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ARGOMENTI ERMENEUTICI E COMPARATIVI DEI GIUDICI DELLA CORTE DI GIUSTIZIA EUROPEA

CAPITOLO II RAPPORTO TRA LE CORTI: ARGOMENTI ERMENEUTICI E COMPARAT

6. ARGOMENTI ERMENEUTICI E COMPARATIVI DEI GIUDICI DELLA CORTE DI GIUSTIZIA EUROPEA

Per quanto riguarda la tutela dei diritti fondamentali la Corte di Giustizia segue un percorso diverso rispetto a quello della Corte edu, ciò si riflette anche sull’utilizzo dell’argomento comparativo. Come si sa, inizialmente tra le funzioni svolte dalla Comunità non vi era la tutela dei diritti fondamentali e, quando la Corte doveva giudicare sulla violazione di tali diritti ad opera di atti

comunitari o nazionali, lo ha fatto facendo rientrare tali diritti nella categoria dei principi generali del diritto comunitario inseriti in un vario corpus normativo in cui rientrano le tradizioni costituzionali comuni, gli strumenti internazionali di tutela degli Stati membri e la Cedu. Tali principi generali, in assenza di un catalogo dei diritti, si ricavano dall’attività di interpretazione e di cooperazione tra le tradizioni costituzionali comuni, permettendo un’integrazione ordinamentale, fermo restando l’autonomia e la prevalenza della Comunità rispetto agli ordinamenti nazionali. Questo è un aspetto che differenzia le due Corti: mentre la Corte di Strasburgo agisce in maniera sussidiaria e complementare per la tutela dei diritti fondamentali, concependo le norme con questo contenuto norme a carattere aperto la cui interpretazione e comparazione teneva in forte considerazione le tradizioni nazionali, la Corte di Lussemburgo riuniva a sé le tradizioni nazionali per colmare l’assenza di un catalogo scritto di diritti e di principi da tutelare. Proprio a causa della prevalenza del diritto comunitario sul diritto interno la Corte, con l’attività interpretativa e comparativa, elaborava principi uniformi da affiancare alle norme contenute nei Trattati istitutivi: le tradizioni costituzionali comuni assolvevano il compito di colmare le lacune e di integrare l’ordinamento comunitario garantendo, così, la tutela dei diritti fondamentali. Questi fanno ingresso nel sistema comunitario in seguito sia all’attività interpretativa posta in essere dai giudici comunitari secondo una visione dinamica e circolare delle tradizioni costituzionali comuni sia alla recezione dell’ordinamento comunitario dei principi posti a loro tutela . Di conseguenza le 135 tradizioni costituzionali comuni costituivano le basi dell’ordinamento comunitario : ciò ha 136 contribuito alla formazione di un corpus di regole e di principi, quei principi generali che, in mancanza di norme scritte, hanno orientato l’attività interpretativa e applicativa del diritto comunitario. E’ così che rientrano nel contenuto del Trattati diversi principi generali quali: la certezza del diritto; la tutela dell’affidamento; la garanzia dei diritti quesiti; la legalità dell’amministrazione; il divieto di doppia sanzione (ne bis in idem) e la non retroattività. Tali principi e valori, presenti nella maggior parte degli ordinamenti nazionali, una volta recepiti dalla

L’attenzione al diritto comparato è stata ricondotta, inizialmente, all’articolo 164 del Trattato CEE (oggi articolo 19

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TUE), ma anche all’articolo 215, comma 2, TCEE (oggi articolo 340 TFUE). Dal primo articolo si evince che la Corte è tenuta a garantire l’osservanza del diritto, mentre dal secondo si prevede che la responsabilità extracontrattuale della Comunità è disciplinata nel rispetto dei principi generali comuni al diritto degli Stati membri.

Cfr., G. REPETTO, Argomenti comparativi e diritti fondamentali in Europa. Teorie dell’interpretazione e

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giurisprudenza sovranazionale, cit., p. 211 in cui l’autore afferma che “La primissima fase della giurisprudenza

comunitaria, quella che va dall’istituzione della Corte alla metà degli anni Sessanta, conosce, grazie al contributo di due avvocati generali Karl Roemer e Maurice Lagrange, un’intensa attività di elaborazione di principi comuni desunti a partire dall’analisi comparativa degli ordinamenti nazionali, grazie alla quale vengono proiettati a livello sovranazionale alcuni istituti classici di diritto amministrativo nazionale, come l’eccesso di potere, la colpa di sevizio o il principio del risarcimento nel rapporto di impiego pubblico.

Corte assicuravano il rispetto del diritto137e contribuivano a far sì che la Comunità europea fosse una comunità di diritto. Le prime pronunce in ambito comunitario dei diritti fondamentali possono farsi risalire a cavallo degli anni ’60 e ’70, anni in cui la Corte, pur mantenendo la struttura esterna delle precedenti decisioni, ossia l’estrema esclusività dell’esame comparato, la stringatezza nell’elaborazione dei principi e l’inesistenza sulla loro natura originariamente comunitaria, cambia il modo di conciliare le tradizioni comuni con il principio di autonomia del diritto comunitario. Ciò è testimoniato da tre celebri sentenze: Satuder, Internationale Handelsgesel- lschaft, Nold. Nella prima il ricorrente lamenta la violazione del principio della dignità umana garantito dall’articolo 1 della Legge Fondamentale tedesca: la Corte, per la prima volta, afferma che i diritti fondamentali fanno parte dell’ordinamento comunitario in quanto principi generali; nella seconda138si legge che la salvaguardia dei principi fondamentali <<è informata alle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri>> unita alla constatazione secondo cui tale salvaguardia deve avvenire entro «l’ambito della struttura e della finalità della Comunità»; nella terza viene affermato che i <<diritti garantiti a livello nazionale incontrano delle limitazioni corrispondenti a delle finalità di interesse pubblico e che queste ultime, a livello sovranazionale, non possono che coincidere con gli obiettivi di interesse generale perseguiti dalla Comunità>>. Dalla lettura di queste sentenze si evince che la Corte, partendo dalle tradizioni comuni, cerca delle soluzioni che possano inserirsi nel diritto comunitario senza creare conflitti con i principi interni degli Stati e che si armonizzino ed integrino con i bisogni comunitari. In questa fase la Corte ha come obiettivo la formazione di un ordine istituzionale che, partendo dalle tradizioni costituzionali comuni, sia funzionale agli obiettivi della Comunità e sia fonte di legittimazione per la tutela dei diritti fondamentali, diritti che assumono il valore di diritti- principi collegati agli scopi perseguiti dalla Comunità . Dalle pronunce degli anni 139 ‘80 in poi si evince come la Corte utilizzi l’argomento comparativo in funzione di orientamento degli obiettivi comunitari al rispetto di una serie di garanzie tra cui quella dell’ordine processuale. A partire dagli anni ’90 il richiamo alle tradizioni costituzionali comuni si affianca sempre più spesso al richiamo alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo e alla giurisprudenza Cedu. Con l’entrata in vigore dell’articolo 6, comma 2, TUE la Convenzione ha assunto sempre più un ruolo importante per la ricerca di quei principi di tutela condivisi dagli Stati membri, i quali permettono anche un

Diversi autori hanno notato come un tale operazione permetteva in ambito comunitario di non applicare il diritto

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italiano, francese, tedesco etc., ma di considerare la loro portata per giungere a soluzioni comuni; non vi era diretta applicazione del diritto nazionale ma fungevano da orientamento.

Corte cost., 14 maggio 1974, n. 4.

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Cfr., P. RIDOLA, Diritti di libertà e mercato nella <<costituzione europea>>, in Associazione italiana dei

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controllo sull’operato delle istituzioni nell’applicazione del diritto comunitario. Sicuramente la costituzionalizzazione europea ha permesso un rapporto sempre più stretto tra giurisprudenza comunitaria e Cedu, previsto dagli articoli 52 e 53 della Carta di Nizza e, in vista anche dell’adesione dell’U.E alla Cedu, rientrante nell’articolo 6, comma 2 del TUE Lisbona, attribuendo a quest’ultima un peso sempre maggiore ai fini dell’allargamento degli obiettivi comunitari per la tutela dei diritti fondamentali140. Ciò a conferma del fatto che il richiamo alla giurisprudenza Cedu, seppure contestualizzato nel quadro comunitario, raggiunge l’obiettivo di integrazione e di allargamento delle chances di libertà <<lasciate aperte dai Trattati >>. Dagli anni ’90 in poi la 141 giurisprudenza comunitaria richiama quella della Cedu direttamente, senza il richiamo all’integrazione ordinamentale effettuato a mezzo dei principi generali : da ciò si è ricavato in 142 dottrina la conferma della supremazia dei diritti fondamentali rispetto alle finalità dei Trattati che non sarebbero, quindi, gli unici valori che ispirano il diritto comunitario. Da quanto si evince dagli orientamenti degli avvocati generali, il problema del richiamo della giurisprudenza Cedu da parte della Corte di Lussemburgo è un problema ancora aperto, in quanto <<la recezione dei principi di tutela Cedu nel contesto comunitario, infatti, determina inevitabilmente una traduzione, una sostituzione, del principio elaborato altrove, senza che un esito del genere debba necessariamente attribuirsi solamente ad un disegno assimilazionista della Corte comunitaria. Più in profondità, è possibile intravedere in ciò un’esigenza di natura propriamente ermeneutica, strutturalmente necessaria in un’operazione di eterointegrazione su base comparativa come quella portata avanti dalla Corte di giustizia, che mostra significative analogie, ad esempio, con quelle “leggi di corrispondenza ermeneutica” studiate da Emilio Betti nella Problematica sul diritto internazionale >>. 143

I rapporti tra le Corti dovrebbero essere guidati da un ideale metodologico che dovrebbe basarsi non su una ricerca di una teoria dell’interpretazione comunitaria elaborata attraverso la comparazione, ma attraverso quella che Häberle chiama forma di integrazione pragmatica tra teorie interpretative diverse. Per lungo tempo, invece, la Corte U.E. ha cercato, attraverso il richiamo alle tradizioni

E’ il caso delle sentenza 11/=7/2002, C-60/00 Carpenter; 23/09/2003, C- 109/01, Akrich; 16/06/2005, C- 105/03,

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Pupino; 17/02/2009, C- 465/07 Elgafaji in cui la Corte U.E. effettua ampi richiami alla giurisprudenza Cedu.

Cfr., P. RIDOLA, La Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea e le <<tradizioni costituzionali comuni>>

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degli Stati membri, in S. Pannunzio, E. Sciso, Le riforme istituzionali e la partecipazione dell’Italia ll’Unione Europea,

Giuffrè, Milano, 2002, pp. 98 e ss.

Corte di Giustizia, 29 aprile 2004, C- 482/01, G. Orfanopoulos e a. c. Land Baden- Württemberg; Corte di Giustizia,

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09 marzo 2006, C- 499/04 Hans Werhof c. Freeway Traffic System GmbH & co. KG.

Cfr., G. REPETTO, Argomenti comparativi e diritti fondamentali in Europa. Teorie dell’interpretazione e

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costituzionali comuni, la formazione di un’unica teoria interpretativa ponendo in essere la teoria dello standard minimo elaborata da Leonard Besselink. Il giudizio comparativo, svolto sulla base del richiamo delle tradizioni costituzionali comuni e della Cedu, non deve concretizzarsi nella creazione di un diritto fondamentale comune a tutti gli Stati membri dell’Unione, ma deve garantire al singolo una soglia di tutela più elevata (teoria dello standard massimo) in quanto la ricerca di un minimo comune denominatore abbasserebbe tale soglia anziché elevarla. Tale teoria è oggetto di critiche rivolte, per lo più, alle premesse su cui si fonda, ossia la pretesa di isolare le norme costituzionali in tema di diritti fondamentali dal quadro valoriale e di significato che hanno all’interno del singolo ordinamento. Ciò porterebbe a considerare i diritti per la loro contrapposizione e differenziazione rispetto agli ordinamenti interni senza attribuire alcun peso agli aspetti di natura storica, sociale e culturale che ispirano la formazione di tali norme; i diritti verrebbero valutati a seconda della maggiore o minore libertà garantita, senza alcun riferimento al rapporto tra questi, gli interessi e gli obiettivi della Comunità. Teoria più accreditata è la c.d. wertende Rechtsvergleichung elaborata da Konrad Zweigert; tale teoria prevede che il rapporto tra giurisprudenza comunitaria, tradizioni costituzionali comuni e la Cedu avvenga su tre livelli. Il primo livello (di stabilizzazione) prevede che la ricerca di compatibilità tra il giudizio comparativo e le finalità dei Trattati ha come obiettivo quello di garantire la coerenza e la stabilizzazione delle dinamiche comunitarie e, solo secondariamente, di trovare un nucleo comune dei diritti fondamentali. Il secondo livello (della tolleranza) prevede che gli istituti previsti dal diritto nazionale, per essere utilizzati in ambito comunitario, devono presentare una compatibilità sistematica: l’istituto preso in esame non deve rispettare il contesto di provenienza potendo la Corte «assemblare pezzi isolati di regole differenti». Il terzo livello (della giustizia) non prevede un richiamo ai diritti fondamentali, in quanto a prevalere sono gli obiettivi contenuti nei Trattati. I tre livelli, o meglio queste tre direttive di adeguamento seguite dalla Corte, non operano l’uno indipendentemente dall’altro, ma insieme contribuiscono a individuare i percorsi lungo i quali l’attività di rechtliche Rechtsfortbildung della Corte fa perno sull’argomento comparativo per giungere all’elaborazione dei diritti come principi e dare loro una conformazione concettuale comunitaria.

7. ARGOMENTI ERMENEUTICI E COMPARATIVI NELL’ORDINAMENTO

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