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Capitolo II – Il fenomeno corsaro nel Mar Ligure e nell'Alto Tirreno: tra squadre di galere e

II. 2.3 «Il più beneficiato uomo de napoletani dal ViceRé»: il Capitano Pesante e le

II.3 Il Cavalier Pallavicino: un oneglino nella schiera di Carlo III

II.3.2 I diritti sulle prede marittime e la revoca della patente

Il Cavalier Pallavicino diede del filo da torcere al Residente Cesareo in Genova: nel settembre 1706 Molinari scrisse al Principe di Liechtenstein – una delle figure di spicco del governo di Carlo III in Barcellona405 – per dolersi del fatto che il corsaro recusasse di

corrispondere il quinto delle prede, vale a dire la percentuale dovuta al sovrano sulla base dei profitti realizzati, ed asserisse di essere tenuto «a dare i conti, [...] ogni tre, o quattro anni»406.

Il fastidio per Molinari era tanto maggiore se si pensa al fatto che era stato proprio lui a pagare la feluca di cui si servì il Pallavicino insieme alla barca, facendogli da garante, in attesa che egli iniziasse a fare fortuna sul mare407. Non che il Cavaliere avesse altro per la

mente: infatti, «con diversi pretesti» si era «ritirato dall'impegno» preso con il Molinari – il trasporto di un personaggio illustre a Barcellona, per garantirgli la dovuta protezione – spingendo il Residente Cesareo ad affermare che non fosse «sperabile d'indur[lo] […] a prestare un servigio a Sua Maestà, non avendo altro, che gli prema, che l'andare in corso, per avvantaggiare i suoi interessi»408.

Francesco Pallavicino non fu l'unico corsaro oneglino a disporre di una lettera di marca in nome di Carlo III: l'ottenne anche Gio. Batta Belgrano, una figura particolarmente attiva in questi primi anni della guerra. Egli si comportò in maniera analoga al Cavaliere di Malta: dopo aver realizzato una «ricca preda di contante, gioie et altro» nei mari di Corsica insieme ad un legno con patente del Duca di Savoia, rientrò ad Oneglia senza dare conto al Molinari della cattura. Si può notare con facilità, però, come i due casi non fossero paragonabili tra loro e una dichiarazione del Belgrano esprimeva la particolarità del suo caso: egli godeva di una doppia concessione a scorrere i mari – disponeva anche di una patente concessa da Vittorio Amedeo II409 – ed affermò di averla richiesta anche a Carlo III semplicemente per potersi

muovere con maggior sicurezza «nel Mare di Catalogna, dove non [era] troppo rispettato lo stendardo» di casa Savoia410. Nella faccenda intervenne poi il Governatore di Oneglia il quale

approvò il comportamento del corsaro e sostennea che il quinto spettasse al Duca di Savoia411:

non si dimentichi che Belgrano aveva agito in unione con un altro savoiardo. Inoltre, entrando nei porti, il corsaro spiegava lo stendardo del Duca di Savoia e ciò impedì al Molinari di poter richiedere il sequestro del legno412. Queste ragioni – aggiunte al fatto che il Residente Cesareo

non era coinvolto a livello personale come per il caso del Pallavicino – fecero sì che Carlo Bartolomeo Molinari non ritenesse opportuno fare pressioni – l'interrogatorio cui venivano sottoposti i predati avrebbe certamente fatto luce sulla bandiera utilizzata al momento della cattura – temendo potessero «esser di disgusto» per i due sovrani alleati413. Forse, si temeva

che non fosse così solida l'unione tra i Savoia e gli Asburgo – come i facili mutamenti di campo nelle guerre intraprese da Vittorio Amedeo II e dai suoi predecessori avevano

405J. ALBAREDA SALVADO, La guerra de Sucesión, cit., p. 198 e p. 258. Per un inquadramento biografico si rimanda a R. QUIRÓS ROSADO, Monarquía de Oriente..., pp. 56-58.

406A spiegare per quale motivo ad agire per conto di Carlo III fosse il Residente Cesareo in Genova è il fatto che l'arciduca d'Austria non era ancora stato riconosciuto come Re di Spagna: egli era, dunque, privo di un rappresentante ufficiale. Vedremo che la stessa situazione si presentava anche in Livorno.

407ASM, Carteggi Consolari, 6, lettera di Molinari al Principe di Liechtenstein, 14 settembre 1706. 408ASM, Carteggi Consolari, 6, lettera di Molinari al Principe di Liechtenstein, 9 ottobre 1706.

409La copia è conservata in AST, Paesi, Contado di Nizza, Porto di Villafranca, 5. La lettera di marca risale al 20 gennaio 1705.

410ASM, Carteggi Consolari, 6, lettera di Molinari al Principe di Liechtenstein, 14 settembre 1706. 411ASM, Carteggi Consolari, 6, lettera di Molinari al Principe di Liechtenstein, 12 novembre 1706. 412ASM, Carteggi Consolari, 6, lettera di Molinari al Principe Eugenio di Savoia, 3 febbraio 1707. 413ASM, Carteggi Consolari, 6, lettera di Molinari al Principe di Liechtenstein,12 novembre 1706 .

ampiamente dimostrato – per poter rischiare di incrinare l'alleanza per una simile questione: la Corona spagnola non avrebbe beneficiato di tali profitti nell'immediato ma è anche vero che questi sarebbero stati presumibilmente utilizzati per sostenere le spese belliche e, quindi, ne avrebbero usufruito gli stessi Collegati.

Quanto al Cavalier Pallavicino, invece, Carlo III esigeva la corresponsione del quinto: Molinari – il quale informava il sovrano di nuove «prede di riguardo ne' mari di Levante» [Riviera ligure di Levante] – delegò la faccenda a Luigi Norbis, colui che recentemente era stato nominato Console Cesareo in Livorno e, che, non a caso, aveva tra i suoi obiettivi quello di organizzare «il corso per incomodare l’inimico, ed insensibilmente introdurre la navigazione de’ sudditi [del Regno di Spagna] nel Mediterraneo»414. Proprio da Livorno, dove

dimorava in quel periodo, Francesco Pallavicino scrisse, nei primi giorni del dicembre 1706, al Residente Imperiale per informarlo di essere propenso a disarmare la sua barca, motivando la sua scelta con «la morte del signor Marchese, suo fratello», e le «presantissime istanze della signor sua sorella, la quale gli ha protestato, che [...] non l'averebbe più riconosciuto per fratello» cui si aggiungeva un'ultima ragione – ancor meno credibile – sul volersi «esimer[...] da qualche sinistro incontro, a cui averebbe potuto soggiacere».

«Non so, come farà a rimettersi in grazia di Sua Altezza Reale»: con questo commento concludeva la sua missiva il Residente Cesareo, alludendo naturalmente alla reazione di Vittorio Amedeo II415. E a fare chiarezza su quest'ultimo punto è il documento spedito da

Barcellona con cui Carlo III accennò al fatto che il Cavalier Pallavicino «no ha practicado

toda aquella buena correspondencia y atencion que se deve a mis aliados, y expecialmente con algunas embarcaziones del Duque de Saboya». Per questo motivo – e per il mancato

pagamento del quinto – il sovrano affermò che «para evitar continue ensemejates

prozedimientos» aveva risolto di «deponer aeste sujeto del [...] empleo» di Capitano di Mare

e Guerra e chiedeva al Residente a Genova di sequestrare la patente al Pallavicino, ormai da ritenersi «anulada, rebocada e ymbalida»416.

Sarebbe occorso un po' di tempo prima che il Molinari ricevesse le lettere dalla corte spagnola e, quindi, la revoca della patente al Pallavicino ma già quest'ultimo era tornato sui suoi passi e, come attestano diverse fonti, ancora ignaro degli ordini di Carlo III rinforzò il proprio armamento per «sortir nuovamente al corso»417. Molinari suggerì al Principe Eugenio

di Savoia – che, dal settembre 1706, era stato nominato Governatore e Capitano generale dello Stato di Milano da Carlo III418 – e al Principe di Liechtenstein quella che lui riteneva

414ASM, Carteggi Consolari, 6, lettera di Molinari al Principe di Liechtenstein, 28 novembre 1706. Luigi Norbis, nominato console dal governo imperiale nell'agosto 1706, deteneva una carica che presentava un'anomalia istituzionale, come evidenziato da Marcella Aglietti: egli, infatti, pur avendo ottenuto la patente consolare da parte dell'Imperatore si trovava ad esercitare l'impiego per i sudditi appartenenti ai territori governati da Carlo III. Per presentare la patente a nome di quest'ultimo si attendeva il riconoscimento, da parte del granduca, della legittimità delle pretese asburgiche. Cfr. M. AGLIETTI, Politica, affari e guerra. I

consoli dell'arciduca Carlo d'Asburgo a Livorno durante la guerra di Successione spagnola, in A.

BARTOLOMEI, G. CALAFAT, M. GRENET, J. ULBERT (a cura di), De l'utilité commerciale des consuls.

L'institution consulaire et le marchands dans le monde méditerranéen (XVII-XX siècle), École française de

Rome-Casa de Velázquez, Roma-Madrid, 2018, pp. 364-365.

415ASM, Carteggi Consolari, 6, lettera di Molinari al Principe di Liechtenstein, 7 dicembre 1706. 416ASM, Carteggi Consolari, 23. La disposizione risale al 17 dicembre 1706.

417ASF, Mediceo del Principato, 2228, lettera del Governatore di Livorno alla Segreteria di Guerra, 7 gennaio 1707.

418J. ALBAREDA SALVADO, La guerra de Sucesión, cit., p. 259. La copia della patente, datata al 22 settembre 1706, si trova in ASM, Registri delle Cancellerie dello Stato e Magistrature diverse, Serie XLI (XL

B), Magistrato Straordinario, 14.

Sul Principe Eugenio di Savoia è classico lo studio di D. MCKAY, Eugenio di Savoia: ritratto di un

l'unica via percorribile per costringerlo al pagamento ovvero «sequestrargli il bastimento, e tutto ciò, che può avere in Livorno»419, come effettivamente ordinò al Console Norbis.420

I problemi che si erano presentati con il Capitano Belgrano e particolarmente con il Cavalier Pallavicino indussero Carlo Bartolomeo Molinari ad usare maggior cautela con altri aspiranti corsari o armatori, come nel caso di «un certo barone Ursini Cappa» – un «napoletano rebello» rifugiatosi a Livorno421 – che gli scrisse per comunicargli la sua «brama

di armare in corso tre bastimenti». Infatti, confrontandosi col principe di Liechtenstein, il Residente Cesareo propose di «esiggere da lui una conveniente sigurtà, prima di armare» e ottenere da Carlo III una precisazione sulla «qualità del diritto, ch'egli [il Barone] […] dovrà sborsare su le prese»422. L'armamento in questione, tuttavia, non ebbe luogo poiché il

Governatore di Livorno, per volere del Viceré di Napoli, fece «sequestrare, e subito vendere una barca, che [il Barone] aveva armato»423: si trattava del legno di «un patrone di barca

napoletano, che […] per i copiosi debiti [...] non poteva tornarsene al paese» e aveva «resoluto di portarsi a Viareggio ad armare in corso la sua barca, con bandiera simile a quella del signor Cavaliere Pallavicino»424. Anche nel caso del patrone napoletano, dunque, come già

per i sudditi genovesi, la mancata solvibilità fu all'origine dell'armamento per conto degli Asburgo: la differenza sta nel ruolo dell'armatore, il Barone Ursini Cappa, il quale aveva un interesse ben più forte rispetto all'utile economico, vale a dire contrastare lo sgradito dominio borbonico nel Regno di Napoli attraverso il finanziamento della guerra di corsa portata avanti dai nemici425.

II.3.3 Il caso del Cavalier Pallavicino come emblema del gioco di forza tra gli Alleati e

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