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I corsari di Carlo III: i provvedimenti dei giusdicenti corsi e le reazioni de

Capitolo III – La guerra di corsa nel Mar Ligure e nell'Alto Tirreno: l'attività dei corsar

III.2 Corsica e Capraia

III.2.1 I corsari di Carlo III: i provvedimenti dei giusdicenti corsi e le reazioni de

Inizialmente, vennero segnalate le azioni del corsaro maiorchino Giacomo Gomilla, parzialmente ricostruite nel capitolo precedente, trattando dello scontro in mare tra questi e il napoletano Peppe Fumo: ma se le prede realizzate dal Capitano Gomilla in quell'occasione interessarono le acque della Sardegna, il suo scontro con il nemico napoletano avvenne poi in vicinanza delle coste corse dove, tra l'altro,approdò il legno genovese arrestato che si era posto in salvo. Gli strascichi del fenomeno, dunque, ebbero le loro ricadute più significative proprio nell'isola genovese dove le autorità avevano avviato le indagini: gli interrogatori rivolti ai marinai che si erano rifugiati a Bonifacio, insieme ai resoconti forniti dai governatori di Bastia e di Ajaccio, costituiscono la fonte che ha consentito di sviscerare il caso in questione.

Il corsaro di Maiorca costrinse i giusdicenti corsi ad un impegno ancora maggiore: nel giugno 1707 arrestò, «sotto il tiro del cannone» di Ajaccio, la barca di un patrone genovese; Gomilla attaccò «con tutta fretta […] doppo haver riconosciuto che la barca genovese veleggiava» proprio alla volta di Ajaccio. Come spesso accadeva, pareva che il corsaro avesse agito «sotto vani, e mal fondati pretesti» e il Governatore del luogo, per evitare che il legno di preda potesse essere condotto via dal porto corso decise di farla «sequestrare, et incatenare» e, per maggior sicurezza, «levare timoni, e vele»: il Capitano Gomilla, in effetti, ebbe anche l'ardire di venderla in loco ad un patrone maltese515. Nessun stupore, dunque, di fronte alla

notizia della sua incarcerazione in Ajaccio: un provvedimento effimero, cui fece seguito il rilascio, avvenuto a distanza di pochi giorni secondo uno schema collaudato, sulla base di una «obligatione giuratoria di non fare alcun pregiudicio a sudditi [genovesi] ne alli loro bastimenti»516.

Anche nei confronti di altri corsari di Carlo III venne emanato un ordine di arresto come nel caso del catalano Domenico Cardi – il quale nell'estate 1709 predò «ne' mari della Francia» un patrone di Diano ed approdò in Corsica a causa del cattivo tempo – e di alcuni corsari di Cagliari – che, tra la primavera e l'estate del 1712, si resero protagonisti di molte insolenze lungo le coste dell'isola. Il ricco e dettagliato fascicolo processuale che riguarda il Capitano Cardi rappresenta in maniera emblematica alcuni aspetti meritevoli di considerazione: da un lato, illustra con estrema precisione la gestione delle prede marittime (inventariazione del carico predato, costi di gestione, ecc.), dall'altro, evidenzia senza mezzi termini la vanità dei provvedimenti adottati dalle autorità locali per cercare di affrontare il problema corsaro. Su quest'ultimo punto è esemplificativo il comportamento del patrone catalano il quale, dopo essere stato costretto dai Conservatori del Mare a restituire il consistente carico di tabacco predato – 359 balle «alla ragione di roletti n. dieci per ciascuna balla» – che reputava di proprietà francese517, non esitò ad attaccare per ripicca altri legni con

515ASG, Archivio Segreto, Maritimarum, 1681, 21 giugno 1707. 516ASG, Archivio Segreto, Maritimarum, 1681, 1° luglio 1707.

517Il caso di preda risaliva all'agosto 1709, ma solamente nel mese di novembre si assistette al rilascio – su «sigurtà» da parte del patrone interessato – del carico; la barca, invece, fu restituita nell'immediato non essendovi alcun dubbio sulla proprietà genovese. ASG, Archivio Segreto, Maritimarum, 1683, 13 novembre 1709.

bandiera della Repubblica di Genova. Lo dichiarò esplicitamente lo stesso Domenico Cardi quando, in maniera affatto casuale, arrestò due barche salpate da Bastia con un ricco «fondo» di contanti destinati in parte al riscatto di schiavi a Biserta e in parte all'acquisto di grano: il corsaro reputò di «essere stato pregiudicato» dal Governatore di Bastia «di pezzi 9000 da otto reali, valuta di tanti tabacchi, che avea predato» e, poi, «costretto a rilasciare»518. Da un

documento, che riporta un nuovo assalto del corsaro, si apprende anche che egli restituì quasi integralmente la somma sottratta salvo trattenere per sé una percentuale, equivalente al 11% del totale: a partire da quel momento i Collegi ordinarono al Governatore di Bastia di arrestarlo non appena fosse tornato nell'isola519. L'obiettivo era sempre lo stesso: imporre il

rilascio di quanto non ancora restituito ai sudditi della Repubblica e la liberazione del corsaro dopo avergli fatto «fare ingionzione […] di non già corseggiare in pregiudizio de' bastimenti nazionali»520 – anch'essa, come molte altre, inefficace.

Il catalano, infatti, cercò di condurre di presa in Sardegna altre barche genovesi ma, complice il vento che spingeva in direzione della Corsica, i predati riuscirono a tagliare l'ancora e salvarsi in Bonifacio dove i marinai catalani che si trovavano a bordo erano stati imprigionati. È proprio questo l'elemento di interesse dell'episodio accennato poiché, se non si può dar credito al Governatore di Bastia quando esplicitava il suo intento di «domandar conto delle loro ingiuste operazioni», si può invece riconoscere quale fosse il punto di forza su cui far leva per mutare la situazione a favore dei “nazionali” vessati dal corsaro: i marinai del suo equipaggio sarebbero serviti come «caparra dell'altra barca, e gente rimasta in [suo] potere»521, per ottenere il rilascio dei genovesi che non erano riusciti a fuggire e di altri che

erano stati arrestati nel frattempo522. A volte, tuttavia, gli esiti furono tragici: lo dimostra

efficacemente il caso di un «tal patron Antonio napolitano» – presumibilmente lo stesso che, per un certo periodo, dimorò in Oneglia – il quale, volendo condurre un legno predato a Cagliari, venne costretto dalle correnti ad approdare a Campoloro, giurisdizione della Corsica: qui, cercò di far passare per nemica una preda che, in realtà, era genovese. Le parole scritte dal Capitano della torre del luogo restituiscono, in tutta la loro drammaticità, la disperazione dei predati e, particolarmente, del patrone, Giacinto Musso di Laigueglia: questi, dopo aver riconosciuto di essere in territorio genovese, urlò con forza e dichiarò la vera nazionalità per ricevere aiuto; poi, per sfuggire alla violenza del corsaro, si gettò in mare ed annegò523. Il

corpo dell'uomo, dopo essere stato recuperato, venne seppellito nella stessa Campoloro: il suo gesto estremo aveva salvato la tartana ed il resto dell'equipaggio poiché il corsaro si diede alla fuga, abbandonando la presa.524

Se c'era chi, come Giacinto Musso, non si rassegnò all'idea di essere stato catturato dai corsari e di dover subire gli esiti di un processo – spesso con cavilli e pretesti che ne dilatavano i tempi – prima di poter portare a compimento una spedizione di carattere commerciale, ci fu anche chi reagì in maniera del tutto opposta. Per considerare le diverse

518I due patroni predati erano Geronimo Gottuzzo e Lorenzo Guarello, entrambi di Portofino: al primo erano stati sottratti 3.466 pezzi da otto reali, al secondo 260 pezzi da otto reali e 960 scudi d'argento. ASG, Archivio

Segreto, Maritimarum, 1683, 20 novembre 1709.

519ASG, Archivio Segreto, Maritimarum, 1683, 6 dicembre 1709. 520ASG, Archivio Segreto, Maritimarum, 1683, 30 dicembre 1709. 521ASG, Archivio Segreto, Maritimarum, 1684, 10 gennaio 1710.

522ASG, Corsica, 648, 10 febbraio 1710. L'unica eccezione è data dalla barca di patron Angelo Serra di Bonasola che, col carico di grano, venne spedita a Barcellona: la ragione può essere dovuta alla penuria di questo prodotto negli anni 1709-1710 che rendeva necessario il suo approvvigionamento ad ogni costo. Si ignora il carico delle altre due barche rilasciate – quelle dei patroni Santo Barbieri e di Crisanto Luchetti – per cui non si può insistere oltre sulla riflessione.

523ASG, Archivio Segreto, Maritimarum, 1683, 17 settembre 1709. 524ASG, Archivio Segreto, Maritimarum, 1683, 24 settembre 1709.

reazioni, si torni per un momento alla pratica – già considerata per il caso del catalano Cardi – di arrestare legni neutrali per rilasciarli dietro corresponsione di una certa somma di denaro: si trattava di una prassi affatto inusuale poiché ad essa ricorsero anche i cinque feluconi trapanesi che, volendo prestar fede alla documentazione dell'Archivio Segreto genovese, avevano «comprato […] la patente d'armatori» a Cagliari e si aggiravano per le loro crociere corsare nelle Bocche di Bonifacio. Qui, avvalendosi di un bonifacino nel ruolo di spia525,

impedivano il passaggio ai legni genovesi: raramente sottrassero parte del carico – quando accadde, si trattò perlopiù di commestibili, munizioni e merce di scarso valore – mentre frequentemente si dichiararono disposti a lasciar proseguire i bastimenti intercettati in cambio di denaro526. In alcune occasioni i cinque feluconi incontrarono patroni che opposero

resistenza alle loro arbitrarie richieste: ma, in quel caso, i trapanesi armati per Carlo III minacciarono di condurli a Napoli dove, presumibilmente, lo svolgimento delle pratiche – e i lunghi tempi che esse richiedevano – sarebbe risultato molto più gravoso; probabilmente è questo il motivo che indusse i tanti patroni genovesi a non dolersi più di tanto di questa seccatura, reputandola un male minore.

Si sta delineando, pertanto, un contrasto significativo con le dinamiche espresse nel capitolo precedente in cui si è dato spazio alla “personalizzazione” della guerra di corsa con l'emergere di protagonisti di indiscutibile peso nello scacchiere del Mediterraneo, in grado di fare fortuna sul mare in tempo di guerra grazie a lauti bottini ma, soprattutto, di determinare una partecipazione delle figure consolari al fenomeno corsaro; infine non va dimenticato il loro ruolo di catalizzatori dell'interesse della diplomazia internazionale. In questo capitolo, invece, emerge un altro lato della guerra corsara, non meno interessante e che avrà modo di essere approfondito nelle pagine che seguiranno: l'adesione alla guerra di corsa non per desiderio di incrementare le proprie ricchezze, bensì come attività economica necessaria nel momento in cui venivano meno oppure diventavano difficoltosi o pericolosi, per via della guerra, determinati circuiti commerciali.527 In questo senso, se l'obiettivo era meramente

quello di ottenere denaro per la propria sussistenza, si può ben comprendere la pratica appena considerata: la richiesta, avanzata dai corsari ai patroni arrestati, dello «sborso di denaro» si rivelava favorevole tanto per le vittime – che, come si accennava, potevano correre rischi ben peggiori – sia per i loro assalitori che, senza troppa fatica e senza dover attendere i lunghi tempi della giustizia, raggiungevano immediatamente il loro scopo528.

525L'isola era composta essenzialmente da agricoltori e pastori con un retroterra economico certamente non molto florido: ciò potrebbe spiegare il motivo per cui singole figure scegliessero di dedicarsi ad attività disoneste ma certamente profittevoli. M. P. ROTA, L'apparato portuale della Corsica “genovese”: una

struttura in movimento, in G. DORIA, P. MASSA PIERGIOVANNI (a cura di), Il sistema portuale della Repubblica di Genova..., p. 301. Questo particolare non deve indurre a credere che l'isola restasse ai margini

delle attività marittime: per quanto non sviluppate in maniera così significativa rispetto a quel che ci si potrebbe attendere, specie se paragonato con le altre realtà della penisola italiana, esse non rappresentano affatto una componente trascurabile per l'economia dell'isola, come ha dimostrato L. LO BASSO, Le

cabotage corse et la Dominante, patron marins, escales et trafics, XVII-XVIII siècles, in Corsica Genovese...

pp. 78-86. Sull'interessato coinvolgimento dei sudditi corsi in episodi di prede marittime si trovano accenni anche in C. COSTANTINI, Aspetti della politica navale genovese..., cit.,, p. 218.

526ASG, Archivio Segreto, Maritimarum, 1686, 20 marzo 1712.

527Su quest'ultimo punto ho riflettuto, prendendo ad esempio il caso del Marchesato del Finale, in T. DECIA,

Padroni marittimi tra commercio, forme assistenziali e guerra di corsa: il Marchesato del Finale tra XVII e XVIII secolo, in corso di pubblicazione.

528D'altronde, non si trattava di una pratica sconosciuta nell'ambiente corsaro: ne parlava Lespagnol quando, studiando l'incidenza commerciale della guerra di corsa, prendeva ad esempio il caso dei corsari di Saint- Malo. Egli notava come la «petite course», coincidente con una «course côtière», prendeva «comme forme

d'action essentielle la multiplication de rançons sur les caboteurs ennemis, et non pas leur capture » – e ciò

Considerando l'attività dei corsari armati per Carlo III, si può notare che anche in Corsica, come nelle due Riviere genovesi, conversero maiorchini, catalani, napoletani e, infine, trapanesi con stendardo di Cagliari. Per quanto la maggior parte degli arresti – e, di fatto, i casi più interessanti da analizzare – vennero commessi contro i legni neutrali o, per meglio dire, genovesi, è importante sottolineare come in quest'area sia riscontrabile un numero maggiore di attacchi diretti contro i bastimenti nemici: si trattò di casi eccezionali nella fase tra il 1702 e il 1707529, più consistenti nel periodo 1708-1713. È opportuno precisare, però,

che ciò pare essere riconducibile non tanto alla volontà di sfiancare il nemico quanto al fatto che diversi corsari agissero di conserva nelle acque della Corsica e, pertanto, con un solo assalto riuscissero a catturare più di una barca530.

III.2.2 I corsari di Filippo V tra Corsica e Capraia: il dinamismo dei legni liparotti

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