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Capitolo II – Il fenomeno corsaro nel Mar Ligure e nell'Alto Tirreno: tra squadre di galere e

II. 1 L'azione corsara della squadra del Duca di Tursi

I fastidi arrecati al governo genovese da Gian Andrea II Doria del Carretto non furono ridotti ai soprusi di cui lui – insieme ai Capitani sottoposti al suo comando – si rese protagonista, causando problemi ai Collegi, bensì si esplicitarono in quell'ambito che maggiormente interessa a questa ricerca, vale a dire il dispiegarsi dell'attività corsara.

Nei primi anni del conflitto per la successione spagnola, le acque del Mar Ligure vennero turbate prevalentemente da corsari oneglini276 e francesi, i quali non si limitarono a predarsi

l'un l'altro – nell'ottica di arrecare il maggior danno economico possibile al nemico – ma, spesso e volentieri, distolsero da una quieta navigazione anche i legni neutrali: come evidenzia Schnakenbourg, durante le crisi belliche «la circulation des navires neutres est un

objet de première importance dont les enjeux dépassent le simple transport de marchandises pour devenir un paramètre du conflit faisant du neutre un acteur de la guerre»277. In particolar

modo, ad infastidire i genovesi furono in primo luogo i vascelli francesi che compirono «frequenti arresti» ma, ancor di più, le «lunghe dilazioni» che si determinavano in attesa che la corte di Parigi o gli ammiragliati francesi si pronunciassero su ciascun caso di preda marittima: in più occasioni la Giunta di Marina si interrogò sul modo in cui «operare per riparare si gran danno»278.

Riprendendo le parole di Schnakenbourg, differentemente dalla neutralità terrestre – che aveva l'obiettivo di proteggere il territorio dal conflitto armato – la navigazione neutra mirava ad avvantaggiarsi della congiuntura bellica: da ciò derivava un'inevitabile tensione tra non belligeranti – che volevano disporre della maggior libertà possibile per trasportare una grande varietà di merci – e belligeranti – i quali, invece, intendevano annientare il commercio nemico, «sous quelque pavillon qu'il puisse se trouver»279, per minare la capacità

dell'avversario di sostenere uno sforzo bellico prolungato280. Se la prima parte di questa

definizione trova presumibilmente applicazione nel contesto nord europeo a cui l'opera dello storico francese fa riferimento, vien difficile credere che possa essere traslata in area ligure: vi accenna chiaramente Assereto quando asserisce che «se è impossibile fare un computo sia pure approssimativo delle perdite e dei profitti, è tuttavia difficile – scorrendo ad esempio per campioni la corrispondenza consolare di quegli anni – sfuggire all’impressione che i secondi abbiano nettamente prevalso sulle prime»281. Ma, prima ancora dello storico genovese, sono

gli stessi documenti presi in esame a fornire una risposta in tal senso offrendo un quadro sulle dinamiche commerciali nell'area ligure, e non solo. Nell'aprile 1704, la Giunta di Marina consigliò di far presente al marchese di Torcy – il ministro Jean-Baptiste Colbert – che i sudditi della Repubblica vivevano «del traffico giornale di viveri dalle Riviere alla città, e

276I corsari di Oneglia (attuale Imperia) erano al servizio del Duca di Savoia il quale possedeva questo piccolo scalo del ponente ligure.

277E. SCHNAKENBOURG, Entre la guerre et la paix..., cit., p. 13. 278ASG, Archivio Segreto, Maritimarum, 1679, 31 marzo 1704. 279E. SCHNAKENBOURG, Entre la guerre et la paix..., cit.,, p. 13.

280Come ribadisce Schnakenbourg questo obiettivo era diventato strategico a partire dalla Guerra della Lega d'Augusta. Cfr. E. SCHNAKENBOURG, Entre la guerre et la paix..., cit., p. 75.

dalla città alle Riviere medesime» non senza «un imbarazzo pieno di pessime conseguenze alla mercatura». Quest'ultima era già pesantemente gravata dai tanti arresti subiti da parte di quei «vascelli e navi, che navigano più da lontano» e i traffici commerciali avrebbero finito per essere praticamente annullati «se poi restassero anche impedite di far le sue negoziazioni nelle Riviere». Per cercare di fornire un po' di sollievo alla navigazione ligure, la Repubblica toccò un tasto destinato a suscitare certamente maggior attenzione tra i ministri di Luigi XIV: annichilire le possibilità di profitto dei mercanti genovesi non avrebbe fatto altro che ritorcersi a danno delle Due Corone. Proprio agli uomini d'affari genovesi – sottolinearono i Collegi – si doveva la possibilità di mantenere gli esosi eserciti franco-spagnoli che, da parte loro, «abbisognano di un gran credito, e libero, e senza disturbo», senza dimenticare, poi, le «continue facilità, e franchiggie» che Genova concedeva loro282.

Gli accenni rivolti, in questo paragrafo, alle prede marittime effettuate dai sudditi Re Sole – e alle immediate reazioni del governo della Serenissima sul piano diplomatico – trovavano una giustificazione nel fatto che, proprio nella primavera del 1704, il monarca francese aveva ordinato «alle galere de Signori particolari […] di trattenere tutto il barcareccio delle Riviere per riconoscere se vi siano interessati sudditi del signor Duca di Savoia mascherati di questa bandiera per assicurar i loro trafichi»283. Le «galere de Signori particolari» altro non erano che

quelle al comando del Doria: parrebbe dunque che anche su questo piano il giovane Filippo V avesse lasciato campo libero alla volontà del Re Sole. In realtà, le cose non stavano esattamente così: l'apparente intromissione di Luigi XIV negli affari del nipote trova una giustificazione nella debolezza marittima spagnola, come riconosceva lo stesso Re di Spagna284.

In seguito alle proteste mosse da Genova e dai suoi rappresentati in Francia, il marchese di Montreal – dopo aver esaminato con più attenzioni le disposizioni provenienti dalla corte parigina e aver «meglio riconosciuto l'ordine del Re Christianissimo dato […] al signor Duca di Tursi per l'arresto delle imbarcazioni in questi mari» – affermò che tale ordine andasse ristretto ai soli legni che inalberavano bandiera del Duca di Savoia mentre quelli sospetti

282ASG, Archivio Segreto, Maritimarum, 1678, 29 aprile 1704.

283A tal proposito si precisava che era «tenuissimo il vantaggio che possa portare questo barcareccio a sudditi del Duca di Savoia, non avendosi di qui corrispondenza in Nizza, e Villafranca onde tuto il commercio si può ridurre ad Oneglia». Lo scalo sabaudo rappresentava un emporio di primaria importanza per smerciare le grandi quantità di olio estratte dalle terre liguri: insomma, «per impedire una piccola corrispondenza quasi inutile col Piemonte, [i francesi] impediscono tutto il trafico di giornale necessità ad un Principato così benemerito come la Repubblica». Infine, i Collegi non si esimevano dal far presente un aspetto di evidente ambiguità vale a dire il fatto che «il Piemonte ricava il maggior beneficio dalle sue provisioni dal Finale», ora dominio borbonico. ASG, Archivio Segreto, Maritimarum, 1678, 29 aprile 1704.

284Si rivela molto utile un documento che riporta una disposizione di Filippo V: «Considerando l'importanza di imbarazzare con tutti li mezzi il commercio con li nemici, [….] e trovandomi senza forze maritime, che possino impedire questo comercio, et essendo così unite, come si vede, le mie armi, e quella del Re Cristianissimo mio signore, e mio avo, […] et il fine dell'una, e dell'altre sia quello della conservazione e beneficio delli nostri domini; ho rissoluto , che li vascelli del Re mio avo possino riconoscere qualonque vascelli forastieri, che si ritrovavano nelle spiaggie, o baye delli miei mari sogetti all'artiglieria della mia piazza, però con la facilità di potersene andare da quello senza risico, quando volessero, e trovando che habbino commercio, o trafico di generi, e motivazioni verso li porti de nostri nemici, li possino detenere, et arrestare, però con la distinzione che non si habbi da esseguire il riferito con questi, che havessero dato fondo nelli miei porti, e fossero assicurati sotto il cannone delle piazze, perché in questi casi li comandanti delli vascelli del Re mio avo doveranno communicar li dubi, che haveranno, acciò si passi a riconoscer li vascelli, de quali havessero il sospetto di simili frodi, affinchè si [proceda] contro quelli con la forma regolare». Questo documento, anche se riferito all'area spagnola, è fondamentale nel chiarire le dinamiche della guerra corsara nel Mar Ligure, motivando l'assenza di corsari spagnoli «particolari» e giustificando per quale motivo la squadra del Tursi sia soggetta alle direttive del Re di Francia. ASG, Archivio Segreto, Maritimarum, 1678, 30 maggio 1704.

dovevano essere condotti nello scalo del Finale per essere riconosciuti e «quando siano sudditi della Repubblica, mostrandone la patente, o altro documento, rilasciarli»285: non solo, nella

carta in questione si precisava che quei bastimenti che «al taglio medesimo del vascello, o dalla navigazione, o altra apparenza son genovesi, o delle Riviere» non dovessero subire alcuna molestia venendo inutilmente arrestati. Anzi, si supponeva che grazie alla «cognizione che hanno i loro ufficiali [della squadra del Tursi] di tutte le imbarcazioni delle Riviere molto ben note a loro dalla sola apparenza» le catture in mare avrebbero dovuto ridursi in maniera sensibile ed evitare scontenti da parte genovese286. Non che questo potesse indurre il Doria a

una minor sfrontatezza: ancora negli anni a venire si trovano attestate nei documenti dell'Archivio Segreto denunce di patroni genovesi arrestati o maltrattati dalla gente della sua squadra, come era accaduto a Giovanni Vassello di Portofino che, in maniera del tutto arbitraria, era stato posto in catene sopra una delle galere287.

L'ordine appena considerato non mancò di essere rivisto in momenti di particolare tensione, come era avvenuto nel maggio 1705 quando le Due Corone temettero che alcuni domini della Riviera di Ponente – e, in particolare, Pietra, Loano e Toirano – avessero facilitato il trasporto di «polveri, et altre munitioni» verso la Savoia: in quel contesto, il Principe di Vaudemont ordinò ai Capitani Centurione e Giustiniano di «andare in compagnia delle due galee di Francia» che si trovavano in porto a Genova e «visitare tutti li vascelli, e bastimenti e farne presa» quando avesse trovato materiale bellico a bordo288.

Anche se Genova si lamentava a priori per l'arresto dei legni nazionali vi è da riflettere sul fatto che la presenza, per quanto molesta, della squadra di Tursi non mancava di comodità: basti pensare che l'ordine di condurre le prede nello scalo spagnolo del Finale aveva il vantaggio immediato di evitare un viaggio più lungo verso Tolone. Ciò consentiva ai predati non solo di muoversi entro un orizzonte ben conosciuto ma, soprattutto, una più facile e rapida comunicazione sia con terzi, eventualmente interessati nella proprietà della nave o del carico, sia con la Dominante, ai fini di fornire informazioni di cui il governo potesse disporre per organizzare tempestivamente – per meglio dire, senza ricorrere a figure intermediarie – l'assistenza per i genovesi lesi nei loro interessi.

Considerando la figura del Duca di Tursi è indubbio che, anche nelle occasioni che lo videro impegnato nella caccia di legni nemici, egli non mancò di creare imbarazzi e turbamenti non solo alla Repubblica di Genova ma anche alle stesse autorità spagnole. Lo dimostra efficacemente un caso di preda, risalente all'agosto 1705, che coinvolse una corallina di Oneglia predata da una delle galere del Doria, di rientro da Antibes. Il 16 agosto Monsieur de Chapelan scrisse a Genova spiegando che il bastimento catturato «era con la prora in terra et il capo dato alla volta in terra, poco longi dalla torre del Cervo»: un semplice dettaglio – vale a dire, non aver rispettato la distanza del tiro del cannone289 – si rivelava sufficiente a

rendere insussistente la preda in quanto l'azione della galera aveva chiaramente violato le leggi che disciplinavano la materia del corso. L'inviato sabaudo si accingeva a presentare un'istanza al podestà di Savona per procedere al sequestro ma la galera del Doria aveva giocato d'anticipo ponendo la preda «alla vela verso il Finale».

285Come sottolinea Schnakenbourg «le moindre défaut ou la plus légère irrégularité peut nourrir e soupçon de

coverture du commerce ennemi et justifier le détournement». Cfr. E. SCHNAKENBOURG, Entre la guerre et la paix..., cit., p. 93.

286ASG, Archivio Segreto, Maritimarum, 1678, 2 maggio 1704. 287ASG, Archivio Segreto, Maritimarum, 1679, 25 giugno 1705. 288ASG, Archivio Segreto, Maritimarum, 1679, 29 maggio 1705.

289La gittata del cannone, corrispondente a circa tre miglia, delimita la sovranità sul mare e, quindi, l'ambito entro il quale ai corsari non è concesso realizzare prede. Cfr. P. CALCAGNO, Corsari e difesa mobile delle

Se la ricerca condotta tra le carte del Tribunale delle Prede Marittime del Marchesato non ha consentito di trovare alcuna informazione riferibile a questo episodio, per contro la documentazione genovese è generosa nello svelare particolari su alcune dinamiche che meritano attenzione. In primo luogo, la Repubblica rivolse i propri rimproveri al podestà di Cervo premurandosi di capire per quale ragione egli non avesse attuato una difesa a favore degli oneglini290 per poi indagare sulle responsabilità altrui: come riferiva il podestà, il patrone

della corallina non si era premurato di lasciare a bordo qualche uomo di guardia, rendendo assai facile per il nemico catturare la piccola barca. È scontato, tuttavia, che Genova non intendesse tollerare un fatto che si presentava talmente noncurante della sovranità che essa esercitava sul Mar Ligure: ancora nei primi giorni di ottobre – a dimostrare i lunghi tempi occorrenti nella risoluzione di queste spinose faccende – si affrontò la questione con il Marchese di Montreal dolendosi per il mancato rilascio della corallina. Come espresso dalle linee-guida elaborate dalla Giunta di Marina, si fece presente all'inviato spagnolo quanto la Repubblica si fosse adoperata per ottenere la restituzione di una feluca napoletana che era stata arrestata, nella spiaggia di Arenzano, da due vascelli inglesi: ciò provava, in maniera indiscutibile, la cura genovese nel tutelare le acque liguri imponendosi per far valere il rispetto delle norme stabilite e punire gli inadempienti ma, soprattutto, ciò che si volle precisare era che il governo non faceva alcuna distinzione tra i due schieramenti in guerra – adoperandosi per gli oneglini predati dal Tursi come per i napoletani catturati dagli inglesi – e non potesse essere in alcun modo tacciato di parzialità.

Si è accennato alle sfiancanti attese che accompagnavano casi come questo e, infatti, il Marchese di Montreal assicurò i Collegi di aver informato da tempo il Governatore di Milano – vale a dire il Principe di Vaudemont – ma di non aver ancora ricevuto alcuna risposta, adducendo alle «gravissime occupationi de tempi». In realtà, la situazione era ben più complessa: il silenzio del Governatore trovava una giustificazione, guarda caso, nel comportamento del Duca di Tursi il quale – informato dal Capitano della galera sulla preda effettuata – ne rese partecipe direttamente il Re di Spagna. Il Vaudemont si trovò, di fatto, ad «haver legate le mani» e non si preoccupò di celare il proprio disappunto nel «non poter provedere» autonomamente «alla giusta soddisfazione della Serenissima Repubblica»: necessariamente, la gestione del caso venne affidata a Geronimo Bernabò, a Madrid. Bisognò pazientare fino al gennaio dell'anno seguente perché dalla corte spagnola si deliberasse in merito e quando finalmente si ottenne una risposta questa fece pensare a un continuo rimbalzo tra le parti nell'intento di logorare il nemico, senza preoccuparsi dei patimenti inflitti alla Repubblica di Genova che si trovava nel difficile ruolo di mediatore: le lettere provenienti dalla Spagna fecero sapere, infatti, che il Re aveva confermato come «gli ordini per la dovuta restituzione dipendano dal Signor Principe Governatore di Milano» e il Bernabò non poté far altro che pregare il rappresentante genovese residente nel Ducato di «impiegar l'efficacia de suoi uffici presso di Sua Eccellenza, affinché siegua quanto prima la detta restituzione»291.

Se ci si dovesse limitare alle notizie che emergono dalle filze della serie Maritimarum dell'Archivio Segreto genovese, tuttavia, l'azione della squadra del Duca di Tursi sembrerebbe praticamente inesistente: i casi trattati in questo paragrafo e nel capitolo precedente ne rappresentano grossomodo la totalità. Incrociare questo materiale con quello proveniente da altri archivi consente di arricchire il quadro che si sta delineando, individuando episodi ancora inediti. Nelle carte del Tribunale delle Prede Marittime di Finale – conservato nel fondo

290Molto semplicemente, come spiegava il podestà Gio. Mattia Pelo, la corallina si trovava «nel cavo di questo luogo tra questi confini, e quei d'Andora, in situatione però che non poteva vedersi né da questo luogo, ne da quei d'Andora».

Camera dell'Archivio Storico del Comune di Finale Ligure – sono custoditi tre fascicoli

concernenti prede marittime effettuate dalla squadra di galere dei “particolari” doriana: naturalmente, nulla ci deve indurre a credere che la documentazione finalese sia conservata nella sua interezza, come il caso genovese ben dimostra. Di questi incartamenti, infatti, solo uno risulta attestato in altre sedi archivistiche.

Il dato interessante che emerge dalla consultazione dei dossier è che l'azione della squadra di galere si concentrò nel periodo immediatamente seguente l'ordine rivolto al Doria di visitare tutti i bastimenti che solcavano le acque del Ponente ligure per verificare se trasportassero «polveri, et altre munitioni» che si temeva destinati al Ducato di Savoia. Non a caso, dunque, nei primi giorni di agosto diversi legni genovesi vennero arrestati dalle galere del Duca di Tursi come era accaduto ad alcune tartane pietresi – quelle di patron Gio. Bado, Santino Marenco e Sebastiano Bado – e a una di San Remo – quella di patron Raimondo Bongiovanni – che erano state intercettate tra Bergeggi e Noli. In quest'ultimo caso, il carico – consistente in grano, canapa, acciaio, cotone filato, piccole casse di manna, fiaschi vuoti – era diretto a mercanti di San Remo e di Loano e venne presumibilmente rilasciato292: l'unico

dubbio riguarda la canapa che, in passato, era stata considerata come merce di contrabbando rivestendo un'importanza cruciale nella costruzione del velame293.

Ciò che unisce i due casi di preda è che per entrambi, ancora una volta, le galere non si preoccuparono di rispettare la distanza del tiro del cannone294: se nel primo caso pare che

l'arresto fosse avvenuto a vuoto, così non fu per quanto riguardava le tre tartane pietresi. Precisamente, a destare attenzione fu il carico alquanto eterogeneo presente sul bastimento di Gio. Bado che, tra barili di ossa di balena, colli di pepe e utensili di uso comune, comprendeva anche 19 barili contenti una «compositione di solfaro, carbone, salnitro, per far polvere». Interrogato dall'avvocato fiscale del Marchesato, il patrone pietrese dichiarò di aver caricato i barili sul ponte Spinola ma di ignorarne il contenuto nonostante questo gli fosse stato affidato da «un tal Signor Bernardo» da lui riconosciuto in quanto persona che «vende polvere presso al detto ponte de Spinola in Genova». I barili – che non erano accompagnati da alcuna polizza – erano destinati ad un mercante di Loano, Antonio Basso: a patron Bado veniva pagato il nolo «a ragione di soldi sette per barrile». La documentazione processuale non è completa nel senso che non contiene carte che facciano riferimento all'asta: vi è da dire, però, che il resto del carico fu indubbiamente rilasciato – lo dimostrano diversi atti notarili con cui i mercanti che avevano interesse sopra le tre tartane, dopo aver presentato le dovute istanze, dichiararono di essere rientrati in possesso delle loro merci295 – mentre è presumibile

che i barili di polvere fossero semplicemente requisiti – e probabilmente messi a disposizione del presidio finalese – e non posti all'asta296.

Lo spoglio dei registri notarili redatti dai notai attivi nel Marchesato del Finale durante gli anni della guerra di Successione spagnola ha permesso di individuare altri episodi ancora, a provare, come si accennava, il grado di complementarità delle fonti: sempre nell'agosto 1705, la galera Spinola comandata dal Capitano Lazaro Maria Rossetti arrestò il pinco S. Giuseppe di patron Giacomo Strafforello di Porto Maurizio e la condusse nel piccolo scalo. L'inventario

292Archivio Storico del Comune di Finale Ligure (d'ora in avanti ASCF), Camera, Tribunale delle Prede

Marittime, 110, fascicolo del 3 agosto 1705.

293T. DECIA, Contra infieles y enemigos..., cit., p. 96.

294Patron Bongiovanni dichiarava che, dopo una prima visita avvenuta «circa tre miglia all'amare, in distanza dell'isolotto di Bersezzi», la preda era stata realizzata «sopra Noli in distanza da terra d'un miglio circa»,

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