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Capitolo III – La guerra di corsa nel Mar Ligure e nell'Alto Tirreno: l'attività dei corsar

IV.3 Il ritorno degli Austrias: una nuova stagione corsara per i patroni finalini

IV.3.1 I molteplici impieghi del legno corsaro di Pietro Saccone

Nei primi giorni del maggio 1707, Pietro Saccone – insieme al collega napoletano – arrestò una feluca di Lerici proveniente da Marsiglia che insospettì due corsari finalini738: interrogato

dal Capitano di Giustizia, egli dichiarò di essere attivo da circa una settimana e di aver visitato diversi bastimenti, senza aver avuto motivo per trattenerne alcuno. L'arresto del legno di Lerici, invece, venne motivato dal tentativo di fuga compiuto dal patrone, Stefano Armanino, per il quale la presenza di questi corsari nelle acque del Finale non rappresentava una sorpresa, essendone stato informato da alcuni marinai di Loano, in occasione di una sosta che aveva compiuto in quello scalo. Una volta appurato che tutte le merci trasportate spettavano a mercanti genovesi, il Capitano di Giustizia ordinò il rilascio. Dall'esame rivolto al patrone di Lerici emergeva come, mutate le dinamiche del conflitto, il feudo imperiale di Loano si sostituì al Finale come scalo, questa volta, per le barche dirette o provenienti dalla Francia: infatti, Stefano Armanino precisò che, durante il viaggio di andata, aveva sostato a Savona, Loano, Oneglia, Nizza e Antibes; anche durante il viaggio di ritorno fece scalo in «diversi luoghi della Riviera» e, ancora, a Loano. Inoltre, patron Armanino era solito compiere viaggi tra Genova e Livorno: era solo da un paio di mesi che gli era stato chiesto di percorrere una nuova rotta, Genova-Marsiglia. I patroni genovesi, dunque, si sostituirono sia ai finalini che non potevano più commerciare nei mercati della Francia sia ai francesi per i quali le acque liguri si fecero più rischiose, rendendo preferibile ricorrere a legni neutrali.

Infine, il caso presenta un ultimo punto degno di considerazione ed è il conflitto giurisdizionale sui casi di preda marittima che si determinò tra le cariche del Marchesato: Giulio Cattaneo, il Capitano di Giustizia739, scrisse un'accalorata lettera a Milano per rendere

noto il fatto che il Conte Traff si era opposto al suo ordine di rilascio della feluca genovese dicendo di voler «scrivere a Genova al Signor Conte Molinari Inviato Cesareo, per sapere se le polize di carico erano veridiche». Il Cattaneo era indignato di questo atteggiamento poiché «in otto anni» – cioè da quando egli era entrato in carica – «il governo non si [era] mai

737Tale pratica non era una novità risalente ai primi anni della Guerra di Successione Spagnola – quando erano attivi sia il Saccone sia Giuseppe Massacano – bensì era consolidata ormai da tempo e, almeno, a partire dalla Guerra d'Olanda quando il finalino Gio. Antonio Narancio aveva corseggiato insieme al messinese Domenico Parisio. Cfr. T. DECIA, Contra infieles y enemigos.., cit., pp. 52-53 e 59-64.

738Si trattava della feluca patroneggiata da Stefano Armanino di Lerici: il legno stava rientrando da Marsiglia ed era diretto a Genova con un carico eterogeneo tra cui comparivo capelli per realizzare parrucche, alcune casse d'indaco, chincaglieria, acciughe, caffè ed altro ancora. La feluca era di proprietà di alcuni genovesi: il ruolo di Stefano Armanino era semplicemente quello di patrone. Gli utili realizzati da ogni viaggio venivano ripartiti come segue: alla feluca – vale a dire ai suoi proprietari – veniva riconosciuta una parte e mezza, come anche al patrone; ai marinai spettava una parte e al garzone un terzo; infine, il restante degli utili veniva ripartito tra quanti avevano investito nell'impresa.

739Negli anni '90 egli rivestiva la carica di avvocato fiscale: dai fascicoli processuali del '700 egli risultava, invece, Capitano di Giustizia.

ingerito nelle prede si sono fatte»: queste ultime erano sempre state da lui «riconosciute et participate all'Illustrissimo Tribunale». Per questa ragione chiese alle autorità del Ducato di Milano di ignorare «qualsivoglia impegno, che in avenire possa sucedere tanto in materia di prede, quanto nel particolare» trasmettendo gli ordini opportuni «al Signor Governatore proprietario, si come al detto Signor Conte Traff, che governa ad interim»; e non solo a lui: infatti, anche l'avvocato fiscale andava «vociferando di voler egli pure ingerirsi in detta preda»740. Eppure, la gestione dei casi di preda marittima rientrava nelle cause criminali che

erano di competenza del Governatore: differentemente, le cause civili venivano esaminate dal Capitano di Giustizia e rimesse al Governatore solo in caso di appello741. L'idea è che, durante

il dominio borbonico, il Capitano di Giustizia si fosse arrogato competenze che non gli spettavano approfittando sia del rapido avvicendamento dei Governatori – i quali, per questa ragione, probabilmente non riuscirono a imporsi nel governo del piccolo feudo – sia del generale disinteresse per la guerra di corsa. Con il ritorno degli Austrias e, forse, di un Governatore più deciso a mantenere le proprie prerogative, Giulio Cattaneo si vide costretto a tornare sui propri passi742. Anche le fonti genovesi recano traccia di questa disputa poiché le

sue conseguenze si riversarono sul patrone genovese, trattenuto nello scalo del Finale più a lungo del previsto743.

Tornando a considerare la figura di Pietro Saccone, egli partecipò in altre occasioni alla guerra di corsa, seppur in maniera episodica: nel marzo 1709 arrestò al largo di Capo Noli un felucone genovese744 e nel febbraio 1710, insieme al Capitano Benedetto Corallo, catturò –

ancora una volta, nelle acque del Finale – una feluca di Lerici745. Nel primo caso, Geronimo

Tizzone, Magistrato Ordinario delle Regie e Ducali entrate dello Stato di Milano, cercò di legittimare la preda a tutti i costi, dopo aver ricevuto una precisa relazione da parte del Capitano di Giustizia: il patrone genovese era accusato di aver gettato in mare – e aver tentato di occultare – alcuni dispacci destinati all'ambasciatore francese residente a Genova. Il momento storico era cruciale dato che Luigi XIV aveva avviato trattative perché si ponesse fine alla guerra: è facilmente intuibile quanto la corrispondenza intrattenuta con i rappresentanti francesi all'estero facesse gola ai Collegati e, d'altronde, la disposizione del Magistrato milanese non lascia dubbi in tal senso. Geronimo Tizzone scrisse: «constando del dolo de' marinari, che portavano lettere dell'Inimici, ed haverle quelle gettate in mare, possa con ragione esser state detenuta la nave, e doversi quella vendere». Solo il parere avverso di Eugenio di Savoia mutò la disposizione: la nave venne rilasciata perché, in fin dei conti, si trattava di un legno neutrale come pure il carico: i mercanti genovesi e livornesi che ne erano proprietari avevano fatto ricorso – determinando la sospensione della vendita all'incanto – e

740ASCF, Camera, Tribunale del Prede Marittime, 110, fascicolo del 6 maggio 1707. 741P. CALCAGNO, «La puerta a la mar»..., cit., pp. 240-241

742La composizione del Tribunale delle Prede Marittime per il periodo della Successione spagnola resta nebulosa: si suppone che, come per il passato, fosse composto da Governatore, Capitano di Giustizia e Avvocato fiscale ma le parole scritte dal Cattaneo instillano il dubbio che non fosse così. Infatti, il Capitano di Giustizia aveva dichiarato di aver reso noto ogni caso di preda marittima al Tribunale e di non volere che Governatore e Avvocato fiscale si ingerissero nella questione: pare, dunque, che queste due cariche non appartenessero a tale organo, la cui composizione resta ignota.

743ASG, Archivio Segreto, Maritimarum, 1681, 12 maggio 1707.

744Si trattava del felucone Nostra Signora del Rosario di patron Domenico del Monte (soprannominato Rosso) di Genova il quale stava rientrando da Marsiglia con un carico variegato e alcuni passeggeri di diverse nazionalità. Patron del Monte aveva acquistato l'imbarcazione circa due anni prima da un tale patron Manzo di Napoli: non si esclude che possa trattarsi di Antonio Manzo, attivo proprio in quegli anni come corsaro. 745Si trattava della feluca di patron Ottaviano Borbone di Lerici, procedente da Marsiglia con un carico

presentato le certificazioni del caso746.

La feluca di patron Saccone, oltre ad essere destinata al corso, fu anche deputata al trasporto di dispacci per la corte di Carlo III: verso la fine di giugno 1707 , i registri della Dogana di Livorno annotavano la presenza di Pietro Saccone nel porto labronico specificando che egli doveva consegnare alcune lettere al Console inglese. Una volta adempiuto al compito e voltata la prua verso il Finale, il corsaro finalino arrestò, nei pressi della Fiumara di Pisa, un navicello di Empoli che condusse ad Avenza. Qui, dopo aver requisito il carico di sale, patron Saccone rilasciò il patrone con la sua barca dichiarando: «va', e fa sapere a Livorno, che se mi manderanno doble 40, che m'anno colà rubato li francesi, che posson mandare a ripigliare il lor sale»747. In effetti, la cattura era stata mirata: patron Saccone era rimasto coinvolto in una

rissa nel porto toscano dove, oltre al denaro, gli erano stati rubati dei dispacci diretti al Console Crowe. Una volta rientrato nel Marchesato, il finalino venne severamente castigato dal Governatore La Marre il quale «l'aveva levato di carica, e postolo in arresto»748: la revoca

della patente, tuttavia, non dovette essere definitiva poiché, come si notava, egli risultò operante ancora negli anni seguenti.

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