Per la tutela dei diritti fondamentali le Corti internazionali e comunitarie ricorrono all’applicazione del principio di proporzionalità : per la Corte di Giustizia questo principio rientra tra i principi 92 generali non scritti del diritto comunitario , mentre per la Corte edu ha la funzione di clausola di 93 limitazione specifica di alcuni diritti per la tutela di interessi pubblici e non di clausola di limitazione orizzontale di diritti fondamentali. La Corte di Giustizia utilizza tale principio sia per effettuare un controllo sull’esercizio delle competenze nel sistema comunitario sia per la tutela dei diritti fondamentali, ossia dei diritti previsti dal Trattato, quelli previsti dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo e quelli derivati dalle tradizioni costituzionali comuni. A tal fine esso è presente nelle argomentazioni della Corte circa la compatibilità tra diritti fondamentali e obiettivi comunitari, soprattutto di compatibilità con la struttura del modello di mercato comune. La soluzione all’insorgere di eventuali conflitti tra la tutela dei diritti fondamentali e la tutela di altri diritti o interessi collettivi può essere il ricorrere alla tecnica del bilanciamento : ciò comporta che 94 al momento dell’applicazione si dovrà effettuare un contemperamento tra diritti con conseguente sacrificio parziale di uno di loro. Il problema è che la relativizzazione dei diritti fondamentali avviene, molto spesso, non per soddisfare o dare maggiore tutela ad un altro diritto fondamentale, bensì per soddisfare esigenze economiche e di mercato, creando, così, una gerarchia assiologica non ritenuta condivisibile. Le critiche mosse non sono, quindi, rivolte alla tecnica in sé adoperata dalle Corti, ma al modo in cui viene concretamente posta in essere perché, nel caso di bilanciamento tra un diritto fondamentale e un’esigenza di mercato, molto spesso la Corte di Giustizia ha addirittura creato un’equiparazione assiologica tra i due contenuti da bilanciare. Il giudizio di proporzionalità 95 si articola in tre fasi: il test di idoneità, il test di necessità ed il test di proporzionalità in senso stretto. Il primo viene utilizzato per verificare se la limitazione operata a un diritto fondamentale risulti utile a garantire la tutela di un interesse generale o la tutela di ulteriori diritti, tale fine deve
Le prime applicazioni di tale principio si rinvengono nel diritto pubblico tedesco del XIX secolo; tale principio
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veniva utilizzato come strumento di controllo dell’operato della pubblica amministrazione e, successivamente, veniva utilizzato come parametro di costituzionalità della legge. E’ solo nel Novecento che è strumento utile per valutare il grado di ammissibilità dell’inferenza del pubblico potere rispetto a una libertà fondamentale.
Corte di Giustizia, 17 dicembre 1970, causa C- 11/70.
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Cfr., G. PINO, Conflitto e bilanciamento tra diritti fondamentali. Una mappa dei problemi, in Ragion pratica, 28,
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2007.
E’ bene distinguere in ambito comunitario tra libertà fondamentali e diritti fondamentali: con le prime,
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tradizionalmente, si intendono le libertà di circolazione di persone, di servizi, di merci e di capitali, mentre per i diritti fondamentali si intendono quei diritti riconosciuti dalle tradizioni costituzionali comuni e dalla Convenzione edu.
essere dichiarato nella misura adoperata, che si sostanzia in un controllo negativo a che la misura posta in essere sia idonea rispetto al fine da perseguire non prendendo in considerazione ulteriori misure più idonee per il raggiungimento di quel fine . Il test di necessità ha come scopo il controllo 96 a che la misura non sia invasiva del bene e presuppone l’esistenza di più misure idonee per raggiungere un dato fine: tra le diverse misure possibili la scelta deve ricadere su quella che impone un sacrificio minore ai diritti dei cittadini. Anche in questo caso deve essere effettuato un controllo in negativo che si concluderà con l’espulsione dall’ordinamento di tutte le misure non ritenute idonee, solo che, a differenza del primo controllo, in questo le autorità politiche effettuano una comparazione tra le diverse misure possibili. Infine, il controllo di proporzionalità in senso stretto prevede che il sacrificio di un diritto fondamentale rispetto a un interesse generale debba essere proporzionato, equilibrato in quanto <<quanto maggiore è il grado di non soddisfazione di, o di inferenza con, tanto maggiore deve essere l’importanza della soddisfazione dell’altro >>97 . Mentre nei primi due test il controllo di proporzionalità investe le misure scelte, nel terzo il controllo di proporzionalità è un bilanciamento tra gli obiettivi o, meglio, tra il peso (o grado di realizzazione) che questi hanno nel caso concreto. In conclusione, una volta valutate la necessità e l’idoneità della misura posta in essere, ossia se la misura è adatta all’obiettivo da perseguire, bisogna valutare se il sacrificio imposto al diritto sia più o meno eccessivo e se sia giustificato rispetto all’importanza dell’obiettivo da perseguire. Questi tre passaggi, ossia stabilire il grado di non soddisfazione di uno dei due diritti; stabilire l’importanza della soddisfazione del diritto concorrente e stabilire se l’importanza del diritto concorrente giustifichi l’inferenza o la non soddisfazione del primo98, fanno sì che il procedimento di ponderazione tra interessi generali e diritti fondamentali non sia attività irrazionale e arbitraria nella scelta dell’importanza da assegnare al bene in conflitto99.
La Corte di Giustizia utilizza il criterio della proporzionalità per effettuare sia una valutazione sugli atti e sulle norme comunitarie, che impongono una limitazione o una lesione dei diritti fondamentali
La limitazione al controllo di idoneità fa sì che le valutazioni poste in essere non riguardino scelte, apprezzamenti e
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valutazioni operate dall’autorità politica.
Cfr., R. ALEXY, Teoria dei diritti fondamentali, cit., 2012.
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Cfr., R. ALEXY, Teoria dei diritti fondamentali, cit., in cui l’autore spiega questi tre passaggi secondo un linguaggio
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matematico, attribuendo a ciascuna fase un’entità di grandezza quantitativa: la violazione di un diritto può essere una violazione grave, media e live. L’importanza astratta di ciascun diritto in conflitto può essere grave, media e lieve. L’affidabilità delle assunzioni empiriche che riguardano il grado di inferenza di un diritto sull’altro può, allo stesso modo, essere media, grave e lieve. Dalla valutazione di tutti questi elementi si potrà ricavare la formula del “peso” dei diritti oggetto di ponderazione.
Seguendo questa procedura la tecnica del bilanciamento sarà frutto di un’attività razionale al pari delle sussunzioni
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con l’unica differenza che, mentre la ponderazione avviene osservando regole aritmetiche, la sussunzione osservando regole della logica.
tutelati dalla Cedu o dagli ordinamenti nazionali in vista di un interesse comunitario, sia una valutazione di un atto statale che limiti la libertà comunitaria circa la tutela di un diritto fondamentale. In merito alla prima applicazione la Corte argomenta sostenendo che la tutela di un diritto fondamentale posta in essere da uno Stato deve, comunque, uniformarsi agli interessi comunitari e, quindi, che la limitazione a un diritto fondamentale può esserci purchè sia accettabile ma soprattutto proporzionata. Come si legge in una pronuncia della Corte «i diritti fondamentali riconosciuti dalla Corte non risultano […] essere prerogative assolute e devono considerarsi in relazione alla funzione da essi svolta nella società. È pertanto possibile operare restrizioni all’esercizio di detti diritti, in particolare, nell’ambito dell’organizzazione comune di mercato, purchè dette restrizioni rispondano effettivamente a finalità di interesse generale perseguite dalla Comunità e non si risolvano, considerato lo scopo perseguito, in un intervento sproporzionato che pregiudicherebbe la stessa sostanza di tali diritti ». Tale considerazione è stata inserita 100 nell’articolo II112, comma 1, del Trattato costituzionale ed è quanto contenuto nell’articolo 52 della Carta di Nizza, ossia «eventuali limitazioni all’esercizio dei diritti e delle libertà riconosciuti nella presente Carta devono essere previste dalla legge e devono rispettare il contenuto essenziale dei diritti e delle libertà. Nel rispetto del principio di proporzionalità, possono essere apportate limitazioni solo laddove siano necessarie e rispondenti effettivamente a dette finalità di interesse generale riconosciute dall’Unione o all’esigenza di proteggere i diritti e le libertà altrui». Dalle affermazioni della Corte di Giustizia si rinviene quanto detto precedentemente circa il criterio di proporzionalità elaborato da Robert Alexy e, precisamente, che le limitazioni a tali diritti sono ammesse se vi è un interesse generale della Comunità da tutelare; se la misura posta in essere risponde effettivamente a tale finalità (ciò corrisponde al giudizio di idoneità); se il grado di interferenza con l’altro diritto in conflitto non è sproporzionato e inammissibile (ciò corrisponde al giudizio di necessità); se lo è deve essere considerato lo scopo perseguito (ossia la proporzionalità in senso stretto); se viene assicurata la sostanza del diritto concorrente e se, in rispetto dell’articolo II-112, viene assicurato che le limitazioni devono essere previste dalla legge e possono intervenire non solo per motivi economici legati al mercato comune, ma anche in vista di diritti e libertà altrui. L’operato della Corte non è esente da critiche che si sostanziano, principalmente, nel fatto che essa non utilizza in pieno il modello trifasico su riportato, fermandosi, il più delle volte, ad una valutazione che coinvolge solo le prime due fasi il cui esito, però, non viene argomentato; in sostanza la Corte non effettua il bilanciamento. Alcuni autori, sollevano un’osservazione in merito,
Corte di Giustizia, 13 luglio 1989, causa C- 5/1998.
ossia che forse ciò che si deve criticare non è tanto l’operato della Corte in sé quanto il modello teorico elaborato da R. Alexy perché - egli osserva- le condizioni poste alla base di tale modello nella realtà si presentano difficilmente e non possono fungere da guida per un’argomentazione razionale. Ad esempio, il controllo di necessità prevede la valutazione di più misure egualmente efficaci e già ciò pone l’interrogativo di quando due misure siano parimenti efficaci. Per questo motivo tali autori preferiscono parlare di misure parimenti accettabili e il criterio dell’accettabilità prevede che la Corte effettui una valutazione all things considered effettuando, quindi, un giudizio nel merito. Altro problema sollevato è che è difficile considerare che un atto posto in essere abbia un solo fine determinato in quanto potrebbe perseguire diversi fini generali: con l’aumentare delle scelte anche nelle prime due fasi della procedura occorre effettuare un bilanciamento, non riservandolo solo alla terza fase. In quest’ultima fase, la ponderazione riguarda sia l’importanza del bene in gioco sia i mezzi, ossia le modalità in concreto poste in essere per realizzare un certo obiettivo; di conseguenza l’operazione di ponderazione avrà come oggetto non i diritti e i principi considerati in astratto, ma le modalità concrete del loro esercizio. Inoltre, sia la Carta dei diritti sia il Trattato costituzionale fanno riferimento al contenuto essenziale dei diritti o al loro peso e, poiché questi fattori non sono determinabili in astratto, ma solo in riferimento al peso e alla portata degli interessi contrapposti, bisogna necessariamente effettuare il bilanciamento101. L’utilizzo del criterio di proporzionalità da parte della Corte di Giustizia è utile alla comprensione del fatto che le tre fasi del procedimento siano concatenate e che la ponderazione non sia riservata esclusivamente alla terza fase, ma presente in tutto il procedimento . Per quanto riguarda il bilanciamento, i diritti 102 fondamentali hanno natura di principi da cui sia il legislatore sia il giudice costituzionale derivano
Cfr., R. ALEXY, Teoria dei diritti fondamentali, cit.; B. CELANO, Diritti, principi e valori nello stato costituzionale
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di diritto: tre ipotesi di ricostruzione, in AA. VV., Analisi e diritto, 2004. Ricerche di giurisprudenza analitica, a cura di
P. Comanducci, R. Guastini, Giappichelli, Torino, 2004, pp. 53-74.
Cfr., A. SANDULLI, Proporzionalità, in Dizionario di diritto pubblico, diretto da S. CASSESE, vol. V, Giuffrè,
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norme mediante l’attività di bilanciamento . Il bilanciamento rappresenta il punto di connessione 103 tra il profilo strutturale dei principi nella forma di precetti di ottimizzazione, e la loro funzione argomentativa, relativo all’attività degli organi costituzionali.
Il bilanciamento è una procedura aperta perché il sistema giuridico è un sistema aperto non solo per il carattere vago e indeterminato delle disposizioni dei diritti fondamentali, ma soprattutto per il pluralismo assiologico alla base degli ordinamento giuridici contemporanei. La presenza dei principi all’interno dell’ordinamento giuridico implica la necessità di bilanciamento tra gli stessi: il risultato di tale attività non è sempre racchiuso in un’unica soluzione giusta. R. Alexy pone un processo argomentativo relativo ai diritti fondamentali come procedura argomentativamente guidata secondo le regole del discorso pratico generale.
Secondo Alexy una normativa p è razionalmente giustificata se e solo se è il risultato di una procedura argomentata razionale, una procedura, cioè, le cui regole devono essere adempiute perché p possa dirsi razionalmente avanzato. Le regole di carattere procedurale elaborate da Alexy sono espressione di una razionalità discorsiva, tale in quanto va al di là, inglobandola, della mera razionalità logica.
Alexy individua tre tipi di bilanciamento: a) un bilanciamento ad hoc; b) un bilanciamento categoriale o definitorio e
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c) un bilanciamento ragionevolmente definitorio o categoria in senso debole.
a) per bilanciamento ad hoc intendo l’attività o l’argomentazione con la quale un giudice o un giurista stabilisce una legge di collisione tra due principi del diritto in competizione, ad esempio du principi costituzionali oppure due principi impliciti in un settore dell’ordinamento giuridico o del sistema nel suo complesso. Tale gerarchia tra due principi non risolve, né aspira a risolvere, tutti i casi di antinomie tra principi essendo, per natura, diretta a risolvere un singolo caso concreto o generico. Il bilanciamento così effettuato non viene razionalmente giustificato, ovvero non soddisfa, in modo sufficiente, le regole di un’argomentazione razionale. La denominazione “ad hoc” dipende proprio dal fatto che tale gerarchia è costruita solo al fine di risolvere uno specifico fatto concreto senza avere la pretesa di essere universalizzatili, cioè di valere per tutti i casi futuri che abbiano le medesime caratteristiche vincolanti.
b) per bilanciamento definitorio o categoriale si intende l’attività o l’argomentazione con la quale un giudice o un giurista stabilisce una legge di collisione tra due principi del diritto in competizione, ad esempio due principi costituzionali oppure due principi impliciti in un settore giuridico dell’ordinamento o nel sistema nel suo complesso, qualora il suddetto interprete costruisca la regola che determina la precedenza di un principio sull’altro facendo riferimento a tutte le circostanze in presenza delle quali il principio prevale sull’altro. Il giudice, in questo casi, individua tutte le proprietà, sufficientemente determinate, che siano condizioni disgiuntamente sufficienti del prevalere di un principio sull’altro. Il che implica l’individuazione di tutte le circostanze, anche di quelle che siano logicamente dipendenti l’una dall’altra, rilevanti.
c) per bilanciamento ragionevolmente definitorio o categoriale in senso debole s’intende, invece, l’attività o l’argomentazione con la quale un giudice o un giurista stabilisce una legge di collisione tra due principi del diritto in competizione, ad esempio due principi costituzionali oppure due principi impliciti in un settore dell’ordinamento o nel sistema nel suo complesso, che abbia due caratteristiche. Tale gerarchia non integra i requisiti di un bilanciamento categoriale, cioè non offre una soluzione normativa per tutti i casi di conflitto tra i suddetti principi. Il bilanciamento così effettuato viene razionalmente giustificato ovvero soddisfa, in modo sufficiente, le regole di un’argomentazione razionale.
I diritti fondamentali sono definiti come diritti umani positivizzati all’interno degli ordinamenti giuridici occidentali. Però, secondo Alexy, i principi del diritto sono norme che ordinano che qualcosa sia realizzato nella misura del possibile, sono mandati di ottimizzazione, cioè norme che possono essere adempiute in misura maggiore o minore a seconda del peso che l’interprete attribuisce loro rispetto ad un principio concorrente. Le regole sono, invece, norme che possono essere adempiute o non adempiute. Tertium non datur. La differenza tra le due tipologie risulta manifesta nel differente modo di risolvere i conflitti tra regole e principi. Un conflitto tra regole può essere risolto, secondo Alexy, o introducendo una clausola di eccezione ad una delle due regole ovvero dichiarando invalida una delle due. Il riferimento, implicito, è ai criteri di risoluzione dei conflitti tra norme quali il criterio cronologico, quello gerarchico e quello della specialità, criterio che consente di introdurre un’eccezione non prevista ad una norma valida. Le antinomie tra principi si risolvono, invece, tramite il criterio della ponderazione o del bilanciamento. Quando due principi offrono due soluzioni normative configgenti per la risoluzione del medesimo caso concreto allora uno dei due principi deve cedere di fronte all’altro, deve essere sacrificato. Questo non vuol dire che esso deve essere dichiarato invalido ovvero che un principio introduca una clausola di eccezione all’altro. Bilanciare vuol dire, semplicemente, introdurre una gerarchia assiologia (o relazione di precedenza) tra due principi, cioè indicare le condizioni in presenza delle quali un principio prevale sull’altro. Le condizioni in presenza delle quali un principio precede l’altro costituiscono il presupposto di fatto di una regola che esprime la conseguenza giuridica del principio prevalente: ad esempio <<Se C, allora R>>. La regola che stabilisce la priorità di un principio sull’altro ha due caratteristiche: è una regola “prima facie” nel senso può perdere il suo carattere definitivo, in quanto è possibile introdurre delle eccezioni il cui numero non è determinato a priori ed è in relazione di precedenza “relativa” soltanto ad alcune delle circostanze in relazioni alle quali i principi possono configgere, perché in presenza di circostanze differenti la gerarchia tra principi può essere invertita. Il bilanciamento deve essere razionalmente giustificato, dunque soggetto ai vincoli di una procedura argomentata razionale, tra cui anche il principio di generalizzabilità. La seconda caratteristica delle regole risultato del bilanciamento tra principi è che essa impone una relazione di precedenza relativa soltanto ad alcuni tra i casi (generici) in relazione ai quali due principi possono confliggere perché in presenza di circostanze differenti la gerarchia tra i principi può essere invertita.
Per Maccormick i principi giuridici sono norme generali a cui viene attribuito valore positivi. Egli nega che vi sia una differenza qualitativa tra principi e regole, essendovi una separazione debole. Regole e principi non sono ontologicamente differenti, tuttavia è possibile distinguere i principi dalle regole anche in relazione alla diversa funzione che tali standards ricoprono
nell’argomentazione giudiziaria. Per Maccormick l’unico modo di apprezzare le differenze tra regole e principi è quello di sottolineare la loro diversa funzione nella fase dell’interpretazione del diritto. Una stessa norma giuridica può essere sia una regola che un principio a seconda del ruolo che ricopre nell’argomentazione che fonda una decisione giudiziaria determinata. Ogni ordinamento giuridico si basa necessariamente su alcuni principi. Il compito dei principi è, almeno per quanto riguarda l’argomentazione, quello di giustificare e di spiegare le regole giuridiche. Una regola che può essere sussunta sotto un principio è una regola giustificata proprio in relazione al valore positivo riconosciuto al principio. Una regola il cui significato è ambiguo può esser spiegata optando per quell’interpretazione che permette di sussumere tale regola sotto un principio. Nella concezione dei principi giuridici, regole e principi non entrano in gioco alternativamente nella giustificazione di una decisione giudiziaria, ma congiuntamente. Non è possibile sussumere un caso concreto sotto una regola senza ricorrere ai principi che permettono di spiegare tale regola. La vaghezza tipica dei principi impedisce che questi ultimi possano, da soli, fondare una decisione giudiziaria.
Mentre i conflitti tra regole sono risolti mediante i criteri tradizionali di risoluzione delle antinomie (criterio gerarchico, criterio cronologico e criterio di specialità), al contrario le collisioni di principi sono risolte mediante la tecnica argomentativa del bilanciamento. Inoltre, mentre per i conflitti tra regole si tiene conto della loro validità, al contrario, nei conflitti tra i principi, risolti con bilanciamento, si prende come riferimento la dimensione del peso.
Ciò che emerge da queste operazioni è che quando si presenta all’interprete un’antinomia tra norme del tipo totale- totale o del tipo totale- parziale, allora siamo in presenza di un conflitto tra regole, perché in entrambi i casi almeno una delle due alternative è l’eliminazione di una delle due norme