• Non ci sono risultati.

Capitolo I – L'inizio del conflitto e la questione della neutralità genovese e toscana

I. 3 «Un personaggio tanto prestigioso quanto ingombrante»: la presenza nel porto d

I.4 Corsari dell'imperatore: il caso dei sudditi genovesi

I.4.2 L'intervento del Console Gavi

Tornando a trattare la questione dei genovesi armati in corso in nome dell'Imperatore è opportuno precisare per quale motivo possa essere meritevole il dilungarsi sul tema. Potrebbe, forse, apparire fuorviante continuare a parlare di loro, una volta esplicitati per sommi capi i tratti salienti della questione e le ricadute per gli Stati neutrali che, loro malgrado, si trovarono coinvolti nella faccenda. Ebbene, nel momento in cui le forze asburgiche che sostenevano le pretese dell'arciduca Carlo d'Austria al trono di Spagna non avevano ancora ottenuto successi così significativi sul piano terrestre né disponevano di una forza navale, la presenza di corsari al servizio di Leopoldo I si può definire come una delle forme assunte dal conflitto che, in ambito terrestre, opponeva tra loro Asburgo e Borbone e, per questo motivo, non può restare nel silenzio. Il fatto che si tratti di sudditi genovesi – e, come vedremo più avanti, anche toscani – è un ulteriore arricchimento per un aspetto già di per sé stimolante.

Si è detto che il primo genovese a rendersi protagonista della guerra di corsa con vessillo imperiale fu Sebastiano Vario il quale, dopo essere stato incarcerato in Civitavecchia, venne rilasciato grazie all'intervento del Conte Lamberg: le istanze rivolte alla Corte papale erano cadute nel vuoto ma la situazione si era sbloccata presumibilmente grazie all'interesse del Cardinale Grimani, colui che era stato artefice della Congiura di Macchia227.

Alcuni mesi dopo i fatti considerati, venne segnalata la presenza di Sebastiano Vario nel porto di Livorno dove aveva condotto di presa tre feluche napoletane228: mentre il patrone si

trovava con lo scrivano e i marinai nel «luogo deputato per lo scarico», il Console Gavi colse l'occasione per recarsi dal genovese e leggergli la grida proibitiva emanata dalla Repubblica di Genova e l'ordine dei Collegi di desistere dall'armamento in corso. Sebastiano Vario parve

224ASM, Carteggi consolari, 25, lettera del Conte Lamberg a Sebastiano Vario, 14 aprile 1703.

225Nel documento si legge il cognome Quaino: questa è una delle varianti – come, ad esempio, Duaino o Bagnino – con cui si scrive il nome del patrone: ciò non deve creare disorientamento, l'analisi delle carte permette di eliminare ogni dubbio ed affermare con certezza che si tratta sempre della stessa persona, ovvero Gio. Batta Dagnino.

226ASF, Mediceo del Principato, 2541, lettera del Governatore di Portoferraio alla Segreteria di Guerra, 22 dicembre 1702.

227ASM, Carteggi consolari, 25, lettera del Conte Lamberg a Sebastiano Vario, 13 gennaio 1703.

228Due delle tre feluche erano salpate da Livorno alla volta di Napoli con un carico eterogeneo di merci mentre la terza era, probabilmente, destinata allo scalo livornese con un carico di canne di archibugio.

accogliere con buona disposizione d'animo quanto riferitogli dal Console garantendo di aver già intenzione di «non proseguire il corso», sebbene solamente dopo aver «accomodato l'affare delle prese» napoletane229, come effettivamente accade qualche mese dopo. Una

conferma in tal senso si trova constatando la diminuzione dell'equipaggio ai suoi comandi che, licenziato, rimase in attesa della ripartizione dei profitti ricavati dalle prede230.

Nel frattempo, emerse un nuovo elemento che accrebbe l'apprensione provata dall'organo di governo genovese: i predati avevano dichiarato che, al momento dell'assalto, patron Vario non inalberava bandiera imperiale bensì genovese231. La Repubblica di Genova chiese al Gavi

di compiere ogni sforzo possibile per capire se il Vario avesse potuto assoldare marinai in qualche luogo delle due Riviere e, contemporaneamente, provvide a una nuova affissione del bando proibitivo nelle diverse località costiere liguri, rassicurando al contempo l'inviato Montreal sul fatto che si stesse procedendo per punire l'uomo, per lo sconsiderato utilizzo della bandiera genovese. Lo stesso Imperatore ordinò all'Ambasciatore Lamberg di proteggere Sebastiano Vario «con ogni sforzo» – espressione emblematica dell'interesse di Leopoldo I nel fomentare la guerra di corsa – ma, contemporaneamente, intervenne per moderare la condotta del corsaro, redarguendo quest'ultimo sul «servire fedelmente, e non impegnare Sua Maestà con altri, che con nemici suoi dichiarati», auspicando la realizzazione di qualche preda francese232.

Infine, l'efficiente Console Gavi fornì, nelle sue puntuali lettere233, un dettaglio utile a

questa ricerca facendo riferimento al fatto che il corsaro imperiale avesse ottenuto «salvo condotto reale e personale per debiti forastieri»: anche nel suo caso, così come era accaduto per patron Dagnino, l'essere in difficoltà economica potrebbe spiegare per quale motivo un genovese si fosse impegnato nella guerra di corsa in nome di Leopoldo I. A segnare un punto conclusivo nella faccenda fu la decisione presa, nella primavera del 1704, da patron Sebastiano Vario di vendere la barca – che da molti mesi restava ancorata nel molo di Livorno234 – a un patrone di Lavagna, Bartolomeo Codevoli, il quale intendeva farla

«navegare in mercanzia». In mancanza di dati certi, resta difficile riuscire a motivare questa scelta del patrone genovese e, per poter avanzare delle ipotesi, bisogna sempre tenere in considerazione che egli aveva scelto di tentare la via della guerra di corsa in un momento in cui era sopraffatto dai debiti: pertanto, si può supporre che fosse riuscito a riabilitarsi agli occhi dei suoi creditori – desiderando, a quel punto, il perdono della Repubblica per poter rientrare «a Pra sua patria» e riprendere in mano la sua vita da dove l'aveva interrotta – oppure che egli si fosse trovato in una situazione ancora più complicata da gestire e, a fronte delle pene in cui erano incorse le persone che avevano collaborato con lui, si fosse deciso a desistere, invocando la clemenza dei Collegi235.

229ASG, Archivio Segreto, Lettere Consoli, 2683, lettera del Console Gavi, 9 aprile 1703. 230ASG, Archivio Segreto, Lettere Consoli, 2683, lettera del Console Gavi, 30 maggio 1703.

In una delle lettere che il Vario scriveva ai proprietari del bastimento, li informava che la presa condotta in Civitavecchia valeva all'incirca mille pezze mentre ancor più significativo – all'incirca diecimila pezze – era il profitto che si stimava di poter ottenere dal carico delle tre feluche napoletane condotte a Livorno. Cfr. ASG, Archivio Segreto, Maritimarum, 1678, lettera di Sebastiano Vario ai proprietari della nave, 25 maggio 1703.

231ASG, Archivio Segreto, Lettere Consoli, 2683, lettera del 11 aprile 1703.

232ASM, Carteggi consolari, 25, lettera del Conte Lamberg a Sebastiano Vario, 19 maggio 1703.

233Zamora Rodríguez nel suo saggio evidenzia l'importanza dei diversi consoli della famiglia Gavi nel flusso di informazioni tra le città portuali di Genova e Livorno. F.J. ZAMORA RODRÍGUEZ, Génova y Livorno en la

estructura imperial hispánica..., cit., pp. 612-613.

234ASF, Mediceo del Principato, 2224, lettera del Governatore di Livorno alla Segreteria di Guerra, 28 aprile 1704.

I.4.3 Il coinvolgimento di alcuni sudditi toscani nell'armamento della barca imperiale

Outline

Documenti correlati