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L’ISTITUTO DELLA CONFISCA NELL’ORDINAMENTO ITALIANO

CAPITOLO IV LA CONFISCA DEI BENI NELLA DOTTRINA E NELLA GIURISPRUDENZA NAZIONALE E SOVRANAZIONALE

1. L’ISTITUTO DELLA CONFISCA NELL’ORDINAMENTO ITALIANO

Il nostro ordinamento giuridico prevede, al fine di contrastare il crimine organizzato di tipo mafioso, un intervento patrimoniale sui beni e/o sui profitti che il soggetto ha illecitamente accumulato. Ci riferiamo, dunque, alle misure di prevenzione, intese a prevenire la commissione di un reato in base a un giudizio di probabilità del soggetto, le cui caratteristiche fondamentali sono la funzione preventiva e il mancato previo accertamento della commissione di un reato. Tali misure vengono, quindi, applicate indipendentemente dalla commissione di un reato, in assenza di una sentenza penale e essenzialmente per esigenze di prevenzione nei confronti dello Stato, nonché per agevolare il controllo e la vigilanza per la tutela della pubblica sicurezza.

La caratteristica delle misure di prevenzione, infatti, è proprio la tutela della sicurezza, indipendentemente e a prescindere dalla commissione di un fatto- reato da parte del soggetto a cui si applicano, incidendo sulla sua libertà. Tali misure, per la funzione preventiva e per il mancato accertamento della commissione di reato, per lungo tempo sono state considerate come misure esclusivamente in ambito amministrativo con finalità compensative e riparatore della collettività. 231

In dottrina si è molto discusso sulla compatibilità o meno di tali misure con il nostro ordinamento giuridico, <<essendo misure fondate sul sospetto e di conseguenza incompatibili con un ordinamento democratico che riconosce e tutela i diritti della persona >>. 232

La lotta alla criminalità organizzata ha avuto come conseguenza l’introduzione nel nostro ordinamento di diverse forme di confisca che possono essere racchiuse, principalmente, in quattro categorie: a) il modello classico di confisca previsto dall’art. 240 c.p.; b) la confisca obbligatoria per i reati di mafia prevista dall’art. 416 bis, comma settimo, c.p.; c) la confisca estesa prevista dall’art.

Il carattere si sanzione civile- amministrativa deriva dal fatto che la finalità delle misure in oggetto non è né

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esclusivamente afflittiva né repressiva, ma entrambe. Le misure di prevenzione non richiedono: la necessarietà della condanna, con conseguente operatività dello strumento della reale anche in caso di proscioglimento e/o estinzione del reato o della pena (come nel caso di morte del reo); l’attivazione della procedura indipendentemente dall’azione penale; l’applicabilità della stessa anche nei confronti degli eredi e aventi causa dell’indiziato.

Cfr., F. MENDITTO, Misure di prevenzione personali e patrimoniali. La confisca ex articolo 12 sexies l. n. 356/92,

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12 sexies del d.l. n. 360/92, convertito con l. n. 356/92; d) Legge Rognoni La Torre: l. n. 575/65; l. n. 646/82; l. n. 94/09; l. n. 50/10; d.lgs. n. 159/11.

a) Dobbiamo distinguere la confisca come misura di prevenzione dalla confisca come misura di sicurezza, applicabile nel processo penale, prevista e disciplinata dall’articolo 240 c.p.. Essa è “un provvedimento ablatorio reale con effetto definitivo”, diverso dal provvedimento amministrativo sanzionatorio che ha come conseguenza l’acquisto da parte dello Stato di beni che, in varie forme, sono collegati con il reato commesso. La misura di sicurezza della confisca consiste sostanzialmente nell'espropriazione forzata e gratuita a favore dello Stato e, in materia urbanistica, a favore del patrimonio del Comune, di tutte le cose che costituiscono il prezzo del reato, che sono servite a commettere il reato, di quelle che ne sono il prodotto e il profitto, nonchè di quelle che sono di per sè criminose. Tale misura può essere facoltativa o obbligatoria. L’articolo 240 c.p., al primo comma, disciplina la confisca facoltativa che potrà essere irrogata dal giudice, in presenza di condanna, per le cose che servirono- l’espressione “cose che servirono a commettere il reato” è stata interpretata facendo riferimento alle cose che effettivamente sono state utilizzate dal reo per commettere il reato- e che furono destinate- l’espressione “cose che furono destinate a commettere il reato” si riferisce alle cose che il soggetto avrebbe dovuto utilizzare per commettere il reato, ma che per una qualsiasi ragione non furono utilizzate a commettere reato-, nonché per le cose che sono suo il prodotto o il profitto . Gli strumenti utilizzati e/o utilizzabili, per poter essere oggetto 233

di confisca, dovranno avere un nesso di pertinenzialità, ossia dovranno avere un nesso strumentale tale da far ritenere che la sola disponibilità dei beni sia sufficiente per la commissione di reati o, secondo una visione più rigida , dovranno avere una diretta strumentalità lesiva tra l’interesse 234

giuridico protetto dalla norma e i beni ipoteticamente confiscabili. Dal secondo comma si ricava che la confisca dovrà intervenire necessariamente in considerazione della pericolosità intrinseca della res e che dovrà essere disposta dal giudice, a cui non sarà lasciato alcun margine valutativo, per le cose che costituiscono il prezzo del reato e per le cose la cui detenzione, fabbricazione, uso, porto o alienazione costituisce reato, anche in assenza di condanna. In tale ipotesi, la condanna non costituisce un presupposto per l’applicazione della confisca.

Cass. S.U. n. 10280/08 “qualsiasi trasformazione che il denaro illecitamente conseguito subisca per effetto

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dell’investimento dello stesso deve essere considerata profitto del reato quando sia collegabile causalmente al reato stesso ed al profitto immediato- il danaro- conseguito e sia soggettivamente attribuibile all’autore del reato, che quella trasformazione abbia voluto; inoltre (…) la funzione general- preventiva non può essere frustata da un’interpretazione restrittiva dell’articolo 240 c.p.”.

Cfr., A. M. MAUGERI, <<Le moderne sanzioni patrimoniali tra funzionalità e garantismo>>, Giuffrè, Milano,

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b) l’art. 416 bis, comma settimo, c.p. prevede, per il condannato per il reato di associazione mafiosa, la confisca obbligatoria delle cose che servirono o furono destinate a commettere reato o che di questo ne sono il prezzo o il profitto o che ne costituiscono l’impiego. Tale articolo specifica tre categorie di beni che possono essere oggetto di confisca: le cose che servirono o furono destinate a commettere il reato, ossia i beni che sono stati utilizzati ai fini dell’associazione mafiosa in virtù del rapporto di pertinenzialità del bene con il reato; il prezzo, il prodotto o il profitto, ossia tutte le utilità indebite e, infine, l’impiego del prezzo o del prodotto e del profitto del reato associativo, ossia il reinvestimento dei profitti e degli utili. Anche tale misura, però, è scarsamente adottata per le difficoltà di accertamento del nesso di strumentalità o di derivazione tra il singolo bene e la condotta criminosa posta in essere.

c) la confisca estesa obbligatoria si applica al soggetto condannato per uno dei reati tassativamente indicati dalla legge, tra cui l’associazione mafiosa o anche l’agevolazione della stessa. Rispetto ai modelli di confisca finora esaminati, l’art. 12 sexies l. n. 356/92 prescrive l’applicabilità di tale misura una volta verificata non solo la titolarità, ma anche la disponibilità “a qualsiasi titolo” dei beni. Non è richiesto la pertinenzialità, in quanto vige una presunzione juris tantum di origine illecita del patrimonio sproporzionato del condannato che possa agevolarlo nella commissione di altri delitti . Tale misura risulta utile nelle fattispecie in cui non è possibile ricostruire in maniera 235

documentata l’origine illecita dei capitali.

d) la confisca, oggi prevista dal d.lgs. n. 159/11, abrogando la disciplina contenuta nella legge Rognoni La Torre, prevede per il sequestro e per la confisca dei beni sia la disponibilità, diretta o indiretta, del patrimonio riconducibile alla persona cui si applica tale misura sia la sproporzione del valore dei beni rispetto al reddito dichiarato o all’attività economica svolta e la verifica, sulla base di sufficienti indizi, che le stesse siano il frutto di attività illecite o ne costituiscano il reimpiego. Tale misura è, dunque, la più efficace per la lotta alla criminalità organizzata anche perché richiede un procedimento autonomo da quello penale e si fonda sul concetto di pericolosità che prescinde dalla commissione precedente di un reato da parte del soggetto indiziato.

Cass. pen. S.U. n. 920/03.

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