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Proteggere la navigazione: i provvedimenti degli Stati neutrali

Capitolo III – La guerra di corsa nel Mar Ligure e nell'Alto Tirreno: l'attività dei corsar

III.4 Proteggere la navigazione: i provvedimenti degli Stati neutrali

A questo punto è opportuno riflettere sugli accorgimenti adottati dalla Repubblica di Genova e dal Granducato di Toscana per tutelare la navigazione nei mari soggetti alla loro giurisdizione e per elaborare strategie efficaci nel garantire continuità ai traffici commerciali dei loro sudditi.

Alcuni provvedimenti vennero presi per salvaguardare, in generale, i legni mercantili: un esempio viene offerto dalla direttiva, già accennata, che regolava la partenza di bastimenti tra loro nemici a un certo numero di ore di distanza (da un minimo di 12 a un massimo di 24) l'uno dall'altro. Non mancarono occasioni, nel corso della guerra, per tornare su questo punto come quando, nel 1707, il Minor Consiglio della Repubblica di Genova – in occasione di un viaggio che un ufficiale tedesco doveva compiere alla volta di Barcellona, a bordo di una barca finalina – discusse a proposito della necessità di pretendere dai «Ministri, e Consoli di tutte le nazioniche ciascun de loro bastimenti» dovesse «consentire lo spazio di dodeci ore a bastimenti tra di loro contrarii, che volessero partir prima»: si guardava con sospetto al temuto Peppe Fumo pensando che potesse attentare al legno finalino.

Non che la questione fosse così facilmente risolvibile e, anzi, è degna di considerazione perché tesa a restituire la complessità della macchina diplomatica in ancien régime: il Console Arpe si impegnò a prestare garanzia per il Capitano napoletano ma premise che quest'ultimo si trovava subordinato alle navi da guerra francesi con cui viaggiava di conserva. Pertanto, se queste avessero optato per la partenza dal porto genovese, Peppe Fumo non avrebbe potuto opporsi: il console di Filippo V suggerì di rivolgersi anche al collega francese, Monsieur Aubert. Questi, dal canto suo, replicò che trattandosi di «barche da guerra del Re, comandate da suoi Ufficiali, non già da armatori» la richiesta – che non era di competenza consolare – doveva essere rivolta all'Inviato francese residente a Genova, Monsieur D'Auberville e si dichiarò disponibile ad affrontare il discorso con il rappresentate di Luigi XIV. L'inviato francese accolse con freddezza le premurose istanze rivoltegli da Aubert, dolendosi del fatto che la Repubblica non avesse trattato direttamente con lui ma si fosse affidata a terzi. Infine, quando l'ingrato compito fu affidato ad un rappresentante della Repubblica, D'Auberville si limitò ad asserire di avere le «mani legate» poiché avendo «trattato per il regolamento di tali partenze, non havea Sua Maestà Cristianissima voluto aderirvi». I giorni trascorrevano e l'ufficiale tedesco restava bloccato nel porto della Dominante senza aver ricevuto alcuna rassicurazione: ancora una volta, Genova si trovò stretta nella morsa di due potenti Stati, l'Impero di Giuseppe I e la Francia di Luigi XIV623.

L'unione di forze tra navi delle Due Corone diede del filo da torcere anche al Granducato di Toscana: ne offre un esempio un episodio risalente all'autunno 1711 quando una galeotta corsara trapanese e la lancia di una barca corsara francese partirono nottetempo dal porto di Livorno «in tempo che in verun conto non dovevano farlo, si per essere partite in quell'istesso giorno tre navi da guerra inglese, e tre corsari zelandesi, come due feluche mercantili napoletane». Le guardie della Sanità redarguirono i corsari ma questi, anziché desistere, risposero di «volersene andare» e di «averne la permissione dal [...] console», precisando di non voler ricevere ordini da nessun altro: non erano trascorse che poche ore quando, nel porto labronico, approdarono alcune navi genovesi che erano state arrestate proprio da quei corsari; ciò sollevò le proteste del Console Crowe, il quale temeva che alcuni bastimenti con un carico di «biscotto» destinato all'armata anglo-olandese potessero anch'essi subire molestie624. Di

623ASG, Archivio Segreto, Maritimarum, 1681, 13 maggio 1707.

624ASF, Mediceo del Principato, 2232, lettera del Governatore di Livorno alla Segreteria di Guerra, 2 novembre 1711.

fatto, la preda marittima in sé esulava dal mancato rispetto delle 24 ore ma è interessante notare un aspetto: in maniera analoga a quanto era accaduto con i Collegi genovesi, il Console di Spagna si dimostrò pronto alla restituzione per l'illegittimità della cattura mentre quello di Francia – seppur, alla fine dei conti, costretto ad ordinare il rilascio – cercò di prendere tempo, attendendo il rientro dei corsari per «sentire le [loro] ragioni»; sperando, evidentemente che qualche cavillo potesse opporsi alla semplicità del caso. Come ha evidenziato Zamora Rodríguez, in passato il Console Silva aveva concesso patenti di corsa ad alcune feluche francesi:625 il suo palese coinvolgimento nelle questioni di prede marittime è indubbiamente

all'origine del diverso comportamento rispetto al collega francese. D'altronde, tra Silva e Gibercourt non mancarono i contrasti: pareva, infatti, che ad aver acconsentito alla partenza della galeotta trapanese e della lancia francese fosse stato solamente l'interessato Console di Luigi XIV il quale, tra l'altro, aveva persuaso il corsaro trapanese rassicurandolo che se avesse voluto «corseggiare sotto la sua direzione […] l'averebbe protetto»626.

Un altro accorgimento fu quello di fornire i patroni – genovesi o toscani – di documenti che attestassero la proprietà neutrale di bastimento e carico: in caso di visita dei corsari, avrebbero disposto di garanzie per non essere molestati e poter giungere senza inconvenienti al porto di destinazione. Su suggerimento di Crowe – evidentemente interessato a rilasciare questo tipo di attestati che avrebbero determinato un certo ritorno economico – il Governatore di Livorno ragionò, non senza perplessità, sull'opportunità di assumere questo provvedimento anche per i bastimenti che erano diretti in «paesi neutri»: dubitava, infatti, che anche i Consoli di Francia e Spagna potessero «voler fare quest'innovazione». Tornaquinci, per le sue riflessioni, prese ad esempio quel che accadeva nella vicina Repubblica di Genova: se aveva un senso produrre i passaporti quando il carico neutrale era condotto in paese nemico per uno degli Stati coinvolti nella guerra – e, d'altronde, ciò avveniva anche nel Granducato di Toscana – quando, invece, questo era destinato in terra neutrale l'opzione era «in arbitrio de Capitani, e mercanti» tanto per i genovesi quanto per i toscani627. Nonostante ciò, la stessa rivendicazione sarebbe

stata avanzata, a Genova, dal Console inglese Kircher che, nel 1706, aveva ricevuto la patente di Console per Carlo III628: la sua pretesa venne accompagnata dalla minaccia – tutt'altro che

velata – di confiscare il carico a bordo di navi genovesi, qualora queste fossero approdate nei paesi ricaduti sotto il controllo del sovrano asburgico senza essere munite del passaporto sottoscritto da Kircher. La replica della Repubblica di Genova fu decisa: «le negoziazioni sono oggidì tanto magre che non son capaci di sopportare altre spese d'attestati»629.

A dimostrare l'intensità delle vessazioni patite dai genovesi per mano dei corsari fu la loro richiesta, avanzata al Magistrato di Sanità, di ottenere patenti “doppie”: una avrebbe dovuto riportare la destinazione reale, l'altra «un luogo o neutrale di tutte le potenze nemiche, o nemico di quel Prencipe al cui porto averanno a viaggiare»; in caso di visita dei corsari, sarebbe stata mostrata quella più adatta come lasciapassare. La Giunta di Marina bocciò la proposta: in tal modo si sarebbe infranta «la fede pubblica»630.

Un'altra misura fu la difesa del tratto di mare compreso entro la distanza coperta dalla

625F.J. ZAMORA RODRÍGUEZ, «La 'pupilla dell'occhio della Toscana'..., cit. p. 161.

626ASF, Mediceo del Principato, 2232, lettera del Governatore di Livorno alla Segreteria di Guerra, 2 novembre 1711.

627ASF, Mediceo del Principato, 2225, lettera del Governatore di Livorno alla Segreteria di Guerra, 1° ottobre 1704. Anche nel dominio genovese, dunque, si rendeva evidente quell'«anomalia istituzionale» su cui ha ragionato Aglietti per il caso livornese.

628ASG, Archivio Segreto, Maritimarum, 1681, 2 febbraio 1706. 629ASG, Archivio Segreto, Maritimarum, 1681, 15 giugno 1707. 630ASG, Archivio Segreto, Maritimarum, 1681, 1° luglio 1707.

gittata del cannone, resa possibile grazie alla presenza delle numerose torri costiere631: nella

documentazione che tratta il tema della guerra di corsa si trovano frequenti riferimenti agli interventi in favore di bastimenti che altrimenti avrebbero rischiato la cattura da parte di legni corsari. Non sempre l'azione portata avanti dai guardiani di torre andò a buon fine: ciò poteva accadere sia per l'audacia dei corsari – che non si facevano alcuno scrupolo a realizzare prede entro la linea della neutralità632 – sia perché le torri non avevano forze sufficienti per assolvere

al loro compito633.

Per tutelare la navigazione nel Mar Ligure, i Collegi genovesi ricorsero alle galere dello stuolo pubblico634, uno strumento «del tutto inadeguato alla funzione che […] gli si

attribuiva»635: queste avevano il compito di pattugliare, di volta in volta, determinate aree ad

elevato rischio di pericolosità ma – non diversamente rispetto a quanto accaduto per il passato – erano ben lungi dal rappresentare una soluzione definitiva. I motivi erano molteplici: in primo luogo lo stuolo pubblico della Repubblica di Genova non era così nutrito da essere in grado di affrontare i numerosi compiti che venivano demandati, tra cui la ricognizione dei mari era solo uno tra gli altri636.

In ogni caso, già dall'ottobre del 1702 – pochi mesi dopo lo scoppio della Guerra di Successione Spagnola – i Collegi ordinarono missioni per le galere genovesi ma, come si accennava, si trattò sempre di una soluzione estemporanea, determinata da particolari contingenze che rendevano necessario un intervento volto a frenare il dinamismo dei corsari fattosi troppo sfrontato637. In che cosa consistevano, nella pratica, le direttive che i Collegi

631Per un primo approccio al tema, si rimanda al classico lavoro di M. LENCI, Corsari. Guerra, schiavi,

rinnegati nel Mediterraneo, Carocci, Roma, 2006, pp. 84-94.

632Per citare alcuni casi, a titolo di esempio: nell'aprile 1706, due corsari francesi assalirono, nonostante la difesa tentata dalla torre di Centuri (Corsica), una navetta nemica [ASG, Archivio Segreto, Maritimarum, 1680, 19 aprile 1706]; nel maggio 1710 un felucone corsaro messinese arrestò, nonostante la difesa portata avanti dal guardiano della torre del Romito (tra Livorno e Castiglioncello), una feluca di cui non è nota la nazionalità [ASF, Mediceo del Principato, 2231, lettera del Governatore di Livorno alla Segreteria di Guerra, 4 maggio 1710]. A volte i corsari osavano, addirittura, portare via dal terreno barche che avevano cercato di porsi in salvo come accadde a dieci feluche napoletane nei confronti di un piccolo battello corsaro francese: a nulla era valso il tentativo di rifugiarsi sotto la torre del Boccale (poco sopra rispetto alla Torre del Romito) [ASF, Mediceo del Principato, 1620, lettera del Provveditore della Dogana di Livorno alla Segreteria di Stato, 30 aprile 1620].

633Sono documentati casi in cui le torri non erano adeguatamente provviste di munizioni (cfr. poco sopra il paragrafo dedicato alla Corsica). Altre volte, invece, mancavano gli effettivi sufficienti: lo dimostra la disposizione del Granduca di Toscana di inviare, nel marzo 1710, un sergente ed alcuni soldati «per rinforzare la difesa della Torre» che si trovava in prossimità della foce del fiume Arno. ASF, Mediceo del

Principato, 2231, lettera del Governatore di Livorno alla Segreteria di Guerra, 31 marzo 1710.

634Sull'origine di questo provvedimento – chiaramente imputabile allo sviluppo della guerra di corsa intra- europea – a partire dalla seconda metà del XVII secolo ha riflettuto P. CALCAGNO, Corsari e difesa mobile

delle coste..., pp. 940-945.

635C. COSTANTINI, Aspetti della politica navale genovese nel Seicento, in «Miscellanea Storica Ligure»,

Guerra e commercio nell’evoluzione della marina genovese tra XV e XVIII secolo, tomo 1, Consiglio

nazionale delle ricerche, Centro per la storia della tecnica in Italia, Genova, 1970 p. 207.

636Costantini, riprendendo i dati estrapolati dalla tesi di laurea di Gabriella Carosio, ribadisce come le crociere delle galere finalizzate alla lotta anti-corsara costituissero una «percentuale assai modesta», inferiore al 10%: tra le altre attività demandate allo stuolo pubblico genovese, la priorità era data al trasporto di personaggi illustri, cui facevano seguito il trasporto di truppe o di merci. C. COSTANTINI, Aspetti della politica navale

genovese..., p. 219. Per un sintetico excursus sull'origine e sviluppo della flotta di Stato si rimanda a L. LO

BASSO, Uomini da Remo..., cit., , pp. 206-209 e aV. BORGHESI, Il Magistrato delle galee (1559-1607), «Miscellanea storica ligure», III/I (1973), pp. 187-223 .

637Su questo aspetto aveva ragionato anche P. CALCAGNO, Corsari e difesa mobile delle coste..., pp. 956- 962. Nell'agosto 1702 vennero disposte le prime missioni in Corsica, nell'ottobre 1704 in entrambe le Riviere liguri. ASG, Archivio Segreto, Maritimarum, 1678, 9 agosto 1702 e 22 ottobre 1704. In alcuni casi, queste

fornivano ai Capitani delle galere? Prendendo ad esempio una carta riguardante la Riviera di Ponente, dopo le disposizioni consuete – vigilare sui tutti i «filuconi, bregantini, pinchi, lancie» al fine di individuarne movimenti sospetti, «impedire ogni pirateria» evitando l'arresto dei piccoli legni o liberandone altri già catturati – veniva precisata l'area di intervento: in questo caso specifico, da Savona a Vado e, qualora il tempo lo avesse permesso, «sino su le marine di Noli, ed ancora più oltre» qualora si fosse reso opportuno. Allo stesso tempo, però, il Capitano nelle considerazioni che avrebbe fatto in merito alla necessità di un intervento in località specifiche, avrebbe sempre dovuto tener presente la sicurezza della nave che gli veniva affidata e degli uomini che si trovavano alle sue dipendenze: per questo, doveva preoccuparsi di avere «sempre sicura la ritirata la sera nel porto di Vado»638 e, in caso si

rendesse doveroso intervenire a favore di qualche bastimento, misurare «le proprie forze, per assicurarsi d'esser[...] superiore» rispetto ai corsari. Generalmente, le missioni delle galere genovesi vennero realizzate nel periodo primaverile ed estivo: nel 1708 – quando la guerra di corsa nel Mediterraneo occidentale si inacerbò e i patroni genovesi subivano «continui disturbi» a causa, particolarmente, di «liparotti, francesi, oneglini» – vennero inviate tre galere in Corsica e nelle riviere genovesi richiedendo al Comandante di «regolare […] questo viaggio, da poter essere […] di ritorno al solito tempo di porle in sciverno»639.

Non sempre le galere riuscirono nel loro incarico: a volte per l'ardire dei corsari, come nel caso del «felucone di Finale» il quale non si pose alcuno scrupolo nel prendere un bastimento carico di fave che, credutosi al riparo grazie alla scorta della galera, aveva finalmente «dato fondo in […] Ceriale»640. D'altronde, lo stesso Felice Della Torre rendeva evidente nelle sue

lettere il limite strutturale del tipo di legno di cui era al comando: la pesante galera nulla aveva potuto contro «la leggerezza in tratta breve» goduta dal felucone corsaro641. Le lettere

del Capitano Della Torre restituiscono in maniera efficace il grado di pericolosità raggiunto dal nido del Finale: nell'autunno nel 1708 – quando si iniziò a dubitare in un buon raccolto di grano per l'anno seguente e si temette un'imminente carestia – i corsari finalini assalirono

potevano aver luogo allo scopo di non complicare ulteriormente i rapporti della Repubblica con le grandi potenze europee impegnate nel conflitto e che, in relazione a prede avvenute a danno dei loro sudditi, esigevano che Genova dimostrasse con i fatti l'effettiva sovranità vantata sul Mar Ligure: nel dicembre 1707 l'invio delle galere era stato voluto in seguito all'arresto commesso da due coralline di Oneglia, nella spiaggia di Bordighera, a danno di patron Arduino di Antibes. [ASG, Archivio Segreto, Maritimarum, 1682, 25 dicembre 1707] Il fatto che, in diverse occasioni, Luigi XIV avesse disposto la presenza di galere o altri legni per difendere i patroni francesi, dimostra palesemente che le forze messe in campo dalla Repubblica di Genova fossero tutt'altro che sufficienti. Cfr, ad esempio, ASG, Archivio Segreto, Maritimarum, 1678, 28 aprile 1704 e Idem, 1680, 10 marzo 1706.

638ASG, Archivio Segreto, Maritimarum, 1683, 24 febbraio 1708.

639ASG, Archivio Segreto, Maritimarum, 1682, 27 luglio 1708. Negli ordini veniva specificato anche il raggio d'azione su cui i Collegi intendevano che egli si concentrasse: gli veniva chiesto di andare «alla vista della Corsica, ma senza perder tempo nelle acque di quel Regno giri verso la spiaggia romana e Canale di Piombino». A distanza di poche settimane, le galere – arrivate nel porto di Livorno – riportarono al Provveditore della Dogana le loro operazioni: nel pericoloso Canale di Piombino avevano dato caccia a quattro feluche di Lipari – postesi in salvo sotto al tiro del cannone di Rio, sull'Isola d'Elba – ma erano riusciti a liberare alcuni leudi genovesi, carichi del prezioso grano, che stavano per essere condotti dalla feluca corsara di Porto Longone in quel porto. Si avrà modo di vedere nel capitolo seguente che tale intervento non fu privo di conseguenze per gli strapazzati patroni genovesi. ASF, Mediceo del Principato, 1620, lettera del Provveditore della Dogana di Livorno alla Segreteria di Stato, 17 agosto 1708.

640ASG, Archivio Segreto, Maritimarum, 1682, 14 settembre 1708. Il ruolo di Finale quale porto corsaro è talmente significativo che, in seguito all'acquisto del Marchesato da parte della Repubblica di Genova, si optò per la riduzione di un’unità (da sei a cinque) della squadra delle galee statali. L. LO BASSO, Uomini da

Remo..., cit., 2003, p. 209.

641ASG, Archivio Segreto, Maritimarum, 1682, 15 settembre 1708. Su questo aspetto, C. COSTANTINI, Aspetti

diversi legni carichi di questo prodotto oppure obbligarono i patroni genovesi a scaricare il loro carico nel Marchesato642. Per questo motivo, il Capitano genovese scelse di prolungare la

scorta dei bastimenti che da Ponente erano diretti a Genova «fin sopra Varigotti» per proteggerli dagli attacchi finalini: in risposta, il Governatore del Marchesato fece «piantare a Varigotti una batteria di tre cannoni di bronzo per impedire alle galee la frequente dimora in quell'acque»643.

Le galere non dovettero solamente difendere i patroni al comando dei legni che solcavano il Mar Ligure ma, ancor di più, dovettero offrire protezione ai mercanti interessati nel carico: non era inusuale, infatti, che alcuni si facessero «prendere aposta per poi farsi fare una fede d'essere stati presi per forza», e lucrare a danno degli stessi mercanti644. Accadde a patron

Lorenzo Gardone di Laigueglia che, invece di attendere a Porto Maurizio l'arrivo del Capitano Della Torre, si mise in navigazione e, non appena giunto al largo di Oneglia, venne arrestato dal felucone di quel luogo: la Giunta di Marina lo pose alla catena per qualche giorno, sperando che un tale provvedimento potesse servire ad intimorire i patroni troppo spavaldi o desiderosi di incorrere nelle grinfie dei corsari645.

La Repubblica di Genova fece affidamento alle sue galere per tutta la durata del conflitto646

e difese il barcareccio minuto non solo nelle acque genovesi e nel vicino Canale di Piombino, ma intervenendo anche nel Basso Tirreno fino a Capo d'Anzio. Di fatto, non avrebbe potuto scegliere diversamente: non solo per le tante notizie di prede che giungevano nella Dominante – grazie alle informazioni provenienti dal preciso Console Gavi che rendevano in maniera incisiva lo stato d'allerta delle acque toscane – ma anche perché, proprio nella drammatica estate 1709, il Granduca di Toscana sospese la missione delle due sue galere647, salvo mutare

opinione dopo qualche settimana e disporre nuovamente l'armamento di una di esse per unirla al comando di Francesco Maria Grimaldi648. In ogni caso, che Cosimo III scegliesse di mettere

in mare due legni, uno o nessuno, a poco poteva giovare: le lettere scritte dai Capitani delle galere toscane nel periodo della Guerra di Successione Spagnola non evidenziano alcun contributo significativo apportato da parte loro649. Se, anzi, per quanto riguarda le galere

messe in mare dalla Repubblica di Genova si possono anche rintracciare notizie sul soccorso prestato ai legni più disparati650, le stesse attenzioni – come riportò con amarezza il Console

Gavi ai Collegi – non vennero profuse dai Capitani delle galere toscane: un patrone genovese, nonostante avesse avuto occasione di proseguire il suo viaggio insieme ad alcuni bastimenti toscani che venivano protetti dalle galere di Cosimo III, venne catturato da un corsaro di Porto Longone. Quest'ultimo, prima di procedere all'attacco, salì a bordo della galera toscana e chiese un incontro con il Capitano al quale aveva detto di aver ricevuto ordini di visitare il

642È quanto accaduto, per esempio, a patron Francesco Garibaldo di Savona. ASG, Archivio Segreto,

Maritimarum, 1682, 19 settembre 1708.

643ASG, Archivio Segreto, Maritimarum, 1682, 21 settembre 1708.

644ASG, Archivio Segreto, Maritimarum, 1682, lettera senza data ma probabilmente riferibile ai primi giorni del

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