giustizia la facesse Sua Eccellenza», mentre gli altri sarebbero stati in grado di provvedere autonomamente.

Una ponderazione che non manca di una sua correttezza ma che, a mio modo di vedere, non individua le ragioni profonde che stanno alla base delle risoluzioni prese all'interno del Collaterale, per far emergere le quali è opportuno richiamarsi alla natura dei rapporti che legavano lo Stato di Napoli ai neutrali Granducato di Toscana, Repubblica di Genova e Stato della Chiesa. Forse, proprio in base all'interesse nutrito da Napoli – più correttamente, dalle Due Corone borboniche – per la posizione assunta nel conflitto si può interpretare il comportamento difforme tenuto nei confronti dei diversi interlocutori. L'idea è che la volontà del Granduca di mantenersi estraneo al conflitto fosse stato accolta di buon grado da Francia e Spagna – si trattava di uno Stato in difficoltà, diviso tra i colpi inferti alla penisola italiana dalla questione della successione spagnola ed il dibattito inerente la stessa successione, ripiegato sul desiderio di difendere l'autonomia dei possessi medicei341 – mentre minor

gradimento fosse derivato dall'analoga dichiarazione resa dagli altri due Stati: ed è proprio sulla base di questa chiave di lettura che si potrebbe interpretare il castigo inferto all'insolente corsaro napoletano. Se il Viceré e il Collaterale scelsero di soddisfare senza indugi Cosimo III ciò, plausibilmente, fu dovuto al desiderio di evitare dissidi inutili con il Granduca mentre non era del tutto svantaggioso determinare un certo livello di tensione sul Papa e sui Collegi genovesi, trascinandoli in una “prova di forza” avente lo scopo di ricordare loro verso quale dei due schieramenti guardare con maggior favore, qualora non fosse stato possibile smuoverli dall'estraneità al conflitto.

In base ad altri due fattori – la rispettiva potenza dei due Stati neutrali e la possibilità di rischiare, nel confronto con questi, da parte borbonica – venne esercitata una pressione minore o maggiore. Acquisisce pienamente senso, a questo punto, la linea adottata con lo Stato della Chiesa, tenendo a mente l'incertezza in cui venne lasciato Filippo V quando attendeva

339ASF, Mediceo del Principato, 2226, lettera del Governatore di Livorno alla Segreteria di Guerra, 2 gennaio 1705.

340ASF, Mediceo del Principato, 4128, lettera dell'agente Gio. Batta Salomoni al Segretario Panciatichi, 10 febbraio 1705.

l'investitura papale di quel feudo pontificio che era Napoli, il cui ritardo portò ad esiti ben diversi da quelli auspicati da Clemente XI – recuperare centralità nella politica europea e mantenere la pace nello Stato pontificio e nel Sud Italia342 – finendo per incoraggiare,

inconsciamente, la cosiddetta Congiura di Macchia343. L'investitura, alla fine, non dipese tanto

dalla volontà della curia romana quanto dal potere militare dei candidati che se la contendevano344.

In virtù di quest'ultimo elemento si può leggere la vicenda relativa a Peppe Fumo che, a Fiumicino, aveva sottratto del denaro ad alcuni patroni gaetani345: il Collaterale fu propenso a

«domandar la grazia al Papa per la di lui assoluzione, pretendendosi, che gl'attentati, come seguiti in mare, non abbino pregiudizio allo Stato della Chiesa», dando a credere che si volesse «sostenere, e difendere la di lui [del Capitano Pesante] temerità». La protezione attuata nei confronti di Giuseppe Pesante ebbe lo scopo di rimembrare al pontefice la superiorità borbonica, salvo poi smussare i toni di questa intimidazione facendo credere a Clemente XI che l'incarcerazione del corsaro fosse avvenuta anche per risarcimento nei confronti del pontefice, leso nella sovranità vantata sulle acque territoriali dello Stato romano346. Figure non certo morigerate come quella di Peppe Fumo finivano per rivelarsi utili,

inconsapevolmente o meno, ai giochi politici delle Due Corone rappresentando, quindi, un utile strumento di cui servirsi quando la forza della diplomazia si dimostrava insufficiente.347

Infine, si consideri che, già a partire dai primi mesi del 1704, entrambi gli schieramenti avevano cercato di attirare la Repubblica di Genova ciascuno nel proprio campo: le Due Corone erano state particolarmente spregiudicate cercando di far leva sui timori dei Collegi in merito a un possibile accordo tra Leopoldo I e Vittorio Amedeo II che avrebbe fruttato a quest'ultimo una serie di possessi interessanti, tra cui compariva Savona e l'intera Riviera di Ponente348. Come inquadrare l'azione del Capitano corsaro Pesante in questo contesto?

Innanzitutto è plausibile che il Collaterale non solo avesse guardato di buon occhio lo scompiglio portato nel Mar Ligure da questa figura ma, anzi, l'avesse tacitamente incoraggiata quando non esplicitamente ordinata: un'ipotesi che, sfortunatamente, non può trovare conferma nella documentazione napoletana per i motivi già espressi nell'introduzione. Una forma di pressione, dunque, che andrebbe di pari passo con altre messe in atto dal Re di Spagna, una volta esauriti i tentativi possibili sul piano diplomatico: si pensi, ad esempio, alle minacce di sequestri o alla sospensione dei pagamenti sulle rendite godute dai genovesi nei domini della Corona che, generalmente, facevano seguito al diniego di fronte alle richieste di contribuzioni o prestiti, come effettivamente era accaduto anche nell'estate 1704349.

342Due obiettivi che ben esprimevano il carattere duale della figura del Papa: da un lato, la difesa del suo ruolo politico in quanto sovrano di uno stato italiano e titolare di diritti feudali su diversi territori della penisola, dall'altro, invece, l'obbligo di tentare una mediazione tra i contendenti in quanto capo della Chiesa. Su tale peculiarità ha riflettuto P. PRODI, Il sovrano pontefice. Un corpo e due anime: la monarchia papale nella

prima età moderna, Il Mulino, Bologna, 1982.

343Per accostarsi al tema della Congiura di Macchia e conoscerne gli sviluppi si rimanda a G.GALASSO,

Napoli spagnola dopo Masaniello, Edizioni di storia e letteratura, Roma, 2005, pp. 583-608.

344D. MARTÍN MARCOS, El proyecto de mediación de la Santa Sede..., cit., pp. 144-145.

345ASF, Mediceo del Principato, 4128, lettera dell'agente Gio. Batta Salomoni al Segretario Panciatichi, 10 febbraio 1705.

346ASF, Mediceo del Principato, 4128, lettera dell'agente Gio. Batta Salomoni al Segretario Panciatichi, 15 gennaio 1705.

347S. TABACCHI, L'impossibile neutralità..., cit., pp. 230-231.

348G. ASSERETO, La guerra di Successione spagnola..., cit., pp. 550-552. 349ASSERETO, La guerra di Successione spagnola..., cit., pp. 558-568.

II.2.3 «Il più beneficiato uomo de napoletani dal ViceRé»: il Capitano Pesante e le

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