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Capitolo III – La guerra di corsa nel Mar Ligure e nell'Alto Tirreno: l'attività dei corsar

IV.3 Il ritorno degli Austrias: una nuova stagione corsara per i patroni finalini

IV.3.4 Da scrivano a corsaro: il caso di Domenico Ferro

Non era insolito trovare, tra i patroni armati in corso, i nomi di coloro che, precedentemente, erano stati imbarcati su legni corsari. È il caso di Domenico Ferro detto Lovotto che, nel settembre 1707, si trovava impiegato a titolo di scrivano a bordo del bastimento di Francesco Benzo792. A voler ben vedere, Domenico Ferro non era nuovo alla

guerra di corsa: nel 1691 aveva messo a disposizione del corsaro maiorchino Bernardo Gallafatt il pinco di cui egli era proprietario insieme a patron Francesco Burone e al sergente maggiore Don Rodrigo de Mendoza793. In quegli stessi anni, insieme al fratello Pietro,

risultava investitore nelle barche di alcuni patroni finalini, Benedetto Siccardo e Michele Mendaro794 e, come d'abitudine, diversificava le proprie attività guardando con preferenza alla

produzione dell'olio: infatti, se aveva venduto l'abitazione posseduta nella villa di Calvisio, si era tuttavia riservato la quarta parte di un frantoio di pertinenza della casa795. L'interesse verso

questo settore viene palesato da scelte quali, ad esempio, l'accordo stipulato con Gio. Antonio e Tommasina Gallo relativo alla permuta dell'usufrutto di un bottega con un pezzo di «terra olivata»796 che, a distanza di qualche tempo, sarebbe divenuto di sua proprietà797.

Rispetto ad altri, patron Ferro aveva compiuto il percorso inverso: dapprima finanziatore dell'impresa corsara e, successivamente, corsaro in prima persona: d'altronde, essendo egli armatore insieme ad altri e dovendo ripartire con gli altri partecipi i benefici derivanti dalla guerra di corsa, si può comprendere per quale motivo avesse scelto questa strada inusuale.

Egli ricevette la lettera di marca nel giugno 1707798 ma il suo primo caso di preda marittima

792ASCF, Camera, Tribunale delle Prede Marittime, 110, fascicolo del 5 settembre 1707. I legami tra Francesco Benzo e Domenico Ferro non erano solamente di natura professionale: la famiglia di patron Benzo era strettamente legata a diversi esponenti delle famiglie Ferro del Finale come emerge dallo studio dei registri parrocchiali inerenti i battesimi celebrati nella parrocchia della Marina. La stessa moglie di Domenico Ferro, Maddalena Firpo, aveva tenuto a battesimo Pietro Francesco Benzo, nato nel 1709. In generale, le famiglie Ferro – la cui esistenza si dislocava tra la zona della Marina e quella della valle di Pia – appartenevano alla marineria finalina ed erano fortemente unite alle altre famiglie della zona. Sia Domenico Ferro sia la moglie Maddalena tennero a battesimo i figli di un altro corsaro attivo durante la Guerra della Lega d'Augusta, Donato Vernazza. T. DECIA, Contra infieles y enemigos..., cit., pp. 170-171 e p. 205.

793T. DECIA, Contra infieles y enemigos..., cit., pp. 77-78.

794ASS, Notai distrettuali, Notai del Finale, 2041, 11 e 17 settembre 1692. 795ASS, Notai distrettuali, Notai del Finale, 2046, 1697.

796ASS, Notai distrettuali, Notai del Finale, 2048.

Domenico Ferro concedeva ai coniugi Gallo la possibilità di utilizzare una bottega sita in Pia di cui egli era proprietario (e di cui si riservava il dominio diretto) in cambio del permesso di sfruttare un terreno adibito a ulivo dei coniugi Gallo: tale terreno era confinante con altri di proprietà del Ferro, destinati alla stessa coltura.

797In effetti, nel luglio 1699, Gio. Antonio Gallo si dichiarava debitore di 400 lire e 10 soldi nei confronti di Domenico Ferro: 230 lire per una polizza stipulata nel 1695, 48 lire per gli interessi maturati su tale somma, 63 lire per un anno e mezzo di affitto della bottega che il Gallo aveva preso in locazione da Teodora Firpo e che Domenico aveva pagato, 60 lire per un certo quantitativo di farina che Domenico aveva comprato per Gio. Antonio Gallo dal mugnaio Giacomo Pagliazzo. Non avendo denaro a disposizione per saldare il proprio debito, Gio. Antonio Gallo e la moglie Tomasina cedettero a Domenico Ferro la «terra olivata» detta S. Donato sita in Pia: si tratta dello stesso terreno che, qualche tempo prima, gli avevano concesso di coltivare. ASS, Notai distrettuali, Notai del Finale, 2048, 12 luglio 1699.

798La sua patente di corsa è l'unico documento di questo genere – per quanto riguarda il periodo della Guerra di Successione Spagnola – conservata nell'Archivo Historico di Madrid. AHNM, Estado, leg. 8686, 21 giugno 1707. La lettera di marca venne rinnovata nell'aprile dell'anno seguente. ASN, Consiglio di Spagna in Vienna,

risalì al dicembre di quell'anno quando, al largo di Varazze, arrestò una piccola tartana “patroneggiata” da Bernardo Freccero di Albisola: dopo aver condotto il legno a Finale e aver appurato che la maggior parte del carico era di proprietà genovese, il Governatore La Marre acconsentì al rilascio di ogni cosa ad eccezione di alcune balle di cotone, imbarcate a Marsiglia da Pierre Remurat e destinate a Genova ai fratelli Blanc, mercanti di origini francesi stabilitisi da anni nel territorio della Repubblica di Genova799. Immediatamente si sollevarono

le proteste dei Collegi di governo che, da un lato, fecero leva sul fatto che i due fratelli della famiglia Bianchi fossero «per nascita, e per abitazione genovesi», tentando in tal modo di invalidare il sequestro del carico di cotone; dall'altro, evidentemente consci della debolezza di questa giustificazione, si appellavano ad altri particolari quali la poca distanza da terra e il fatto che la cattura fosse avvenuta con l'inganno800.

Un particolare, questo, che era già emerso dai dossier processuali del Tribunale delle Prede Marittime: Domenico Ferro venne incitato a inseguire l'imbarcazione diretta a Genova da Giacomo Borro detto Giacano, proprietario della gondola su cui patron Ferro si era imbarcato per rientrare al Finale801. Patron Giacano, in effetti, aveva attirato la preda facendo credere di

voler «consegnare una lettera per Genova». Il governo genovese trasmise a Gerolamo Spinola, Governatore di Savona, l'ordine di arresto nei confronti di Giacomo Borro802: il

Governatore La Marre comunicò allo Spinola di aver prontamente disposto il rilascio della tartana ma, per quanto concerneva le balle di cotone, la questione venne rimessa al Magistrato Ordinario dello Stato di Milano803. Egli non poté far altro che ordinare la sospensione dell'asta

pubblica, in attesa di ricevere delucidazioni dai suoi superiori804. Il Governatore del

Marchesato, inoltre, cercò di intervenire a favore di Giacomo Borro il quale, nel frattempo, era stato trattenuto a Savona – dove si era recato su incarico dello stesso La Marre per acquistare una barca – ed era stato «posto in catena»: il Governatore di Finale spiegò che non era stato lui a mettere a segno la preda bensì patron Domenico Ferro, munito di regolare patente805. Avvenuto il rilascio del Giacano, La Marre se ne rallegrò con il Governatore di

Savona ma – non pago di quanto ottenuto – gli rivolse un'ammonizione: non poteva esimersi dal «render noto il successo al Serenissimo Signor Principe Eugenio di Savoia per riparo de' frequenti disordini» che colpivano i sudditi finalini806.

Nel frattempo, nel Marchesato riprese l'incanto per il quantitativo di cotone predato: le giustificazioni fornite dai Collegi genovesi non dovettero convincere le autorità del Ducato di Milano. Tra gli astanti figurarono persone di spicco della società come Giacomo Gandolino e Gio. Francesco Rossano – due notai che rogarono spesso atti per conto di esponenti della marineria locale – ma anche persone vicine all'ambiente della guerra di corsa, come Gio. Andrea Finocchio807. L'asta fu serrata e, partendo da un'offerta di 30 lire per ogni cantaro di

219, 14 aprile 1708.

799ASCF, Camera, Tribunale delle Prede Marittime, 110, fascicolo del 17 dicembre 1707. In realtà, ancora in quell'occasione, Domenico Ferro si definiva come scrivano al servizio di patron Benzo, dichiarando di aver ricevuto la patente di corsa dal re Carlo III.

800ASG, Archivio Segreto, Maritimarum, 1682, 2 gennaio 1708.

801Egli, infatti, aveva condotto la barca di patron Benzo nel porto di Savona, dove il legno restava ricoverato: una misura che si rendeva necessaria durante l'inverno per i legni di un certo tonnellaggio, per cui l'ancoraggio nello scalo del Finale – privo delle adeguate infrastrutture – si faceva troppo rischioso nel corso di una stagione maggiormente soggetta alle tempeste e alle intemperie del clima.

802ASG, Archivio Segreto, Maritimarum, 1682, 20 dicembre 1707. 803ASG, Archivio Segreto, Maritimarum, 1682, 24 dicembre 1707.

804ASCF, Camera, Tribunale delle Prede Marittime, 110, fascicolo 7 dicembre 1707. 805ASG, Archivio Segreto, Maritimarum, 1682, 10 febbraio 1708.

806ASG, Archivio Segreto, Maritimarum, 1682, 17 febbraio 1708.

cotone, fu Giuseppe Alfonso Carenzo ad aggiudicarsi il prodotto per una somma molto più elevata rispetto alla base d'asta, vale a dire 76 lire al cantaro808. L'incanto, tra l'altro, ebbe una

particolarità: non venne venduto l'intero quantitativo di cotone ma solo la quinta parte dello stesso, ovvero la porzione i cui profitti spettavano alla Camera del Marchesato. Già un mese prima, Domenico Ferro – su approvazione di Giacomo Borro – aveva concordato con Gio. Andrea Finocchio la vendita delle altre quattro parti, per 30 lire al cantaro: una procedura affatto regolare che, evidentemente, era stata tollerata dalle autorità finalesi e milanesi, impegnate nel gioco di forza con il governo genovese809.

Non restano altre tracce dell'attività di Domenico Ferro ma la ricerca condotta sugli atti notarili consente di intuire che gli ultimi anni della sua vita dovettero essere tutt'altro che facili: in seguito alla sua morte, avvenuta nel luglio 1711810, la moglie Maddalena e il figlio

Vincenzo furono mantenuti economicamente da Bernardo Arnaldo q. Gio. Batta. La stessa Maddalena morì a distanza di poco tempo dal marito, lasciando il figlio in seria difficoltà economica: il funerale e le successive messe in sua memoria, celebrate secondo le disposizioni testamentarie della defunta, vennero pagati dall'Arnaldo nei confronti del quale il giovane Vincenzo si dichiarò debitore di 450 lire811.

IV.3.5 L'audacia di Giacomo Borro, «Capitano de corsari», e il nuovo regolamento della

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