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Il Capitano Agostino Bochiardo: analisi di una figura paradigmatica

Capitolo III – La guerra di corsa nel Mar Ligure e nell'Alto Tirreno: l'attività dei corsar

IV.3 Il ritorno degli Austrias: una nuova stagione corsara per i patroni finalini

IV.3.2 Il Capitano Agostino Bochiardo: analisi di una figura paradigmatica

Diversa, naturalmente, era la questione dei dispacci che Christopher Crowe non ricevette mai: egli – mentre cooperava per la restituzione del carico di sale749 – riuscì ad ottenere

l'intervento del governo toscano con Tornaquinci, il Governatore di Livorno, che cercava di svolgere il difficile compito di mediatore tra lui e il console francese. Gibercourt, infatti, ammise di essere entrato in possesso di quei documenti e di volerne fare una merce di scambio per ottenere il rilascio di due tartane francesi cariche di vino predate da un altro corsaro finalino, anch'egli coinvolto nella rissa, il già citato Agostino Bochiardo750.

746ASCF, Camera, Tribunale del Prede Marittime, 110, fascicolo del 8 marzo 1709. Il caso trova corrispondenza nelle carte genovesi dalle quali è possibile apprendere aspetti che restano celati dai dossier processuali del Tribunale delle Prede Marittime: da un lato, la violenza usata dai marinai finalini per indurre i genovesi a dichiarare che le merci spettavano a mercanti francesi; dall'altro, la deposizione presentata dal Magnifico Gio. Agostino Centurione al Marchese Aribert perché intercedesse in favore del patrone genovese presso il Governatore del Marchesato e le autorità del Ducato di Milano. ASG, Archivio Segreto,

Maritimarum, 1683, 15 marzo e 25 aprile 1709.

747ASF, Mediceo del Principato, 1620, lettera del Provveditore della Dogana di Livorno alla Segreteria di Stato 6 luglio 1707. Il Governatore di Livorno, nel momento in cui avviò le indagini per comprendere chi avesse dato origine alla zuffa, mise in dubbio la validità della giustificazione che i corsari avevano dato a patron Del Vivo: quando il Console inglese aveva sporto denuncia per l'accaduto egli non aveva menzionato la somma di denaro. ASF, Mediceo del Principato, 2228, lettera del Governatore di Livorno alla Segreteria di Guerra, 6 luglio 1707.

748ASF, Mediceo del Principato, 2228, lettera del Governatore di Livorno alla Segreteria di Guerra, 3 agosto 1707.

749ASF, Mediceo del Principato, 2228, lettera del Governatore di Livorno alla Segreteria di Guerra, 8 luglio 1707.

750ASF, Mediceo del Principato, 2228, lettera del Governatore di Livorno alla Segreteria di Guerra, 4 e 6 luglio 1707 e ASF, Mediceo del Principato, 1620, lettera del Provveditore della Dogana di Livorno alla Segreteria di Stato, 4 e 6 luglio 1707. Il patrone predato era Bartolomeo Del Vivo il quale navigava di conserva con altri due navicelli, aventi il suo stesso carico. Il navicello di Empoli aveva a bordo 80 sacchi di sale: patron Saccone ne aveva trattenuto 10 ma aveva consegnato la maggior parte al Governatore tedesco di Avenza, il quale li restituì ai legittimi proprietari dopo aver ottenuto il denaro sottratto al corsaro finalino nella rissa. Proprio durante la zuffa, alcuni marinai francesi avevano sottratto ad un aiutante di patron Saccone la giubba: questa venne reclamata a gran voce per lungo tempo tanto che, ancora nel mese settembre, il Governatore di

Il Console francese strepitava per ottenere un giudizio di preda illegittima accusando il Bochiardo di non essere «munito d'altra patente, che di una facoltà datali dal Cavalier Pallavicino di poter andare in corso»751: se, come già si è visto, il Cavaliere di Malta aveva

autorizzato il Capitano Bochiardo ad assumere il comando del suo legno in caso di necessità, Gibercourt si illudeva se pensava di poter tacciare il finalino di pirateria poiché egli aveva ottenuto regolare patente di corso dal Principe Eugenio di Savoia. Il nuovo Governatore del Ducato di Milano aveva autorizzato il Bochiardo a «usar las ostilidades […] contra los

subditos, y vassallos de Francia, y demas enemigos de la Corona»752 e probabilmente era

stato lui che – nell'ottica di consentire a Carlo III di guadagnare consenso in Spagna – aveva precisato di «non far rappresaglia di spagnoli»753.

Anche nel caso del Capitano Bochiardo la guerra di corsa non fu un attività esclusiva: egli navigava «in corso, e mercanzia» ed il motivo per cui aveva condotto di presa a Livorno le due tartane predate non era dovuto alla sua collaborazione con il Cavalier Pallavicino bensì al fatto che egli era diretto proprio nello scalo labronico con «un poco di riso, carte da scrivere, e da giocare»754. In effetti, tra il 1701 e il 1707, Agostino Bochiardo compì un discreto numero

di viaggi di carattere commerciale che lo portarono a Livorno e nella Maremma, in Calabria, in Sicilia, in Sardegna e, occasionalmente, anche in Spagna755. Non sempre, in quegli anni,

ebbe successo: nel 1703 dichiarò una «perdita [...] fatta nel viaggio del somacco» imbarcato in Sicilia756. Evidentemente, proprio per l'alto tasso di rischio connesso all'investimento in

colonna e cambio marittimo757, l'attività di patron Bochiardo non aveva, tra i suoi investitori, i

Livorno scriveva al Montauti, Segretario di Guerra, in merito alle diligenze compiute per ottenerne la restituzione.

Agostino Bochiardo, invece, aveva predato al largo di Portofino due tartane francesi cariche di vino, una di patron Pietro Boschetto e l'altra di Fulcan Niccolas. I due legni provenivano da Agde ed erano diretti a Livorno dove, tuttavia, erano stati condotti di presa. ASF, Mediceo del Principato, 2228, lettera del Governatore di Livorno alla Segreteria di Guerra, 11 giugno 1707.

751ASF, Mediceo del Principato, 2228, lettera del Governatore di Livorno alla Segreteria di Guerra, 4 luglio 1707.

752ASCF, Camera, Tribunale delle Prede Marittime, fascicolo del 4 maggio 1707. Nel settembre 1707, Juan Antonio Romeo y Anderaz – segretario del Dispaccio Universale, con l'incarico di gestire le questioni concernenti i domini italiani – gli rilasciò, a nome del re, la lettera di marca. ASN, Consiglio di Spagna in

Vienna, 219, 4 settembre 1707. Per un breve inquadramento sulla figura di Romeo y Anderaz si rimanda a R.

QUIRÓS ROSADO, Monarquía de Oriente..., pp. 49-55.

753ASF, Mediceo del Principato, 2228, lettera del Governatore di Livorno alla Segreteria di Guerra, 11 giugno 1707.

754ASF, Mediceo del Principato, 1620, lettera del Provveditore della Dogana di Livorno alla Segreteria di Stato, 13 giugno 1707. Il commercio del riso rappresentava uno dei maggiori traffici per i patroni finalini che lo portavano in Toscana e, particolarmente, a Livorno. P. CALCAGNO, La puerta a la mar..., cit., p. 278. Sulla produzione e commercio delle carte da gioco nel Marchesato del Finale si rimanda a P. CALCAGNO,

«Quando il gioco diventa un’impresa commerciale: il caso delle carte del Finale (secoli XVIIXVIII)», in

«Ludica, annali di storia e civiltà del gioco», 13-14 (2007-2008), pp. 50- 65.

755ASDS, Finale Ligure Marina, Parrocchia di San Giovanni Battista, Manoscritti, Sala 3, Sezione IV, 14. 756Il sommaco è una pianta i cui frutti vengono impiegati in ambito culinario per insaporire il cibo,

particolarmente il pesce. Nel viaggio aveva investito un altro patrone finalino, Tommaso Rombo q. Martino, il quale aveva ritenuto che i conti presentati dal Capitano Bochiardo fossero «veri e reali» e, pertanto, senza ricorrere a periti ed incappare in ulteriori spese aveva riconosciuto di essere debitore nei confronti del Bochiardo di una somma equivalente a 75.12.6 lire: 35.12.6 lire erano state pagate subito, mentre per le restanti 40 lire Tommaso Rombo si impegnava a «sborsarle […] in quattro paghe cioè lire 10 ogni viaggio che doverà fare detto Rombo con qualsivoglia barca». ASS, Notai distrettuali, Notai del Finale, 2264, 26 novembre 1703.

757La colonna era una società istituita tra diversi negozianti che, in percentuali variabili, finanziavano una spedizione commerciale. Alla sua conclusione, il patrone rendeva conto di quanto ricavato al fine di spartire gli utili con i cosiddetti “colonnisti”. Il cambio marittimo, invece, consisteva nel prestito erogato da parte di

grandi nomi della marineria finalina bensì quelli di piccole figure che, probabilmente, tendevano a spalmare i loro modesti investimenti sull'attività di più patroni per cercare di ridurre le possibilità di perdita ed aumentare quelle di profitto758.

Ma, anche senza tenere in considerazione le alterne fortune dei singoli viaggi commerciali, la vita del mercante era tutt'altro che facile: nell'estate 1706, patron Bochiardo risultava ancora creditore nei confronti del finalino Pietro Bozino q. Vincenzo per la somma di 150 lire, equivalenti a «tanto grano havuto, e ricevuto» dal Bochiardo oltre due anni prima;759 ma, a

volte, gli era occorso molto più tempo per vedersi restituire il denaro.760

Per tornare alla presenza del Capitano finalino nel porto toscano nell'estate del 1707, egli vi si trattenne per oltre un mese: in quel periodo la sua barca venne «rinforzata di due cannoni» recuperati dall'Aquila Reale, il legno che il Pallavicino aveva perso a Bonifacio. In un batter d'occhio si sollevarono le proteste del Governatore di Livorno, in particolare perché gli era giunta voce che Agostino Bochiardo intendesse «aumentare il suo equipaggio»: nonostante il monito rivolto sia al Cavaliere di Malta sia a Crowe, il finalino – sotto la protezione di alcune navi da guerra inglesi – era riuscito ad imbarcare una trentina di uomini761 e, dopo pochi

giorni, era salpato alla volta di Barcellona762.

Il Capitano Bochiardo si dimostrò impaziente di intraprendere l'attività corsara e – non appena gli Austrias entrarono nel Marchesato – richiese una lettera di marca per andare in

un mercante a un patrone marittimo: il prestito poteva riguardare «le robbe caricate» o l'imbarcazione stessa (a fini assicurativi o per soddisfare le esigenze di approvvigionamento) e ad esso era associato un tasso di interesse prestabilito. Sul tema si rimanda a L. LO BASSO, Il finanziamneto dell'armamento marittimo tra

soietà e istituzioni: il caso ligure (secc.XVII-XVIII), in «Archivio Storico Italiano», 647, CLXXIV (2016), pp.

81-106 e Id., The maritim loan as a form of small shipping credit (177ʰ to 187ʰ centuries): the case of Liguria, in A. GIUFFRIDA, R. ROSSI, G. SABATINI, Informal credit in the Mediterranean (XVI-XIX centuries), New Digital Frontiers, Palermo, 2016.

758Si può prendere ad esempio un viaggio compiuto «dal porto di Denia sino a Livorno, et da Livorno sino a Finale» nel luglio 1706 con un carico di acquavite. In occasione di quel viaggio Gio. Batta Bottino q. Geronimo riceveva 11 lire e mezza, equivalenti alla metà degli utili ricavati sopra la barca del Bochiardo. ASS, Notai distrettuali, Notai del Finale, 2265, 12 luglio 1706. Per quello stesso viaggio, Bartolomeo Morfino di Lorenzo rinunciava – cedendo al Bochiardo – a «ogni, et qualonque pretensione» che gli sarebbe potuta competere negli «utili, [..] et denari hypotecati nel velleggiamento et carico di acquavita fatto da detto patrone»: il finalino venne indotto a ciò per non aver potuto «ricuperare tutti li noli, e parte di fondo delli Signori Don Pietro Gio. Orteles, et Don Giacomo Verdiguer della città di Denia, et anche Giacobe Fernande Scodero ebreo». Il debito dei tre mercanti doveva essere riscosso dal patron Bochiardo che, al momento della stipula dell'atto notarile, pagava a Bartolomeo Morfino 23 lire e 7 soldi. ASS, Notai distrettuali, Notai del

Finale, 2265, 9 luglio 1706.

Rappresenta un'eccezione, in questo quadro, la figura di Francesco Burone di Pietro Gio. il quale nel 1698 aveva impegnato nell'attività del Bochiardo la somma di 250 lire e non ne aveva chiesto la restituzione prima del 1706: un investimento importante e a lungo termine che può trovare una spiegazione nel fatto che, probabilmente, la persona di Francesco Burone investitore combaciava con quella di colui che aveva tenuto a battesimo una delle figlie di Agostino Bochiardo, per cui la fiducia nutrita nel Capitano era conseguente alle relazioni sociali intrattenute dai due uomini. ASS, Notai distrettuali, Notai del Finale, 2390B, 30 novembre 1706 e ASDS, Finale Ligure, Marina, Parrocchia di San Giovanni Battista, Atti di nascita, n. 7, anni 1700-

1712.

759ASS, Notai distrettuali, Notai del Finale, 2265, 10 luglio 1706.

760Nel 1691 Fabiano Corrado q. Capitano Sebastiano di Albisola abitante in Finale aveva dichiarato di essere debitore nei confronti di Agostino Bochiardo per la somma di 80 lire per merci acquistate dal mercante finalino: si era impegnato ad estinguere il dovuto entro sei mesi dal momento della stipula dell'atto ma, in realtà, ciò avvenne solamente oltre dieci anni dopo, nel 1703. ASS, Notai distrettuali, Notai del Finale, 2040, 10 aprile 1691.

761ASF, Mediceo del Principato, 2228, lettera del Governatore di Livorno alla Segreteria di Guerra, 4 luglio 1707.

762ASF, Mediceo del Principato, 2228, lettera del Governatore di Livorno alla Segreteria di Guerra, 8 luglio 1707.

corso. Tuttavia, «havendo […] voluto uscire [in mare] prima di havere effettivamente detta patente», era riuscito ad ottenere un passaporto dal Conte Traff che lo autorizzava a catturare i legni nemici a condizione di condurre eventuali prese realizzate esclusivamente a Finale. Eppure, nel caso delle due prede francesi egli agì diversamente: le tartane cariche di vino vennero condotte a Livorno, dove vennero poste al pubblico incanto. La Segreteria di Guerra dispose l'avvio di un processo contro di lui763 e il Capitano di Giustizia redasse una dettagliata

descrizione dei beni della casa, temporaneamente posti sotto sequestro764: ad Agostino

Bochiardo venne intimato di comparire nel Marchesato entro un paio di settimane per dar conto delle prede realizzate, altrimenti sarebbe rimasto «bandito dal dominio». Proprio a causa della lontananza del Capitano dal Marchesato, la moglie Rosalia765 si lanciò in

un'accalorata difesa del marito – chiedendo che gli venissero concessi due mesi di tempo per rientrare a Finale – spiegando che l'uomo aveva versato il quinto al «Console del Re […] in Livorno» al quale aveva chiesto di «trasmettere il denaro in Finale»766; mentre il notaio

Giacomo Gandolino, in qualità di difensore del Bochiardo, chiese la reintegrazione dei suoi beni, come effettivamente accadde.767

Non restano altre tracce della sua attività di corsaro nelle numerose fonti prese in esame dalle quali emerge che, durante gli anni della Guerra di Successione Spagnola, il Capitano Bochiardo non smise di considerare il mare come fonte di profitto, seppur in una veste diversa da quella di patrone o corsaro: nel 1709 la moglie Rosalia consegnò, a nome del marito, a Sebastiano q. Gio. e Giovanni, rispettivamente padre e figlio della famiglia Bado, 500 lire delle quali «corre[va] il risico marittimo in colonna reale» sopra il legno dei due patroni di Pietra, la tartana Nostra Signora del Soccorso e San Nicola di portata 600 cantara. I due pietresi si impegnarono a «pagare il cambio marittimo alla ragione di 25%» ogni sei mesi e a restituire le 500 lire una volta che Rosolia non fosse più disposta a investire sopra la loro tartana, a meno che non si incorresse in qualche naufragio768; sta di fatto che nel giugno 1710

Agostino Bochiardo dichiarò di aver ricevuto la somma in questione769. Gli affari tra le due

famiglie proseguirono nel tempo e, anzi, si fecero più consistenti: nel giugno 1713 il Capitano Bochiardo confessò di aver ricevuto da Sebastiano e Gio Bado 750 lire «con di più tutti li cambi marittimi decorsi sopra detta somma» per cui venne riconosciuto un interesse del 25%770. Nel 1711, Agostino Bochiardo aveva acquistato dal genovese Domenico del Monte q.

Giuseppe di Genova il felucone Nostra Signora del Rosario, costato 1500 lire771: non si sa se

il Capitano intendesse “patroneggiare” egli stesso il legno o affidarlo a terzi, come pare più probabile. Seguire le vicende relative ad Agostino Bochiardo è stimolante perché consente di

763ASCF, Camera, Atti Camerali, 47, 23 luglio 1707. 764ASCF, Camera, Atti Camerali, 47, 27 luglio 1707.

765Si trattava di Maria Rosalia Bosio, la cui unione con Agostino Bochiardo risaliva al 1694. L'uomo era già al secondo matrimonio: nel 1685 si era sposato con Maria Antonia Raimondi, la quale era morta nel 1690 probabilmente per complicazioni post-partum.

766ASCF, Camera, Atti Camerali, 47, 31 luglio 1707.

767ASCF, Camera, Atti Camerali, 47, 27 agosto 1707. Ancora una volta, lo studio dei registri parrocchiali permette di osservare con uno sguardo diverso il ruolo svolto da alcune figure: in questo caso, la scelta del notaio Gandolino non era stata casuale poiché il legame che univa Agostino Bochiardo e Giacomo Gandolino risaliva a qualche anno addietro quando il notaio aveva tenuto a battesimo Maria Ferma, ultimogenita nata dal matrimonio del Capitano Bochiardo con Rosalia. ASDS, Finale Ligure, Marina, Parrocchia di San

Giovanni Battista, Atti di nascita, n. 7, anni 1700-1712.

768ASS, Notai distrettuali, Notai del Finale, 2266, 20 marzo 1709. Uno degli elementi di interesse dell'atto notarile è il ruolo svolto dalla moglie Rosalia: un altro dettaglio che permette di far emergere il ruolo delle donne nella vita marittima.

769ASS, Notai distrettuali, Notai del Finale, 2266, 25 giugno 1710. 770ASS, Notai distrettuali, Notai del Finale, 2737, 18 giugno 1713. 771ASS, Notai distrettuali, Notai del Finale, 2267, 30 maggio 1711.

notare come le esistenze dei corsari e dei predati fossero intrinsecamente legate tra loro e che, in fin dei conti, la guerra di corsa non inibì le relazioni d'affari tra sudditi del Marchesato e della Repubblica di Genova772: Sebastiano Bado era stato arrestato nell'aprile del 1705 dalla

feluca del Real Servizio impiegata a Finale ma, ancora più interessante è il caso relativo a Domenico del Monte: anche lui, infatti, era stato predato da un corsaro finalino nel 1709 e, per di più, la barca che nel 1711 vendette al Bochiardo era la stessa che egli aveva acquistato qualche anno prima dal napoletano Antonio Manzo, anch'egli corsaro.

Lo studio della figura di Agostino Bochiardo si rivela utile anche per individuare le attività intraprese in ambiti differenti rispetto a quello marittimo. In maniera affatto inusuale, il Capitano aveva volto i propri interessi alla coltivazione dell'olivo e alla produzione dell'olio773; nei primi anni del XVIII secolo acquistava diversi pezzi di «terra olivata»774; ed

era certamente proprietario, insieme ad altri, di un frantoio775.

Per cercare di ricostruire la crescita sociale del Capitano Bochiardo – oltre alle fonti già considerate che permettono di notare investimenti crescenti nel tempo, vale a dire la disponibilità di maneggiare un quantitativo non indifferente di denaro e beni – possono essere chiamati in causa due tipi di atti notarili: i continui prestiti erogati a terzi e gli instrumenti dotali. Almeno a partire dal 1710, il suo nome compare in numerosi rogiti in qualità di creditore: in maniera significativa, nel 1712 risultava tale nei confronti della cassa generale del Marchesato776 mentre nel 1717 vantava un credito rilevante – si parla di 3.000 lire – nei

confronti del milanese Pietro Biancani777. A dimostrare quanto lo strumento del credito fosse

772Sugli stretti legami commerciali tra le due parti si rimanda a P. CALCAGNO, La puerta a la mar..., cit., pp. 281-283.

773Sono di recente pubblicazione due volumi – ai quali si rimanda anche per gli approfondimenti bibliografici – che hanno affrontato il tema dal Medioevo all'età contemporanea: I. NASO (a cura di), Ars Olearia.

Dall'oliveto al mercato nel Medioevo, Centro Studi per la Storia dell'Alimentazione e della Cultura Materiale,

Guarene, 2018 e A. CARASSALE, C. LITTARDI (a cura di), Ars Olearia. Dall'oliveto al mercato in età

moderna e contemporanea, Centro Studi per la Storia dell'Alimentazione e della Cultura Materiale, Guarene,

2019.

774Nel 1701 Agostino Bochiardo aveva acquistato da Damiano Della Chiesa q. Giorgio «una pezza di terra olivata posta nella [...] valle di Pia chiamata Vernazza» del valore di 1150 lire. ASS, Notai distrettuali, Notai

del Finale, 2390B, 8 ottobre 1701. Qualche anno dopo, invece, acquisiva da Giuseppe Bergallo q. Gio.

un'altra terra olivata «posta nella valle di Pia chiamata Legna». Il terreno era stato valutato in lire 416 che il Bochiardo aveva pagato solo in parte: infatti, l'oliveto era stato parzialmente permutato con un magazzino che egli possedeva «nella valle di Pia chiamato da Ca de Boigha» del valore di 262 lire. ASS, Notai

distrettuali, Notai del Finale, 2391B, 2 maggio 1708.

Agostino Bochiardo era certamente proprietario anche di altri terreni coltivati ad olivo: uno di questi terreni era nominato «le Olive del Macero» e si trovava sempre nella valle di Pia. ASCF, Camera, Atti camerali, 47. L'altro invece veniva definito «le Olive della Rocca»: nel 1712, infatti, il Capitano vendeva a Lorenzo Ferraro q. Vincenzo un censo di lire 32 derivante dai frutti del terreno in questione che, evidentemente, concedeva in gestione al Ferraro – impegnandosi a non deteriorare bensì migliorare le condizioni dello stesso – rimanendone tuttavia proprietario. ASS, Notai distrettuali, Notai del Finale, 2268, 21 marzo 1712. 775Nel 1713 Agostino Bochiardo concedeva a Bartolomeo Granara q. Carlo di Pegi abitante nella valle di Pia

l'utilizzo di un frantoio da olio – di cui restava proprietario – in cambio di 40 lire. Egli concedeva all'acquirente due mesi di tempo per saldare il dovuto. In realtà, il pagamento avvenne a distanza di oltre un anno dal momento del rogito notarile. L'analisi di questo atto e di quelli considerati nella nota precedente suggerisce l'idea che, verso la fine della dominazione spagnola, il Capitano avesse scelto di ri-orientare le attività economica intraprese fino a quel momento. ASS, Notai distrettuali, Notai del Finale, 2268, 12

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