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Gli anni cruciali del 1711 e 1712: l'azione di Gio Batta Giordano e Giuseppe

Capitolo III – La guerra di corsa nel Mar Ligure e nell'Alto Tirreno: l'attività dei corsar

IV.3 Il ritorno degli Austrias: una nuova stagione corsara per i patroni finalini

IV.3.8 Gli anni cruciali del 1711 e 1712: l'azione di Gio Batta Giordano e Giuseppe

A partire dal gennaio 1712, ad agire per conto di Carlo Bergallo, fu Gio. Batta Giordano il quale, nei mesi precedenti, aveva già rivestito l'incarico di luogotenente per un altro corsaro

857Bartolomeo era fratello di Gio. Antonio e Gio. Andrea: elemento che dimostra quanto poc'anzi sostenuto in merito all'interesse continuamente nutrito verso la guerra di corsa dagli esponenti di questa famiglia.

858Carlo Grillo in seguito venne posto al comando della squadra spagnola e nel 1719 gli venne concesso il Toson d'Oro. In generale, nel XVIII secolo la casata dei Grillo risulta pienamente integrata nella nuova Spagna borbonica. A. GARCÍA MONTÓN, Trayectorias individuales durante la quiebra del sistema

hispano-genovés: Domingo Grillo (1617-1687), in M. HERRERO SÁNCHEZ, Y. ROCÍO BEN YESSEF

GARFIA, C. BITOSSI e D. PUNCUH (a cura di), Génova y la Monarquía Hispánica (1528-1713)..., cit., pp. 367-384. Sulla figura di Carlo Grillo si trovano interessanti accenni in G.CANDIANI, «Navi per la nuova

marina della Spagna borbonica: l'asiento di Stefano De Mari, 1713-1716», in «Mediterranea. Ricerche

Storiche», XII, 2015, pp. 107-143.

859ASCF, Camera, Tribunale delle Prede Marittime, 110, fascicolo del 30 novembre 1708. 860Archivo Museo Naval di Madrid (d'ora in avanti AMNM), Ms 374, 14 giugno 1679. 861ASG, Archivio Segreto, Maritimarum, 1682, 10 febbraio 1708.

finalino, Carlo Gio. Rosso862. Il Giordano era un uomo di origini onegline863 ma abitava da

tempo nella marina del Marchesato: egli era munito di regolare patente, concessagli dal Principe Eugenio di Savoia864 e fu un altro di quei finalini che si distinsero sul mare durante la

Guerra di Successione Spagnola negli ultimi e decisivi anni del conflitto. Anche lui come Giacomo Borro – attivo negli stessi mesi – orientò le proprie campagne corsare nelle acque francesi: d'altronde, se l'armatore del gozzo da lui patroneggiato era Gio. Carlo Lama – un mercante abitante a Finale – il vero «interessato» nell'impresa era il sergente maggiore della piazza finalese, dettaglio che sta ad indicare un interesse politico verso la guerra di corsa più accentuato rispetto al passato quando era un affare in mano perlopiù ai patroni e marittimi locali. Non a caso, negli ultimi giorni del 1711, Gio. Batta Giordano riuscì ad avere fortuna nelle acque comprese tra l'estremo ponente ligure e la Provenza: egli sottrasse ad un francese alcune balle di cera e riuscì ad impadronirsi di un battello di Mentone. Trattandosi di prede che non avevano un particolare valore o non presentavano elementi dubbi, egli interagì con il Console Francesco Maria Sardi per venderle direttamente a San Remo e poter proseguire la caccia.

In effetti, pochi giorni dopo, intercettò la feluca di un genovese che aveva imbarcato due corrieri al servizio di Filippo V i quali, vistisi attaccati dai corsari, gettarono in mare le valigie contenenti i dispacci diretti al Marchese di Monteleone ma Gio. Batta Giordano, senza alcun timore dell'acqua gelida, si gettò con le mani in acqua e riuscì a recuperarle865. La preda era di

considerazione indubbiamente maggiore rispetto alle precedenti: il corsaro si diresse alla volta del Finale dove informò dell'accaduto il finanziatore della sua impresa, vale a dire il sergente maggiore, e naturalmente anche il Governatore del Marchesato866. Mentre a Genova la Giunta

di Marina chiese ai Collegi di rimettere la questione all'inviato Doria a Milano affinché ottenesse la liberazione della feluca867, a Finale si stava già procedendo all'incanto della stessa

feluca genovese: in base alle istruzioni che vennero fornite a Carlo Gio. Rosso – e, quindi, allo stesso Giordano – i corsari avevano il dovere di condurre nei porti soggetti al dominio di Carlo III «qualsivoglia imbarcazione de neutrali, che portassero lettere a paesi nemici, o le prendessero da quelli» manifestando, in tal modo, di favorire il nemico Duca d'Angiò868. Il

862Carlo Gio. Rosso aveva ricevuto la patente di corsa il 16 settembre 1707 ma due mesi dopo, a causa della propria infermità, fu costretto – come già anticipato – a nominare come proprio tenente Gio. Batta Giordano, un uomo naturale di Oneglia ma residente nel Marchesato. ASM, Carteggi consolari, 25, 26 novembre 1711. Si precisa che un'altra copia della lettera di marca concessa a Carlo Gio. Rosso si trova nei registri del Consiglio di Spagna in Vienna: anzi, per la precisione, nello stesso registro sono state individuate due patenti intestate allo stesso finalino, una datata 16 settembre 1707 – come la copia conservata nell'Archivio di Stato di Milano – e una datata 26 ottobre 1707. ASN, Consiglio di Spagna in Vienna, 219, 26 ottobre 1707. Quest'ultimo documento riporta ai margini del testo una postilla da cui si evince che analoga concessione riguardò, nell'aprile 1708, altri due patroni del Finale – Gio. Batta Battagliero e Pietro Gio. Allegro – che, tuttavia, non hanno lasciato tracce documentarie in tal senso.

863Secondo varie testimonianze, Gio. Batta Giordano non sarebbe stato di origini onegline bensì francesi e, precisamente, di Saint-Tropez. ASCF, Camera, Tribunale delle Prede Marittime, 112, fascicolo del 16 aprile 1712.

864ASM, Carteggi consolari, 25, 28 dicembre 1711. Precedentemente, aveva ottenuto una patente dallo stesso sovrano: nel documento non si precisava la durata della concessione dunque non è chiaro per quale motivo egli ne ottenne un'altra dal Principe Eugenio. ASCF, Camera, Tribunale delle Prede Marittime, 107, 11 agosto 1710.

865Anche in passato i finalini erano entrati in possesso di dispacci diretti al nemico: nel 1709 il patrone Giorgio Pria aveva perquisito un bastimento genovese su cui era imbarcato un passeggero francese che doveva consegnare alcune missive per Monsieur d'Auberville, ambasciatore francese di stanza a Genova. ASCF,

Camera, Tribunale delle Prede Marittime, 110, fascicolo del 11 marzo 1709.

866ASCF, Camera, Tribunale delle Prede Marittime, 111, fascicolo del 24 dicembre 1711. 867ASG, Archivio Segreto, Maritimarum, 1685, 5 gennaio 1712.

legno – secondo la stima offerta da Giuseppe Cavallo e Domenico Beggino, entrambi patroni da oltre trent'anni – aveva un valore di 463 lire e all'asta parteciparono gli stessi corsari finalini: Francesco Benzo – definito, ormai, semplicemente “patrone” – propose 200 lire ma presto Gio. Batta Giordano alzò notevolmente il valore dell'asta offrendo 350 lire mentre i rilanci successivi – sia da parte Francesco Benzo sia di Benedetto Corallo – furono più modesti. Molto probabilmente non si trattò di altro che di un escamotage per attirare le attenzioni di Gio. Batta Menino, il patrone genovese predato il quale – forse scoraggiato e consapevole della vanità delle proteste genovesi con il governo milanese – si inserì tra gli astanti proponendo di riacquistare il suo bastimento per 400 lire: Pietro Francesco Oliva, un uomo abitante nella Marina, osò ancora di più offrendo 425 lire. Ostinato, il genovese si dichiarò disposto a pagarne 426 e, a quel punto, quando ormai era chiaro che non si sarebbe potuto ricavare di più, il legno venne deliberato a patron Menino869.

Il corsaro Giordano – diventato, nel frattempo, tenente di Carlo Bergallo – si tratteneva al largo di Ventimiglia dove visitava, senza mancare di molestare, bastimenti genovesi e nel gennaio 1712 predò, a mezzo miglio da terra da Ventimiglia, due gondole di Santo Stefano cariche di grano. Tuttavia, mentre il corsaro stava conducendo le sue prede verso Finale, alcuni patroni di Porto Maurizio armarono una barca e liberarono le prede mentre Gio. Batta Giordano, costretto ad investire in terra, venne incarcerato insieme ai suoi uomini. Le autorità genovesi ebbero così modo di riscontrare la presenza a bordo di alcuni sudditi della Repubblica: un «nationale […] bandito di galea» ed un savonese bandito capitale. Il Governatore di Finale si lamentò per l'accaduto – sosteneva che a bordo delle gondole di Santo Stefano fossero presenti nemici – e fece istanza per la liberazione del corsaro e perché gli venisse data la possibilità di condurre i due legni nel Marchesato e procedere alle indagini necessarie. Il caso, sfortunatamente, non è documentato in maniera completa ma si sa con certezza che, dopo circa un mese di carcere, il Giordano venne rilasciato870: riprese a scorrere i

mari e realizzò nuovi arresti a danno dei patroni genovesi ma senza ottenere risultati particolari871.

A dimostrare la sicumera dei finalini negli ultimi anni della guerra sono le carte che testimoniano il tentativo di armamento della barca La Fidelara che il Capitano Giuseppe Vacca872 cercò di realizzare nel porto di Savona con la collaborazione del mercante savonese

Giuseppe Oneto il quale – dichiaratosi poi ignaro in merito al reale impiego del legno – aveva investito su di essa mille pezze in cambio marittimo: il governo genovese, dopo aver scoperto che il Capitano finalino cercava di «far compra di granate, palle di canone, focili, armi bianche, et altre d'asta», intimò ai propri sudditi di restare estranei alla faccenda ingiungendo «a padroni, et a chi s'era intromesso per la vendita a non ingerirzele, et a remolaro che l'aveva fabricato remi dodeci a non fargliene la consegna», emanando infine un ordine di arresto nei confronti di «Giuseppe Casale denominato Bolin di Boccad'asino dichiarato di detta barca Capitano Tenente»873. In ogni caso, forse nello stesso Marchesato, Giuseppe Vacca riuscì a

rendere la barca idonea ad intraprendere la guerra di corsa, dedicandosi ad essa tra il febbraio e il maggio 1712: anche quando non esplicitato, con buona probabilità era la sua la «barca

869ASCF, Camera, Tribunale delle Prede Marittime, 111, fascicolo del 24 dicembre 1711. 870ASG, Archivio Segreto, Maritimarum, 1686, 23 gennaio 1712.

871È il caso, ad esempio, della preda commessa a danno di Gio. Antonio Euzebio di San Remo: a bordo venne individuato un certo quantitativo di ferro – materiale ritenuto di contrabbando – che venne requisito, rilasciando il patrone e il legno. ASCF, Camera, Tribunale delle Prede Marittime, 112, fascicolo del 16 aprile 1712.

872Egli era fratello dell'alfiere Gio. Batta Vacca che, nei primi anni della guerra, era imbarcato sulle feluche accordate per il Real Servizio.

corsara finalina» che, tra Varigotti e Noli, «infesta[va] tutti i bastimenti nationali» e, come avvisò il Governatore di Savona, essa era la causa che impediva la partenza ai bastimenti presenti in porto, molti dei quali carichi di merci per Marsiglia874. Numerose, in effetti, furono

le denunce pervenute ai Collegi sui danni patiti per mano del Capitano Vacca: quelle del savonese Domenico Bosco875, del laiguegliese Pietro Giovanni Mayone e del cervese Gio.

Battista Alasio876 ne rappresentano indubbiamente solo una piccola parte. Giuseppe Vacca –

evidentemente conscio della disapprovazione del Governatore che, proprio in quel periodo, aveva ammonito i corsari del Finale per le loro male azioni – dopo aver sottratto dell'olio a patron Alassio non era rientrato nel Marchesato bensì si era diretto in Sardegna dove tentò di vendere il prodotto, spacciandolo per «effetti di nemici». Le informazioni, però, circolarono più velocemente dello stesso corsaro ed arrivarono all'orecchio di Gio. Tomaso Monscardino, Console a Cagliari per la Repubblica di Genova, il quale – all'arrivo del Capitano Vacca nel porto sardo – fece ricorso al Viceré del luogo877: i Collegi emanarono un ordine di arresto nei

suoi confronti ma, evidentemente, egli riuscì ad allontanarsi dalle coste sarde prima che ciò potesse avvenire dato che, ai primi di maggio, il Governatore di Bastia rassicurò la Repubblica di Genova in merito alla «mira particolare» che avrebbe prestato nell'esecuzione dell'ordine878.

Ma, in fin dei conti, né gli arresti, né le missioni dello stuolo pubblico genovese, né l'intervento sul piano diplomatico poterono smorzare il dinamismo dei corsari finalini che interruppero le loro campagne corsare solamente all'esaurirsi del conflitto.

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