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Capitolo III – La guerra di corsa nel Mar Ligure e nell'Alto Tirreno: l'attività dei corsar

III.3. Livorno e Portoferraio

III.3.3 I porti toscani durante la Guerra di Successione Spagnola

I porti del Granducato di Toscana – e, specificatamente, il porto di Livorno – si configurarono come termometri sensibili nel registrare i mutamenti e le perturbazioni dei circuiti marittimi e, in maniera più generale, della politica internazionale: ciò era possibile grazie alla meticolosa cura con cui, da parte delle autorità locali, si procedeva alla raccolta e alla diffusione di notizie e informazioni che giungevano via mare, riportate dai tanti Capitani, patroni e marinai che vi approdavano. In tal senso, le carte del Provveditore della Dogana – Francesco Terriesi, nel periodo 1702-1713 – sono particolarmente utili per conoscere le rotte percorse dalle navi e apprendere dettagli sullo stato del commercio internazionale: per esempio, la carenza di grano nel 1709, l'impennata dei prezzi590, il tentativo di ovviare al

problema attraverso l'importazione di cereali591 fino al superamento della crisi e il calo del

prezzo d'acquisto di questo prodotto592; oppure le condizioni climatiche generali,

generalmente messe in relazione alle condizioni della navigazione.

Durante la congiuntura bellica, i rapporti di Terriesi – redatti con una cadenza prossima al quotidiano – si fecero quanto mai attenti ai legni corsari (o supposti tali) per conoscerne la provenienza, l'attività e, più in generale, i movimenti. Frasi come «il maggior traffico, che si faccia adesso in mare, è quello de corsari, pirati, e ladri», «siamo così circondati da corsari, e da ladri, che è miracolo che n'arrivino [bastimenti] a salvamento»593 sono tutt'altro che rare

negli scritti di questi anni. La contrazione subita dai traffici commerciali è innegabile: capitava, talvolta, che il rischio di far circolare le merci via mare fosse così elevato da indurre

589ASF, Mediceo del Principato, 2229, lettera del Governatore di Livorno alla Segreteria di Guerra, 4 maggio 1708.

590Per un'idea, si porta ad esempio proprio un caso di preda marittima: nel marzo 1709 uno zelandese era riuscito a catturare un bastimento francese con un ricco carico di grano. Francesco Terriesi ne informava il governo centrale dicendo che il corsaro aveva la pretesa di «vendere il detto grano a zecchini 27 il sacco» e commentava ironicamente: «consideri Vostra Signoria Illustrissima, se non l'avessi rubato, quanto ne pretenderebbe». ASF, Mediceo del Principato, 1622, lettera del Provveditore della Dogana di Livorno alla Segreteria di Stato, 27 marzo 1709.

591Ad esempio, un patrone genovese, recatosi in Barberia per rifornirsi di grano, fu costretto a imbarcare dell'orzo. ASF, Mediceo del Principato, 1622, lettera del Provveditore della Dogana di Livorno alla Segreteria di Stato, 24 giugno 1709.

592ASF, Mediceo del Principato, 1622, lettera del Provveditore della Dogana di Livorno alla Segreteria di Stato, 9 settembre 1709.

593ASF, Mediceo del Principato, 1624, lettera del Provveditore della Dogana di Livorno alla Segreteria di Stato, 27 e 30 marzo 1711.

i Capitani delle navi a sostare in porto e a non proseguire la navigazione594; mentre i mercanti

della piazza livornese arrivarono a ordinare lo sbarco di merci già pronte alla partenza595.

Negli anni in cui la guerra di corsa si incrudelì, i suoi protagonisti vennero spesso etichettati con l'epiteto di “pirati” oppure di “ladroni”, chiaro segno del disprezzo nutrito nei confronti di figure che agivano entro i confini della legalità, seppur con qualche eccezione.

A questo punto, in riferimento alla guerra di corsa portata avanti dai sudditi dei due pretendenti al trono spagnolo, occorre ragionare sul ruolo vantato da Livorno nella veste di mercato delle prede marittime nel momento in cui i corsari di Filippo V potevano far riferimento a Porto Longone e Porto Ercole mentre quelli di Carlo III a Piombino, Orbetello e Porto Santo Stefano: una riflessione che non manca di un certo grado di difficoltà poiché sé è vero che si dispone di una notevole quantità di informazioni – che provengono dal Provveditore della Dogana, dal Governatore o dai Consoli stranieri residenti a Livorno – queste sono, spesso, frammentarie rendendosi opportuno un lavoro di incrocio dei dati a disposizione che, talvolta, risultano incongruenti l'uno rispetto all'altro.

In alcuni casi i corsari, dopo aver arrestato un bastimento, conducevano la preda nel porto di armamento: il Governatore, dopo essersi espresso sulla validità della presa, ne autorizzava il trasporto a Livorno per la vendita596. È presumibile che questa fosse la linea adottata di

consueto, quando non dichiarato diversamente: d'altronde, se i corsari potevano comodamente far riferimento ai porti del conteso e diviso Stato dei Presìdi, è altrettanto vero che il porto labronico manteneva indisturbato il suo ruolo di mercato delle prede anche se – come affermato da Filippini e ribadito da Addobbati – quest'ultimo non fu mai «un affare molto rilevante, se paragonato al volume complessivo degli scambi»597. A volte, a causa del

maltempo, prede che avrebbero dovuto essere destinate al porto di armamento vennero convogliate nel porto labronico che, pertanto, diventava una seconda scelta rispetto ai piani originari598; in altri casi, invece, le catture avvennero in acque che rendevano Livorno il porto

raggiungibile nel minor tempo possibile, dove il Console competente si sarebbe poi occupato del caso di preda599; infine, capitava che quando ad agire fossero legni destinati alla duplice

594ASF, Mediceo del Principato, 1624, lettera del Provveditore della Dogana di Livorno alla Segreteria di Stato, 1° giugno 1711.

595ASF, Mediceo del Principato, 2230, lettera del Governatore di Livorno alla Segreteria di Guerra, 19 giugno 1709.

596È ad esempio il caso di due feluche e un brigantino armati a Porto Longone: la vittima era Michele Cassola di Celle che proveniva da Rossano con un carico di pece spettante a mercanti napoletani. ASG, Archivio

Segreto, Lettere Consoli, 2684, 30 maggio 1708.

597A. ADDOBBATI, Commercio, rischio, guerra..., p. 83.

598Si citano, ad esempio, gli episodi riguardanti il trapanese Giuseppe Bonfante che aveva arrestato due tartane genovesi patroneggiate da Domenico Chiappa di Deiva e Gio. Batta Ravenna di Lavagna [ASF, Mediceo del

Principato, 2232, lettera del Governatore di Livorno alla Segreteria di Guerra, 16 novembre 1711] e il

maiorchino Honorato Gilabert che aveva trattenuto Stefano Durante di Pra perché trasportava un carico di ferro, ritenuto genere di contrabbando. ASG, Archivio Segreto, Lettere Consoli, 2684, 18 aprile 1708.

599Lo dimostrano gli episodi che riguardano alcune feluche di Lerici arrestate tra la foce del fiume Magra e Massa dai napoletani Giuseppe Persico e Francesco Storniolo: una volta giunti a Livorno, il Console Crowe che operava ancora per Carlo III ordinava il rilascio dei legni neutrali. Per quanto del caso si fosse interessata anche la Giunta di Marina genovese – se ne trova traccia in ASG, Archivio Segreto, Maritimarum, 1682, 9 e 11 agosto 1708 ma anche nelle relazioni del Console Gavi – si nota una maggior completezza nelle fonti toscane. ASF, Mediceo del Principato, 2229, lettera del Governatore di Livorno alla Segreteria di Guerra, 4 agosto 1709. Anche un altro napoletano, Donato Caffiero, dopo aver predato tra la Fiumara di Pisa e Livorno due tartane francesi e due genovesi si diresse direttamente a Livorno: d'altronde, per quanto concerneva le navi nemiche, il caso non presentava alcun dubbio sulla legittimità e il Console avrebbe potuto ordinarne immediatamente l'asta pubblica. ASF, Mediceo del Principato, 1626, lettera del Provveditore della Dogana di Livorno alla Segreteria di Stato, 3 maggio 1713.

attività di «corso e mercanzia» si preferisse evitare la sosta nei porti dei Presìdi per raggiungere Livorno e portare a termine, con una sola tappa, il viaggio intrapreso600. Resta più

difficile, invece, ragionare sull'opzione di Portoferraio come porto di presa: il luogo dell'arresto in mare è noto solo per alcuni casi601 ma, in linea di massima – poiché la maggior

parte delle prede marittime condotte nell'Isola d'Elba vennero commesse da legni provenienti da Piombino a danno di nemici – si può motivare la scelta individuando nel Canale di Piombino l'area di azione dei corsari e, pertanto, Portoferraio come porto più prossimo rispetto a Livorno.

I riflessi della guerra di corsa sui porti toscani – e, di conseguenza, sul governo mediceo – non si limitarono alla ricezione delle prede marittime e alla loro eventuale asta pubblica. Già si è trattato il tema del bando proibitivo in materia di corso ed armamento: anche nel Granducato di Toscana, come nella Repubblica di Genova, questo provvedimento non ottenne mai pieno rispetto da parte dei sudditi. In sostanza, si può affermare che tale bando – per il semplice fatto di essere stato emesso – raggiunse lo scopo di porre al riparo gli Stati neutrali da eventuali conflitti con gli Stati in guerra: eventuali violazioni se, da un lato, ebbero un'eco internazionale e non poterono impedire un certo dibattito sul piano diplomatico, dall'altro vennero declinate a problema “interno” tra Stato e suddito, in cui le potenze aderenti al conflitto non potevano ingerirsi più di tanto. Anche se, allo stato attuale della ricerca, la Toscana di Cosimo III risulta interessata da un minor numero di episodi rispetto a quelli relativi agli operatori genovesi, non si può certo dire che il fenomeno fosse limitato e circoscritto ai primi anni della Guerra di Successione Spagnola: ancora nel 1710 il Governatore di Livorno ordinò la carcerazione – auspicando potesse servire da esempio – di alcuni abitanti di Portoferraio in procinto di «rinforzare l'armamento» di un legno con

tratta di Nicola Messina, Giuseppe d'Andrea, Placido Libero e Paolo Rizzo – che, anch'essi nei pressi di Massa, avevano assalito un certo numero di tartane romane sotto pretesto che fossero, invece, gaetane e attendevano il giudizio del duca d'Uceda. ASF, Mediceo del Principato, 1622, lettera del Provveditore della Dogana di Livorno alla Segreteria di Stato, 23 agosto 1709. L'identità dei corsari è nota grazie ad una lettera del Governatore di Livorno alla Segreteria di Guerra del 24 agosto 1709.

Il Duca d'Uceda – in seguito al riconoscimento di Carlo III da parte della Santa Sede, nell'ottobre 1709 – era stato costretto ad abbandonare Roma e trasferitosi a Genova era stato nominato Vicario Generale per Filippo V: in questa città maturò la sua decisione, l'anno seguente, di appoggiare apertamente la causa austracista. M. OCHOA BRUN, Emabajadas rivales..., cit., pp. 48-52 e 106-112.

600È il caso di alcuni bastimenti sorrentini, destinati al porto labronico con un carico di vino: al largo del Monte Argentario si erano impadroniti di una barca francese e anche in questo caso – probabilmente, sempre per il fatto che non si poteva mettere in discussione la bontà della presa – si erano mossi direttamente alla volta del porto toscano. ASF, Mediceo del Principato, 2231, lettera del Governatore di Livorno alla Segreteria di Guerra, 22 marzo 1710. Sulla distinzione tra i legni armati in corso e quelli, invece, armati in corso e mercanzia si rimanda a M. AUMONT, Les corsaires de Granville..., cit., pp. 107-126.

601Non stupisce che un corsaro trapanese conducesse a Portoferraio una tartana napoletana nemica, da lui sorpresa nel vicino Canale di Piombino [ASF, Mediceo del Principato, 1620, lettera del Provveditore della Dogana di Livorno alla Segreteria di Stato, 5 luglio 1707] come non sorprende che Francesco Chiappino, corsaro con bandiera di Piombino, vi portasse un legno genovese ed uno toscano cui aveva dato caccia all'Isola dei Topi (Elba) [ASF, Mediceo del Principato, 2543, lettera del Governatore di Portoferraio alla Segreteria di Guerra, 20 marzo 1709] o che il napoletano Donato Caffiero scegliesse lo stesso porto per una cattura realizzata nei pressi della Torre degli Appiani, sull'Isolotto dello Sparviero [ASF, Mediceo del

Principato, 2234, lettera del Governatore di Livorno alla Segreteria di Guerra, 21 gennaio 1713]. Potrebbe, di

primo acchito, creare un po' di sconcerto la scelta di Portoferraio per un arresto avvenuto nei pressi di Massa nei confronti di un patrone livornese ma, per cercare di fornire una risposta convincente, si può chiamare in causa il fatto che ad agire fossero state tre barche sorrentine mercantili che erano recentemente partite da Livorno per andare a Genova: una volta giunte a Portoferraio – preso atto dell'insussistenza della preda – avevano sottratto effetti personali all'equipaggio e ai passeggeri e rilasciato il bastimento [ASF, Mediceo del

bandiera di Porto Longone. Non solo: il legno era già stato disarmato quando, in occasione di una permanenza nel porto labronico, alcuni francesi optarono per il riarmo della galeotta e tentarono di ricomporne l'equipaggio602. Non si può dire che il governo mediceo ottenesse i

risultati speranti: se nel luglio 1710 Tornaquinci fece porre in prigione Matteo Ciolli – un pescatore di Livorno che ebbe l'ardire di armare in corso la sua barca603 – non vi è dubbio che

il provvedimento non fu risolutivo poiché, una volta ottenuta la libertà, non ebbe alcuna esitazione nel porsi al comando di una feluca corsara di Porto Longone604. Nuovamente

incarcerato nell'aprile 1711605, lo stesso soggetto venne condannato a sette anni di confino a

Portoferraio: dopo un anno, il Governatore di quel luogo, Gerolamo Niccolini, scrisse che se ne erano perse le tracce ma che gli era giunta la spiacevole notizia che il recidivo «pesciaiolo» era «stato ad assistere all'armamento d'una feluga corsara a Lungone» dove si era «nuovamente imbarcato sopra di essa»606.

Il Governatore di Livorno si fece portavoce, con i Consoli, delle lamentele e dell'indignazione nutrita dal Granduca: l'irlandese Jacome Wheley – colui che, dal luglio 1711, svolse il ruolo di Console per Carlo III, «il primo ad essere formalmente riconosciuto in loco [Livorno] quale console per Carlo d’Asburgo, e per i suoi territori spagnoli»607 – pur

accogliendo le proteste di Tornaquinci, si trovò ad avere le mani legate e non fu in grado di agire su un piano di forza per impedire un armamento voluto dal Conte Sarego, rappresentante di Carlo III a Firenze608. Infatti, di fronte alla richiesta di cooperazione ricevuta dal

Governatore di Livorno affinché «non seguisse tale armamento», Wheley prese le distanze: spiegò di non voler «disgustare» il Sarego e di temere che, in caso contrario, questi potesse metterlo in cattiva luce presso la Corte di Vienna accusandolo di opporsi «alle cose che ridonda[va]no in servizio di Sua Maestà» poiché, indubbiamente, avrebbe presentato l'armamento in questi termini609. La titubanza del Console di Carlo III si spiega facilmente

602ASF, Mediceo del Principato, 2231, lettera del Governatore di Livorno alla Segreteria di Guerra, 24 marzo 1710.

603ASF, Mediceo del Principato, 2231, lettera del Governatore di Livorno alla Segreteria di Guerra, 23 luglio 1710

604ASF, Mediceo del Principato, 2231, lettera del Governatore di Livorno alla Segreteria di Guerra, 24 marzo 1711

605ASF, Mediceo del Principato, 2544, lettera del Governatore di Portoferraio alla Segreteria di Guerra, 14 aprile 1711.

606ASF, Mediceo del Principato, 2544, lettera del Governatore di Portoferraio alla Segreteria di Guerra, 8 luglio 1712. Nel documento in questione si legge che il confino aveva avuto inizio a partire dal febbraio 1711: si tratta, evidentemente, di un errore poiché da altre fonti risulta che, nel marzo di quell'anno, Matteo Ciolli fosse ancora in attività.

607Sulle vicende che portarono alla scelta dell'irlandese Wheley ha riflettuto, in maniera sintetica ma esauriente nei suoi aspetti essenziali, Marcella Aglietti che ha posto in evidenza come tale nomina fosse stata fermamente voluta dalla Regina d'Inghilterra, l'alleanza della quale aveva un peso troppo significativo perchè Carlo III le potesse opporre un rifiuto. M. AGLIETTI, Politica, affari e guerra..., cit., pp. 365-367

608Inizialmente, secondo quanto riportato da Aglietti, il Conte Sarego era stato scelto da Filippo V per affiancare il Console Silva alla corte fiorentina: egli mantenne l'incarico fino al 1708 quando venne sostituito dal frate domenicano Salvador Ascanio. Cfr. M. AGLIETTI, Politica, affari e guerra..., cit., p. 363.

Grazie allo studio di Ochoa Brun si apprende che il Conte, per il suo essere «bien experimentado en la

región», era stato scelto da Carlo III come suo rappresentante: nessuno dei due studi considerati è chiaro

sull'argomento ma con buona probabilità ciò avvenne dopo il novembre del 1711 quando padre Ascanio era ancora in servizio per Filippo V. Infine, nel 1713 Carlo III, in attesa di una conquista che non sarebbe mai avvenuta, avrebbe nominato Sarego Governatore di Porto Longone. M. OCHOA BRUN, Emabajadas

rivales..., cit., p. 115.

609ASF, Mediceo del Principato, 2233, lettera del Governatore di Livorno alla Segreteria di Guerra, 20 aprile 1712.

tenendo in considerazione che, già da diversi mesi, il Viceré di Napoli, Carlo Borromeo Arese610, faceva leva sul Consiglio d'Italia perché l'uomo venisse destituito dal suo incarico611:

Wheley non poteva permettersi passi falsi e il Governatore di Livorno, dal canto suo, si limitò a sperare che il Conte Sarego – una volta acquistata la feluca e posto sopra di essa alcuni uomini – terminasse l'armamento in Piombino, in modo tale che nessuno potesse avere nulla da obiettare612. In ogni caso, ancora nell'aprile 1713 – pochi mesi prima che venisse resa nota

la pace di Utrecht – Cosimo III ordinò a Tornaquinci di far «rinnovare gli ordini che sono costì veglianti, toccante gli armamenti in corso» e di prestare particolare attenzioni ai «bastimenti piccoli» – ritenuti quelli che, più di altri, avrebbero potuto «provarsi a commettere la contravenzione»613.

III.3.4 Il ruolo dei Consoli nella gestione delle prede marittime e le ricadute per gli Stati

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