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I corsari di Filippo V tra Corsica e Capraia: il dinamismo dei legni liparotti

Capitolo III – La guerra di corsa nel Mar Ligure e nell'Alto Tirreno: l'attività dei corsar

III.2 Corsica e Capraia

III.2.2 I corsari di Filippo V tra Corsica e Capraia: il dinamismo dei legni liparotti

Capraia si presentarono dinamiche differenti: la presenza di nuovi protagonisti della guerra di corsa – i legni armati per conto di Filippo V – permise di avvertire il peso di questo fenomeno in termini decisamente più ampi531.

La cattura di un bastimento carico di grano effettuata da parte del Capitano Blanc di Marsiglia «armato al corso con bandiera di Spagna» al largo di Porto Vecchio nel gennaio 1709 – indiscutibilmente un'eccezione in un contesto dominato dagli intraprendenti corsari siciliani, particolarmente quelli di Lipari – offre lo spunto per esplicitare alcuni concetti, sul primo dei quali – l'unione di forze tra le Due Corone anche sul piano della guerra di corsa – si è già accennato nei capitoli precedenti. Merita in particolare di essere evidenziato, in considerazione degli sviluppi che verranno trattati a partire dai prossimi paragrafi, il significato dell'azione portata avanti dal Capitano francese: egli, infatti, non realizzò una preda marittima tout-court, bensì sottrasse la barca carica di grano ad un corsaro olandese nemico. La preda aveva una duplice valenza: il Capitano Blanc, con il suo intervento, impedì ai nemici di danneggiare la navigazione francese – originariamente, la barca era diretta

“classique”» era orientata verso «la capture de navires ennemis et leurs cargaisons», con significative

ricadute economiche sul porto di Saint-Malo o di altri porti della Bretagna. A. LESPAGNOL, La course

comme mode d'entrée dans les trafics internationaux: réalité et limites, in G. LÓPEZ NADAL (a cura di) El comerç alternatiu: corsarisme i contraban (sec XV-XVIII), Jornades d'Estudis Histórics Locals celebrades a Palma, 23-25 novembre 1989, p. 176. Lo storico francese ha dedicato la sua tesi di dottorato proprio ai

corsari del porto bretone, pubblicata con il titolo Messieurs de Saint-Malo: une élite négociante au temps de

Louis XIV, Presses Universitaires de Rennes, Rennes, 1997.

529In effetti, allo stato attuale delle ricerche, vi è un solo caso noto: la presa, realizzata ai Cavi Rossi – forse l'attuale Isola Rossa – e condotta a Livorno da un corsaro napoletano, a danno di un battello d'Antibes dedito alla pesca del corallo. ASF, Mediceo del Principato, 1620, lettera del Provveditore della Dogana di Livorno alla Segreteria di Stato, 17 agosto 1707.

530Infatti, per quanto si contino una decina di prede a danno dei nemici, queste fanno riferimento a due soli casi. Entrambi vedono come protagonisti i corsari napoletani: nel primo caso tre galeotte di corso avevano attaccato tre tartane francesi [ASF, Mediceo del Principato, 2231, lettera del Governatore di Livorno alla Segreteria di Guerra, 2 settembre 1710] mentre nel secondo ad agire contro sei piccoli legni siciliani erano stati due galeotte, un felucone ed una feluca: quest'ultimo è il caso che si ha già avuto modo di menzionare riguardante Andrea e Costanzo Persico. [ASF, Mediceo del Principato, 2233, lettera del Governatore di Livorno alla Segreteria di Guerra, 14 luglio 1712]

531La presenza dei corsari di Filippo V era possibile sia per la vicinanza di Porto Longone che ricadeva sotto il dominio del monarca Borbone sia per la conformazione stessa dell'isola che, da sempre, la rendeva comodo rifugio di corsari e pirati. Cfr. M. P. ROTA, L'apparato portuale della Corsica “genovese”..., cit., p. 307 e p. 312.

proprio a Marsiglia – ma, allo stesso tempo, invece di lasciare che il legno portasse a termine la sua rotta, la trattò come preda marittima in senso proprio – seppur per un arco di tempo assai breve, la si poteva valutare di proprietà olandese – e, per questo, si diresse alla volta di Livorno dove, per soddisfare la necessità di un ritorno economico della sua impresa, intendeva porre in vendita la sua preda532. Su quest'ultimo punto merita di essere accennato un

aspetto che riveste grande importanza per valutare i casi di preda marittima già incontrati nei paragrafi precedenti e che, in misura ancora maggiore, si troveranno nelle prossime pagine: tra il 1708 e il 1710, il commercio del grano conobbe una notevole contrazione a causa di carestie e della grande gelata che, nel 1709, sconvolse l'intero Mediterraneo533. A causa di

questa sfavorevole congiuntura, il grano – commerciato a costi proibitivi – si presentò come un prodotto decisamente appetibile a corsari desiderosi di trarre guadagno dai loro bottini.

Infine, vi è un ultimo punto su cui è opportuno soffermarsi poiché l'episodio che riguarda il Capitano Blanc può essere inteso come caso paradigmatico che permette di notare l'allineamento alle politiche delle rispettive Corone da parte dei diversi corsari; seppur per altro verso mantenessero costantemente lo sguardo sull'utile economico, obiettivo ultimo di ogni crociera in mare. Se i corsari francesi, olandesi e inglesi non si distrassero quasi mai dagli assalti condotti contro i rispettivi nemici per turbarne i circuiti commerciali, i piccoli legni corsari armati dall'arciduca d'Austria e dal duca d'Angiò – i due sovrani che si contendevano lo stesso trono – non persero occasione per arrestare i sudditi dei paesi neutrali: in tal modo aderirono alla linea adottata dai rispettivi monarchi i quali cercarono di attirare, ciascuno nella propria orbita, gli Stati che avevano optato per l'estraneità al conflitto, mettendo questi ultimi sotto pressione attraverso gli ostacoli posti alla navigazione dei loro sudditi.

In considerazione di quest'ultimo aspetto, si può tornare a prestare attenzione ai piccoli e numerosi legni corsari siciliani, i quali non si comportarono diversamente dai loro avversari maiorchini, catalani e napoletani colpendo prevalentemente i bastimenti neutrali. L'attacco diretto contro i nemici altro non fu che una mera eccezione: allo stato attuale delle ricerche, vi è un solo caso documentato ed è quello che annovera tra i predati i patroni Antonio Manzo534 e

532Il tema, seppur su scala più vasta, è stato trattato da A. LESPAGNOL, La course comme mode d'entrée..., in G. LÓPEZ NADAL (a cura di) El comerç alternatiu..., pp. 177-181. In tal senso, utile contributo è anche quello di G. LÓPEZ NADAL, El corsarismo en la estructuras mercantiles: las fronteras del

convencionalismo, in Idem, pp. 267-276.

533La gelata ha lasciato ampie tracce nella documentazione e proprio il caso analizzato ne offre un esempio: il Capitano francese non poté realizzare le proprie ambizioni poiché, a causa del libeccio, il brigantino corsaro si perse in mare, all'altezza di Vada, in Toscana, «con essersi annegati tutte le genti». Eguale sorte toccò alla barca di presa che, investita nella marina di Castagneto, si era «rotta in pezzi»: l'intero equipaggio annegò, ad eccezione di alcuni marinai. Tra i superstiti – ed è in queste righe che si coglie il carattere particolarmente rigido dell'inverno 1709 – «due[...] morirno la notte sopra la spiaggia per il freddo». ASF, Mediceo del

Principato, 2230, lettera del Governatore di Livorno alla Segreteria di Guerra, 19 gennaio 1709. Sulla gelata

del 1709 si rintraccia qualche accenno, seppur in riferimento all'area ligure, in M. QUAINI, Per la storia del

paesaggio agrario in Liguria. Note di geografia storica sulle strutture agrarie della Liguria medievale e moderna, Sabatelli, Savona 1973, pp. 21-22, 25-25 e 28-29.

534Si tratta di una figura che ha lasciato diverse tracce nella documentazione: probabilmente era lui, nel 1704, una delle «antiguardie» che attendeva Peppe Fumo nel porto di Napoli [ASG, Archivio Segreto,

Maritimarum, 1678, 15 ottobre 1704]. Inoltre, nel 1706 si era reso protagonista, a Porto Venere, di alcune

insolenze contro un guardiano della Sanità [ASG, Archivio Segreto, Maritimarum, 1680, 17 aprile 1706] e nel 1707 la sua barca era una di quelle che trasportava gli approvvigionamenti necessari al nuovo armamento del Cavalier Pallavicino [ASG, Archivio Segreto, Maritimarum, 1681, 30 ottobre 1707]. Antonio Manzo è uno di quegli attori minori che compare nella duplice veste di mercante e corsaro: se in questo frangente è emerso come vittima dei corsari liparotti, va ricordato che almeno fin dall'estate 1707 risulta titolare di una lettera di marca [ASM, Carteggi Consolari, 25, 7 luglio 1707] concessa dal Principe di Montesarchio, in virtù della quale ha lasciato tracce sporadiche in diversi archivi nazionali.

Gio. Marana di Napoli, i quali vennero fermati da alcuni corsari siciliani dopo che si erano separati da due navi flessinghesi, la cui scorta ne proteggeva la traversata in mare535.

A partire dal 1709, i protagonisti indiscussi della guerra di corsa nell'area diventarono i liparoti i quali si imposero sulla scena per audacia e sfrontatezza, non mostrando alcuno scrupolo nel predare le barche e il carico ad alcuni mercanti genovesi che trafficavano per proprio conto536: dalla voce di alcuni di loro si apprese che, dopo essere stati trattenuti per

qualche giorno, gli venne messo a disposizione un leudo – debitamente spogliato del carico – per poter «andar a casa». I corsari non si persero in smancerie e – se ne lamentavano i predati – non lasciarono alle loro vittime «cosa alcuna da mangiare», rendendo ancora più disagevole il rientro a Genova: particolare di non poco conto se si pensa che i liparoti non limitarono a ciò, trattenendo «a viva forza» una parte dell'equipaggio costringendolo a «fare il corso con loro». Inoltre, gesto ancora peggiore, dopo essersi impossessati della bandiera della Repubblica di Genova l'avevano stracciata «con termini infami, e con dire sempre parole inique contro de Genovesi»537: a un comportamento tanto oltraggioso – che richiama alla

mente gli analoghi atteggiamenti di Peppe Fumo – non poté che far seguito l'ordine di arresto da parte del Governatore di Bastia538.

Le scorrerie dei liparoti assunsero una cadenza quasi giornaliera: essi si avvalevano, infatti, del comodo «nido» di Porto Longone, poco distante dalla costa orientale della Corsica. Ma, ad agevolare le incursioni dei corsari, fu la conformazione stessa dell'isola, circondata a sua volte da numerose piccole isolette dove i corsari conducevano le loro prede per esaminare le carte di bordo e applicare una giustizia a dir poco sommaria539. Inoltre, essi si mossero in numero

sempre maggiore: dai quattro feluconi attestati nel 1708, si salì a cinque nei primi mesi del 1709 e, infine, a nove feluconi e una galeotta540 nell'estate di quello stesso anno: l'aumento dei

legni corsari restituisce d'impatto l'accresciuta intensità del fenomeno corsaro in quegli anni. Proprio per questo motivo, nel 1709 – annus horribilis per le campagne dell'intera Europa – il Governatore di Bastia, in una lettera diretta ai Collegi della Repubblica di Genova, esplicitò il timore nutrito in merito alla possibilità che «al tempo del raccolto» gli intrepidi corsari di

535ASG, Archivio Segreto, Maritimarum, 1682, 31 luglio 1708. Di questo caso resta traccia anche in ASF,

Mediceo del Principato, 2229, lettera del Governatore di Livorno alla Segreteria di Guerra, 7 agosto 1708 e

ASF, Mediceo del Principato, 1621, lettera del Provveditore della Dogana di Livorno alla Segreteria di Stato, 8 agosto 1708.

536I patroni predati furono Giuseppe Treglia, Bonifacio e Bernardo Airaldo di Alassio e Nicolò Musso, Michele Cappello e Domenico Balerco di Sestri Levante. ASG, Corsica, 648, 9 marzo 1709.

537ASG, Archivio Segreto, Maritimarum, 1683, 18 marzo 1709.

538ASG, Corsica, 648, 26 marzo 1709. Effettivamente, qualche mese dopo, il Governatore di Bastia riuscì a trattenere Antonio Figarra, uno dei corsari liparoti, il quale era stato inviato in quel luogo per sbrigare alcune commissioni per conto del Governatore di Porto Longone: è dunque per una semplice casualità che dalle fonti si appura l'identità di uno di essi che, altrimenti, sarebbe rimasto confuso nella massa indistinta dei numerosi e temuti corsari liparoti. ASG, Corsica, 648, 20 maggio 1709.

539Patron Nicolò Musso, dopo essere stato arrestato nei pressi di Porto Vecchio, era stato condotto in una delle isolette situate in quelle vicinanze: spogliato del carico, si era visto restituire il bastimento. ASG, Corsica, 648, 20 maggio 1709. In maniera analoga, patron Geronimo Foza dopo essere stato predato nelle Bocche di Bonifacio era stato scortato nell'«Isole Lavezzi» (oggi Île Ratino) dove i corsari si erano impossessati del suo carico di formaggio. ASG, Archivio Segreto, Maritimarum, 1683, 19 giugno 1709.

Per un quadro sulla morfologia dell'isola si rimanda al lavoro di M. P. ROTA, L'apparato portuale della

Corsica “genovese”..., cit., pp. 297-328.

540La galeotta, tuttavia, venne abbandonata – perché «rotta, et […] piena quasi d'acqua» – nell'Isola Lavezzi durante la fuga dei 9 feluconi al cospetto delle galere della Repubblica di Genova: di essa se ne impadronì il patrone che era stato predato del carico di formaggio sperando di ottenere, in questo modo, un indennizzo alla perdita subita. Lo stesso patrone, però, fu costretto a riconoscere che – qualora avesse trovato un acquirente interessato – «non sarebbe il suo prezzo la valuta del formaggio, che detti liparotti […] presero». ASG, Archivio Segreto, Maritimarum, 1683, 19 giugno 1709.

Lipari potessero «molto infestare la condotta de grani dalla spiaggia d'Aleria»541. Le galere

dello stuolo pubblico riuscirono a proteggere, per un certo periodo, la navigazione ma, nonostante ciò, in alcune occasioni i dispositivi di difesa si incepparono: come nel caso di «due filuche nazionali» che navigavano «varie miglie alte dal terreno» – probabilmente perché il carico di grano che avevano a bordo era stato «estratto […] furtivamente nelle spiagge di Aleria» – e, pertanto, vennero agevolmente catturate dagli spavaldi liparoti.

Il documento che testimonia questo caso permette allo studioso ulteriori considerazioni: gli stessi corsari arrestarono anche un bastimento proveniente dall'Isola d'Elba con un carico di vena ma, «riconosciutolo per livornese», lo avevano lasciato libero di proseguire verso la sua meta542. È naturale interrogarsi sul motivo per cui il patrone toscano – neutrale, come i tanti

genovesi perseguitati – non subì alcuna privazione: le fonti rendono evidente il fatto che i corsari agissero, non di rado, seguendo comportamenti del tutto arbitrari. Da un lato si può pensare che il carico non fosse così allettante per i corsari mentre non appare convincente imputare l'atteggiamento dei predatori alla posizione geografica di Porto Longone, a stretto contatto con i domini toscani: il Granduca avrebbe potuto ordinare provvedimenti miranti a interrompere le comunicazioni di quel piccolo presidio spagnolo. Ma, a tal proposito, va ricordato lo stato di crisi in cui si trovava il Granducato di Toscana e la presumibile incapacità del governo mediceo di contrastare il dilagante fenomeno corsaro: i rapporti tra Asburgo o Borbone e gli Stati neutrali si configurarono sulla base dell'importanza di questi ultimi e del loro effettivo comportamento nel contesto bellico. Ancora una volta, dunque, la guerra di corsa si rivelerebbe come uno degli strumenti impiegati per mantenere sotto tensione i governi che avevano optato per il non intervento e per notare come – differentemente dal Granducato di Toscana, i cui sudditi si imbattevano nei legni corsari con minor frequenza – la Repubblica di Genova non mancasse di attrattiva, resa ben evidente dalle tante prede di cui furono oggetto i bastimenti che inalberavano il suo stendardo.

Il caso preso in esame, oltre a ciò, restituisce anche un affresco interessante sull'economia di una stagione sfortunata come quella del 1709 in cui, a fronte di un raccolto più magro rispetto al previsto, si assistette al costante e giornaliero aumento del prezzo del grano – «cosa poche volte vista […] nella Corsica», secondo le parole del Governatore di Bastia – che rese necessario il ricorso «a rimedi efficaci, e violenti»: ad esempio, «obbligare chi ha ristretto i grani a venderli, acciò il pane […] non venga a mancare»; vale a dire obbligare quei produttori che, avendone una certa disponibilità, li avevano chiusi nei loro magazzini per farne incetta e rivenderli, al momento più idoneo, a prezzi proibitivi543. Il Regno di Corsica,

tuttavia, non si misurò solamente con mercanti che sperarono di approfittare di una congiuntura che poteva essere particolarmente lucrosa bensì dovettero cercare di contenere gli illeciti che impedivano alle autorità doganali il monitoraggio dei traffici commerciali e la riscossione delle imposte544. Questa dimensione, «per la frequenza delle imbarcazioni, che

vengono [...] di contrabando», come pareva essere il caso delle due feluche genovesi e, probabilmente, anche di alcuni oneglini e finalini che riuscirono ad «estrarre qualche porzione per i loro paesi»545, era in chiara correlazione al rincaro dei prezzi. Un quadro del genere

541ASG, Corsica, 648, 20 maggio 1709.

542ASG, Archivio Segreto, Maritimarum, 1683, 17 agosto 1709.

543I distretti cerealicoli erano Aleria, Favone, San Pellegrino sul versante orientale, Ajaccio e il golfo di Valinco sul versante occidentale, Balagna, Argiati e Nebbio su quello settentrionale. M. P. ROTA, L'apparato

portuale della Corsica “genovese”..., cit., p. 307n.

544Un contributo recente al tema è dato dal volume P. CALCAGNO (a cura di), Per vie illegali. Fonti per lo

studio dei fenomeni illeciti nel Mediterraneo dell'età moderna (sec. XVI-XVIII), Rubettino Editore, Soveria

Mannelli, 2017.

spiega in maniera lampante l'importanza assunta dal grano e motiva, senza bisogno di insistervi ulteriormente, la brama da parte dei corsari nei suoi confronti: non a caso, diversi episodi di preda marittima trattati nelle pagine precedenti riguardarono barche cariche di questo prodotto. Ciò poté essere dovuto sia ad un esplicito ordine rivolto dai Governatori o Viceré ai corsari – si pensi, per esempio, alla necessità di rifornimento di viveri delle piazze546

– sia, come detto, all'ambizione di questi ultimi di introdursi in mercati redditizi.

Dal 1710 – dopo che, a partire dall'anno precedente, i legni armati per Carlo III avevano iniziato a fare la loro comparsa più di frequente nelle acque della Corsica – i corsari di Lipari si spostarono verso Capraia. Il modus operandi era quello già noto, confacente più a un pirata che non a un corsaro – non a caso, Francesco Terriesi, Provveditore della Dogana di Livorno, ne parlava come di «ladronerie» – poiché, dopo aver sottratto «tutto il carico, provisioni, e robbe dei marinari», i «bastimenti vacanti» venivano, infine, licenziati547. Francesco Terriesi

non aveva mutato opinione: avrebbe voluto che i corsari non venissero accettati nello scalo labronico ed asserì che avevano «ben ragione li Genovesi, a non dar recetto, ne rinfresco di sorte veruna, ne porti del Dominio loro a simili ladroni»548.

Si configura come una singolarità, nel quadro finora delineato, la decisa reazione del Governatore di Bastia di attivarsi sul piano diplomatico invece di limitarsi, come era stato fino a quel momento, alla richiesta di intervento delle galere della Repubblica o al potenziamento delle strutture di carattere difensivo presenti sull'isola549: a spingerlo in tal senso fu,

certamente, il fatto che l'episodio riguardasse una ricca presa di contanti che i temuti corsari liparoti realizzarono, nel maggio 1711, a danno di una gondola capraiese diretta al mercato di Livorno. In un primo momento, egli si rivolse al Governatore di Porto Longone perché intimasse ai delinquenti di «restituire sudetti denari» e «proibire a tutti quelli, che corseggiano sotto la bandiera del suo Re, a non dover molestare» coloro che navigavano con lo stendardo della Repubblica di Genova, «amica, e neutrale»550. Non riuscendo, evidentemente, a trovare

giustizia rimise in seguito la questione direttamente nelle mani del Governatore di Lipari, al quale avanzò la richiesta di cattura dei liparoti pur rendendosi conto che, con tutta probabilità, gli autori della depredazione – temendo la sorte che li attendeva – non avevano osato far ritorno «alle loro case»551.

D'altronde, già l'anno precedente si rese evidente che il Governatore di Porto Longone, Estevan Bellet, fosse colluso coi corsari che si rifugiavano nel suo nido: lo dimostrano efficacemente i casi che riguardarono Antonio d'Antoni, un Capitano corso che, proprio dal Bellet, ottenne la lettera di marca552. Questi, coadiuvato da un altro patrone corso, Gio. Natale,

assalì un brigantino di Alassio e lo spogliò del carico di formaggio. Il Governatore di Bastia,

2230, lettera del Governatore di Livorno alla Segreteria di Guerra, 19 agosto 1709.

Il sospetto che anche oneglini e finalini avessero praticato dei contrabbandi scaturisce dal fatto che l'esportazione veniva concessa solamente quando il quantitativo di grano presente nell'isola fosse in eccedenza rispetto al fabbisogno alimentare della stessa. M. P. ROTA, L'apparato portuale della Corsica

“genovese”..., cit., p. 320.

546Un esempio veniva offerto dal Capitano Antonio d'Antoni che, come confermava un espresso inviato da Porto Longone, «scorreva per la Corsica, ed altri luoghi, per provvedere di viveri questa piazza». ASG,

Archivio Segreto, Maritimarum, 1684, 15 settembre 1710.

547ASF, Mediceo del Principato, 2231, lettera del Governatore di Livorno alla Segreteria di Guerra, 22 maggio 1710. Sulla guerra di corsa come strumento di approvvigionamento di cereali si trova un accenno in G. LÓPEZ NADAL, El corsarismo en la estructuras mercantiles..., cit., p. 272.

548ASF, Mediceo del Principato, 1623, lettera del Provveditore della Dogana di Livorno alla Segreteria di Stato, 22 maggio 1710.

549Su quest'ultimo punto, ASG, Corsica, 648, 22 maggio 1709.

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