Capitolo I – L'inizio del conflitto e la questione della neutralità genovese e toscana
I.2 Il Granducato di Toscana e l'adesione al campo neutrale
Nell'introduzione si è avuto modo di accennare come, durante il conflitto successorio, lo Stato mediceo mantenne la linea neutrale che aveva rappresentato il punto fermo della politica
169ASG, Archivio Segreto, Maritimarum, 1678, 30 marzo 1703. 170ASG, Archivio Segreto, Maritimarum, 1678, 30 maggio 1704.
Secondo la relazione stesa nel 1705 da Negrone Rivarola, inviato straordinario in Francia, il ministro Pontchartrain «non riesce in aquistarsi l'applaoso de' ministri forastieri», ed era «naturalmente inclinato a difficultare l'esito delle pratiche ed a negare ciò che per altro non può evitare di concedere». Forse a questa ragione era imputabile la decisione del Re Sole che incaricava il Marchese di Torcy di occuparsi di tutte le cause di Marina presentate da ministri stranieri. Cfr. C. MORANDI (a cura di), Relazioni di ambasciatori
sabaudi genovesi e veneti (1693-1713), Zanichelli, Bologna 1935, pp. 173-174.
171G. ASSERETO, La guerra di Successione spagnola cit., p. 552. 172G. ASSERETO, La guerra di Successione spagnola cit., p. 553.
estera granducale già a partire dagli inizi del XVII secolo173. Come riassume Jean Pierre
Filippini – che ha raccolto la storia del porto labronico e della Toscana in un'opera in tre volumi – la neutralità del sovrano toscano non portava con sé, ipso facto, la neutralità del porto livornese: la questione non era così evidente o scontata per tanti marinai, capitani e viaggiatori che vi approdavano, «tanto più che il porto era “franco” […], al punto che alcuni si chiedevano se non sfuggisse all'autorità del Granduca»174. A fronte di incidenti che ne
agitarono la routine, già verso la fine del XVII secolo le autorità dell'importante città portuale riuscirono a convincere il Granduca sulla necessità di trasformare l'autorità di diritto in autorità di fatto: nel 1691, il Governatore di Livorno – il cui potere era «molto più di una mera emanazione del potere sovrano»175 – intervenne presso i Consoli di Francia, di Spagna,
d'Inghilterra e di Olanda perché fosse firmata una convenzione, alla quale il Granduca dette forza di legge nel proprio stato176. Così fu definita in tre articoli la neutralità del porto di
Livorno177, una delle misure più significative del governatorato di Marco Alessandro del
173Sulla fine della politica di potenza medicea è possibile rintracciare una sintetica ma efficace spiegazione in A. ADDOBBATI, Commercio, rischio, guerra: il mercato delle assicurazioni marittime di Livorno, 1694-
1795, Edizioni di storia e letteratura, Roma, 2007, p. 75.
174J.P. FILIPPINI, Il porto di Livorno e la Toscana (1676-1814), Edizione scientifiche italiane, Napoli, 1998, pp. 207-208. Per un primo approccio all'istituzione del portofranco a Livorno il rimando è obbligato a L. FRATTERELLI FISCHER, Livorno 1676: la città e il portofranco, in F. ANGIOLINI, V. BECAGLI, M. VERGA (a cura di) La Toscana nell'età di Cosimo III: atti del Convegno, Pisa-San Domenico di Fiesole
(FI), 4.5 giugno 1990, Edifir Edizioni, Firenze, 1993, pp. 45-66. Per una precisazione sull'essenza del
carattere di Livorno quale porto franco, con interessanti riferimenti anche al periodo oggetto di questa ricerca, si veda a A. ADDOBBATI, Commercio, rischio, guerra..., pp. 65-71.
175M. AGLIETTI, I governatori di Livorno dai Medici all'Unità d'Italia. Gli uomini, le istituzioni, la città , Edizioni ETS, Pisa, 2009, p. 11.
176Si coglie l'occasione per precisare quali fossero i compiti dei consoli stranieri in Livorno: riportando la definizione offerta da Marcella Aglietti «il console […] operava nell'interesse della propria nazione e ne esprimeva le istanze di fronte alle autorità locali mentre, in linea di massima, non aveva alcun ruolo in termini di rappresentanza internazionale, né tantomeno di natura diplomatica. Si trattava […] di un ufficio competente in termini di coordinamento e rappresentanza con efficacia limitata, quasi alla stregua degli altri organi di governo locale, senza poter ambire a maggiori prerogative, né di natura politica, né giuridica». L'autrice non manca di precisare come, tuttavia, «nel corso del concreto svolgersi dei rapporti quotidiani, si svilupparono però dinamiche anche assai differenti rispetto alla lettera delle norme, seguendo le ragioni dell'opportunità e della discrezionalità di chi si trovò ad amministrare la città». Cfr. M. AGLIETTI, L'Istituto
consolare tra Sette e Ottocento. Funzioni istituzionali, profilo giuridico e percorsi professionali nella Toscana Granducale, Edizioni ETS, Pisa, 2012, pp. 35-36. E, in effetti, questo aspetto viene rimarcato anche
da Zamora Rodríguez quando afferma: «se trata de un cargo con un alto componente de hibridación entre lo
diplomático y lo comercial, a menudo con unas líneas de separación que no quedaban nada claras, por lo tanto, la ambigüidad es intríseca y acompaña a la labor consular». Cfr. F.J. ZAMORA RODRÍGUEZ, Génova y Livorno en la estructura imperial hispánica. La familia Gavi al frente del consulado genovés en Livorno, in M. HERRERO SÁNCHEZ, Y. ROCÍO BEN YESSEF GARFIA, C. BITOSSI e D. PUNCUH (a
cura di), Génova y la Monarquía Hispánica.., cit., p. 613.
Si rimanda alla Premessa del citato volume di Marcella Aglietti per un chiarimento sulla figura consolare in termini generali, e particolarmente alle pagine 9-22. Infine, va precisato che in quest'opera – per quanto non manchino rimandi al periodo antecedente in virtù della comparazione effettuata per ricostruire il delinearsi dell'istituto consolare – l'analisi si concentra prevalentemente sul periodo successivo alla Guerra di Successione spagnola, oggetto del presente studio.
177J.P. FILIPPINI, Il porto di Livorno..., cit., vol. II, p. 208. Come precisa Frattarelli Fischer, i firmatari dell'accordo furono rispettivamente Francesco Cotolendy, Andrea de Silva, Lambert Blackwell e Giacomo Calckeberner. Cfr. L. FRATTARELLI FISCHER, L'arcano del mare. Un porto nella prima età globale:
Livorno, Pacini Editore, Pisa, 2018, p. 151.
Sull'accordo di neutralità ha riflettuto anche Zamora Rodríguez il quale ha posto in evidenza come «el
acuerdo no tenía nada de original y estaba basado en uno firmado por los representantes francés y español en aplicación al puerto de Gènova unos años antes». Cfr. F.J. ZAMORA RODRÍGUEZ, «La 'pupilla dell'occhio della Toscana' y la posición hispánica en el Mediterráneo occidental (1677-1717)», Fundación
Borro178, definita da Lucia Frattarelli-Fischer – autrice di una recentissima ed accurata
monografia sul porto livornese – come «il coronamento delle riforme che favorirono lo sviluppo dei traffici portuali e della città»179, fortemente voluto dai mercanti che disponevano
di una zona franca. La forte crescita commerciale era imputabile sopra ogni altra cosa proprio allo stato di guerra poiché «il traffico delle nazioni belligeranti, in gran parte impedito, passava allora da Livorno, specialmente quando erano impegnate nella guerra le principali potenze»180: questa convinzione, tuttavia, è stata nel corso del tempo ridimensionata dalla
storiografia, particolarmente da Filippini181. Il parallelismo tra Genova e Livorno è innegabile
e rappresenta uno stimolo per un'analisi che, partendo dalla comparazione tra i due porti presi in esame, sia in grado di evidenziarne gli sviluppi senza perdere di vista i differenti contesti di riferimento.
L'accordo sulla neutralità venne esteso anche a Portoferraio nel 1694. Tuttavia, come ricorda ancora Frattarelli-Fischer, «la non belligeranza concordata tra il Governatore e i consoli divenne più difficile a causa della presenza di navi e flotte da guerra nel Tirreno» e ciò aveva indotto Cosimo III a potenziare, già sulla fine del XVII secolo, la capacità di fuoco delle fortificazioni toscane e ordinare altri lavori volti a migliorare la potenzialità difensiva del molo182.
Ma che cosa accadde nello scalo labronico allo scoppio della Guerra di Successione Spagnola? In maniera del tutto analoga rispetto a quanto stabilito dalla Repubblica di Genova, anche nello Stato mediceo si provvide a rinnovare il bando in «materia de gl'Armatori, & Armamenti in Corso», sulla scia di quello emanato nel 1683183, e si chiese ai Consoli presenti
nel Granducato di ratificare gli accordi sulla neutralità dei porti di Livorno e Portoferraio. Questi, a loro volta, si limitarono a riprendere quelli siglati nel 1691 e nel 1694184: in sintesi,
Española de Historia Moderna, Madrid, 2013, p. 81. Più in generale, l'autore dedica spazio agli antecedenti che indussero a giungere a tale accordo e ragiona sugli orientamenti assunti dagli Stati coinvolti, e particolarmente dalla Monarchia spagnola: non c'è spazio, in questa ricerca, per dilungarsi oltre e pertanto si rimanda alle pp. 77-97. Infine, per un contributo di maggior respiro si rimanda sinteticamente a A. ADDOBBATI, «La neutralità del porto di Livorno in età medicea. Costume mercantile e convenzione
internazionale», in A. PROSPERI (a cura di), Livorno 1606-1806. Luogo di incontro tra popoli e culture,
Allemandi, Torino, 2009, pp. 71-85.
178M. AGLIETTI, I governatori di Livorno..., cit., p. 81. L'autrice – che ha studiato l'origine e l'evolversi della figura del Governatore di Livorno in questa sua dettagliata monografia – colloca tali accordi all'interno di quel «processo di consolidamento dell'istituto governatoriale verso prevalenti competenze da esercitare in loco anziché sui mari» come era accaduto fino a quel momento.
179L. FRATTARELLI FISCHER, L'arcano del mare.. cit., p. 150.
180Archivio di Stato di Livorno (d'ora in avanti ASL), Governatore, 958, c. 11. Citazione ripresa da L. FRATTARELLI FISCHER, L'arcano del mare...cit., p. 150.
181J.P. FILIPPINI, Il porto di Livorno..., cit., vol. II, pp. 207.-214. 182L. FRATTARELLI FISCHER, L'arcano del mare.. cit., pp. 151-157.
183Il Granduca Cosimo III «professando […] una intera neutralità» comandava che «nessuno de' suoi Sudditi» prendesse «partito, e partecip[asse] ne gl'Armamenti di Vasselli, Navi, o qualunque altro Bastimento da Guerra, che si facesse in qualsivoglia Porto, e Luogo»; in caso di disobbedienza sarebbero state applicate «rigorose pene, pecunarie, et afflittive», nelle quali sarebbero incorsi anche coloro che avessero cooperato, agevolato o assistito in simili cause. Il bando precisava che le pene pecuniarie erano da applicare per un quarto all'accusatore «secreto, o palese», per un quarto al Giudice, e la restante parte al fisco e alla Camera granducale.
Infine veniva proibito «a tutti i suoi sudditi l'interessarsi, et avere interesse di sorte veruna, et in qualunque modo, ne vascelli, navi o qualsivoglia altra sorte di legni, e bastimenti, tanto quadri, che latini, armati in guerra», sia in partenza sia in arrivo dal porto di Livorno: era solamente consentito caricare «sopra li sopradetti vasselli, navi, et altri bastimenti, tutte le sorti di mercanzie, eccettuate le proibite da gl'ufficiali di sicurtà della città di Firenze per mandarle in altri porti a beneficio del commercio universale». Archivio di Stato di Firenze (d'ora in avanti, ASF), Mediceo del Principato, 2223.
gli articoli prevedevano la proibizione di compiere atti di guerra sia sul molo sia sulla spiaggia, che i bastimenti armati in guerra non potessero uscire dal porto quando fosse stato annunciato l'arrivo di un altro bastimento e che fosse necessario attendere 24 ore dopo la partenza di un legno nemico per poter uscire dal porto185; punto, quest'ultimo, tutt'altro che
facile da gestire186.
Verso la fine del 1702 anche a Livorno iniziarono a diffondersi notizie su un temuto armamento, in questo caso di corsari inglesi187: Cosimo III ordinò al Provveditore della
Dogana, Francesco Terriesi, di «rintracciare ciò, che s'abbin fatto li Genovesi nelle guerre passate, e quello che sian per fare in questa in ordine alla ricezione de corsari». La richiesta del granduca merita di essere analizzata per un istante poiché, ad una rapida lettura, potrebbe sfuggirne il senso che, a mio modo di vedere, è da individuare nell'interesse del governo toscano di offrire allo scalo labronico occasioni di profitto – si pensi alle necessità di approvvigionamento e manutenzione dei bastimenti per cui Livorno era in grado di fornire un'offerta senza pari – e procurare ai mercanti una compensazione per gli effetti negativi dovuti alla presenza corsara nelle acque liguri e tirreniche con la possibilità di acquistare all'incanto, a prezzi vantaggiosi, le merci sottratte dai corsari ai loro nemici o i bastimenti stessi. Questo ragionamento avrebbe acquisito una forza ancora maggiore qualora Genova si fosse dimostrata propensa a ricevere i corsari e le loro vittime – ponendosi in concorrenza con lo scalo toscano – e non avrebbe avuto senso che Livorno agisse diversamente: i corsari avrebbero continuato a scorrere l'Alto Tirreno e l'unico effetto per lo scalo labronico e i padroni marittimi locali sarebbe stato quello di non poter beneficiare delle ricadute positive della guerra di corsa.
Il Provveditore della Dogana, dal canto suo, assicurò che avrebbe preso informazioni in tal senso ma, con una minor larghezza di vedute, non si poté esimere dall'esprimere la propria opinione, portando ad esempio il caso del Portogallo che aveva rigettato l'ospitalità ai corsari: «sian per fare [i genovesi] quello, si vogliono, io stimo, che a non riceverli [i corsari] a Livorno, si obbligheria in estremo tanto li francesi, che li spagnoli, che gl'inglesi, e l'olandesi». Francesco Terriesi temeva di rovinare i traffici ed impoverire il paese: a fronte delle poche presenze corsare riscontrate in quei primi mesi di guerra, «Dio sa quanti ve
1) “che al molo, et alla spiaggia del porto di Livorno non fosse osato ostilità fra le dette nazioni”
2) “che qualunque legno armato in guerra, tanto regio che corsaro, ritrovandosi ancorato, si al molo, come alla spiaggia, vedendo mettere al fanale, segno di vassello non dovesse partire, per andar incontro a quello, che viene”
3) “che ritrovandosi dato fondo al molo, o alla spiaggia vasselli mercantili, tanto dell'una, che dell'altre nazioni volendo partire, stesse nell'arbitrio di partir prima, o poi, di quello che fu ancorato prima nel porto; e che in caso, che vi si trovassero ancorati vasselli armati in guerra, non potessero partire, che 24 hore doppo; e l'istesso regolamento deve osservarsi, anche tra i legni mercantili”.
Per quanto riguardava Portoferraio nella sostanza si esplicitavano gli stessi articoli già considerati per Livorno e si precisava che la neutralità fosse da applicare «per tutto il suo distretto limitato fino allo scoglietto, che resta in mare, all'imboccatura di quel porto, segno prefisso, e dichiarato, per termine della medesima neutralità».
185ASF, Mediceo del Principato, 2223, 9 ottobre 1691.
186L. FRATTARELLI FISCHER, L'arcano del mare.. cit., p. 152.
187 ASF, Mediceo del Principato, 1614, lettera del Provveditore della Dogana di Livorno alla Segreteria di Stato, 21 ottobre 1702. In effetti, le più recenti lettere spedite dall'Inghilterra facevano sapere che «il Capitano Broum et […] Plouman» avessero «con i loro rigiri persuaso et indotto qualche mercante di Londra a contribuire e pigliar interesse nella fabbrica et armamento di una nave […] sopra della quale doveranno essi imbarcarsi per venire a corseggiare nel Mediterraneo». I timori più forti erano orientati verso il Capitano Plowman che, evidentemente, aveva già dato del filo da torcere in passato ai mercanti toscani – è ciò che chiaramente si percepisce dalla lettera considerata che, malauguratamente, non definisce meglio la figura di questo corsaro – e che era destinato ad acquisire notorietà ben maggiore come dimostra D. FRIGO, in Le
n'attireran di più le due ricche prese qui condotte» da alcuni zelandesi. D'altro canto, egli si dimostrò consapevole del fatto che un rifiuto totale avrebbe portato a ricadute e dibattiti sul piano diplomatico: per questo proponeva di fare un'eccezione per «le navi da guerra, e le prese, che facessero le medesime»188. Si trattava di una proposta che già incontrava il favore
dei consoli di Francia e Spagna, impensieriti dai movimenti di una barca recentemente partita da Civitavecchia «con patente dell'Imperatore»: questa non poteva condurre le eventuali prese marittime a Genova – perché, di fatto, non veniva dato «ricetto a pirati» – né poteva godere di altri approdi, lasciando prevedere che potesse ricoverarsi a Livorno o a Portoferraio.
Tuttavia, Francesco Terriesi dovette misurarsi più con l'avversione del console inglese che non con le prime rappresaglie in mare dei corsari zelandesi: da Genova, infatti, Blackwell fece sapere di non ritenere ammissibile un tale provvedimento, «troppo favorevole» ai nemici. Effettivamente, se si pensa al fatto che nell'Alto Tirreno erano presenti le squadre di galere francesi e spagnole – che avrebbero potuto condurre eventuali prese a Livorno – accanto a navi di “particolari” inglesi e olandesi – ai quali, invece, questo diritto veniva negato – non si può dare torto al Console Blackwell per la sua obiezione. Il Terriesi allo stesso tempo illustrò i vantaggi offerti dalla proposta: basti pensare al fatto che inglesi e olandesi non avevano «altri porti cristiani nel Mediterraneo, che quelli della Toscana, e della Liguria» cui far riferimento: Civitavecchia era fuori gioco – il Papa non avrebbe mai consentito ai corsari cristiani di farsi la guerra l'un l'altro nel territorio sottoposto alla sua giurisdizione – e i restanti principali porti della penisola erano in mano alla Corona di Spagna. Qualora i francesi, irritati dalle prese realizzate contro di loro dagli zelandesi, avessero deciso di mandare «fuori da porti loro li lor corsari», avrebbero finito per assediare Livorno e Genova, «porti amici», in maniera tale che «ne meno le navi inglesi, et olandesi da guerra potranno liberare le loro navi mercantili, che con un dispendio eccessivo, e con l'obbligarle ad andarvi solo sotto la loro scorta»189.
Il Terriesi, nelle numerose lettere spedite a Firenze, ribadì in maniera insistente il suo pensiero ma tutto l'anno seguente, il 1703, era destinato a trascorrere senza che la sua proposta potesse trovare attuazione: ancora negli ultimi giorni dell'anno, in seguito all'arrivo di corsari inglesi e olandesi, egli si era spinto ad affermare che «in breve tempo» nel porto di Livorno si sarebbero contati «più ladri, che mercanti» e, qualora non si fossero rifiutate le prede realizzate dai corsari, «più guai che negozi» con il pericolo insito di «essere accusati di parzialità da ambi le parti»190.