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Il ruolo dei Consoli nella gestione delle prede marittime e le ricadute per gli Stat

Capitolo III – La guerra di corsa nel Mar Ligure e nell'Alto Tirreno: l'attività dei corsar

III.3. Livorno e Portoferraio

III.3.4 Il ruolo dei Consoli nella gestione delle prede marittime e le ricadute per gli Stat

Nel febbraio 1709, un corsaro francese arrestò, in maniera del tutto arbitraria, un bastimento con bandiera del Granduca di Toscana e carico spettante a sudditi di Cosimo III: l'episodio – che avrebbe dovuto risolversi in tempi alquanto rapidi con l'ordine di rilascio totale – finì, invece, per impegnare più a lungo del previsto il governo mediceo. Il Console di Francia, Gibercourt, in un primo momento si oppose ad ogni richiesta avanzata dal Governatore di Livorno; successivamente autorizzò il rilascio del carico ma si ostinò nel trattenere il legno, dichiarando che era sua intenzione farlo «fin a che non fosse restituito dalla feluca napoletana quel leutotto genovese» già arrestato dalla «tartana corsara francese, e che dalla feluca [napoletana] era stato ripreso». La pretesa di Gibercourt, nel rivendicare la restituzione della preda, trovava il suo fondamento nel fatto che la feluca napoletana coinvolta era «pescatora» e dedita al rifornimento di pesce per la piazza livornese: in quanto tale, era soggetta a tutele particolari che venivano riservate a questo tipo di bastimenti614 e avrebbe

dovuto restare estranea alla guerra di corsa, «non essendo conveniente, che sotto tal sicurezza» esercitasse tale pratica615.

Il Console Gavi, dal canto suo, si attivò immediatamente, rivolgendosi al collega inglese Crowe, per ottenere il rilascio del leudo genovese: la buona disposizione di quest'ultimo si imbatté nella «pretenzione del Console di Francia» che portò ad una battuta d'arresto nella gestione del caso, rimesso all'attenzione del Gran Duca616. Infatti, il Console inglese dichiarò

al Governatore di Livorno – il quale aveva cercato di perorare la restituzione del legno – di non aver alcun intenzione di «restituirlo ai francesi», nel chiaro intento di invalidare la loro preda617. Non sono noti documenti che consentano di conoscere con precisione come si sia

610Su di lui si rimanda alla voce curata da G. RICUPERATI, Dizionario Biografico degli Italiani, 1971, vol. 13. 611M. AGLIETTI, Politica, affari e guerra..., cit., p. 367.

612ASF, Mediceo del Principato, 2233, lettera del Governatore di Livorno alla Segreteria di Guerra, 20 aprile 1712.

613ASF, Mediceo del Principato, 2234, lettera della Segreteria di Guerra al Governatore di Livorno, 11 aprile 1713.

614Le barche impiegate nella pesca erano assimilate a «bastimenti di servizio» del porto labronico e perciò «liberi», ovvero immuni, dagli insulti dei corsari.

615ASF, Mediceo del Principato, 2230, lettera del Governatore di Livorno alla Segreteria di Guerra, 15 febbraio 1709.

616ASG, Archivio Segreto, Maritimarum, 2684, lettera del Console Gavi alla Repubblica di Genova, 20 febbraio 1709.

617ASF, Mediceo del Principato, 2230, lettera del Governatore di Livorno alla Segreteria di Guerra, 15 febbraio 1709.

evoluta la faccenda: nei carteggi del Console Gavi non si trova più alcun riferimento ma non vi è motivo di credere che il leudo non fosse stato restituito ai suoi legittimi proprietari. In questo contesto, tuttavia, interessava evidenziare come un conflitto tra Gibercourt e Crowe – e, quindi, tra Luigi XIV e Carlo III – determinasse strascichi pesanti per gli Stati neutrali: sia la Repubblica di Genova sia il Granducato di Toscana non furono in grado di ottenere l'immediato rilascio di bastimenti inalberanti la loro bandiera.

Il Governatore di Livorno, rapportandosi continuamente con Cosimo III, regolamentò ulteriormente la situazione dei piccoli legni impiegati nella pesca: era emerso, infatti, che uno dei patroni napoletani fosse munito di lettera di marca618. Tornaquinci scrisse a Firenze e

commentò con toni indignati questo «nuovo abuso dei bastimenti pescatori […] tutto fuori di ragione»: per evitare ulteriori inconvenienti, reputò opportuno che gli aspiranti pescatori assicurassero di «non andar in corso» e che, per troncare ogni problema, i corsari non venissero «ammessi come pescatori per la sicurezza della navigazione»619. L'ipotesi di «far

dare ai pescatori la sicurtà col mallevadore» finì per essere reputata sia da Tornaquinci sia da Del Nero come superflua poiché la maggior parte dei pescatori erano genovesi e livornesi dai quali non si aveva nulla da temere. A proposito dei napoletani per i quali, invece, la misura sarebbe stata idonea, questa non venne ritenuta applicabile: la loro presenza nei porti toscani era davvero sporadica – non a caso, venivano definiti «passavolanti» – e, in assenza di una consolidata rete di contatti, sarebbe stato per loro «difficile […] trovar mallevadore se non qualche pesciaiolo miserabile, contro del quale in caso di trasgressione poco si [sarebbe potuto] fare». A quel punto, appariva più conveniente «trattare i pescatori napoletani, non come tali, ma come gl'altri bastimenti di nazione in guerra»: allo stesso tempo, Tornaquinci ragionò lucidamente sulla situazione e fece presente al Segretario di Guerra che «il male [...] delle spesse impertinenze fatte dai legni sottili corsari» non era da imputare ai pescatori napoletani – il caso, seppur con tutti i gravami che aveva comportato era da ricondurre ad un'eccezione – bensì ai bastimenti armati a Piombino, Orbetello e Porto Longone. Da questi porti poteva essere studiata la navigazione nel Canale di Piombino e, non appena veniva individuata «qualche vela al mare», i corsari se ne ponevano in caccia senza prestare riguardo ad alcuna bandiera: in conclusione, per chiarire ulteriormente la gravità della situazione, il Governatore di Livorno scriveva che nel porto non vi fosse più nessun legno disponibile a «caricar cosa veruna per Portoferraio» determinando «un gran danno per quella piazza»620.

A distanza di pochi giorni dalla vicenda considerata, i sudditi delle Due Corone provvidero a vendicare il torto subito dalla tartana francese: un felucone corsaro messinese catturò una feluca «pescatora» napoletana e, «per averli trovato la patente di corsaro», la condusse a Portoferraio per venderla621. Per porsi al riparo da ulteriori fastidi, il governo mediceo precisò

che il provvedimento – originariamente pensato per i napoletani – fosse da estendere a tutti « i pescatori di nazioni in guerra»622.

618ASG, Archivio Segreto, Maritimarum, 2684, lettera del Console Gavi alla Repubblica di Genova, 20 febbraio 1709.

619ASF, Mediceo del Principato, 2230, lettera del Governatore di Livorno alla Segreteria di Guerra, 15 febbraio 1709.

620ASF, Mediceo del Principato, 2230, lettera del Governatore di Livorno alla Segreteria di Guerra, 18 marzo 1709.

621ASF, Mediceo del Principato, 2230, lettera del Governatore di Livorno alla Segreteria di Guerra, 20 marzo 1709.

622ASF, Mediceo del Principato, 2230, lettera del Governatore di Livorno alla Segreteria di Guerra, 22 marzo 1709.

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