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La Corte e la “bonifica” della legislazione fascista: il “cuore” della transizione “sostanziale”

La prima generazione: il caso della Corte costituzionale italiana

4. L’entrata in funzione della Corte costituzionale: il punto di svolta della transizione “sostanziale”

4.1. La Corte e la “bonifica” della legislazione fascista: il “cuore” della transizione “sostanziale”

4.1. La Corte e la “bonifica” della legislazione fascista: il “cuore” della transizione “sostanziale”

Nei paragrafi precedenti si è tentato di mostrare come in Italia il processo di democratizzazione abbia incontrato notevoli difficoltà, soprattutto a causa della perdurante applicazione della legislazione fascista e della mancata attuazione delle norme costituzionali. L’entrata in funzione della Corte costituzionale, nel 1956, segnò un vero e proprio punto di svolta della transizione. Nei suoi primi quindici anni di attività (la c.d. prima “fase”340 o “stagione”341 della Corte), infatti, il giudice delle leggi realizzò un’opera fondamentale di “bonifica” della legislazione autoritaria, spezzando così la continuità normativa che aveva caratterizzato il Paese sino a quel momento.

Per la verità, riferendosi a tale opera, parte della dottrina si è espressa con toni piuttosto negativi. E’ stato affermato in maniera polemica, infatti, che l’atteggiamento prevalente del giudice delle leggi fosse stato quello di una aperta collaborazione con le forze politiche maggioritarie, “funzionale allo sviluppo armonico della linea politica di governo”342; si è detto, inoltre, che il fatto che la Corte fosse “sempre” portata ad accettare “quell’interpretazione della Costituzione che la maggioranza del Paese, quale rappresentata dai partiti, desidera[va]”, faceva sì che tale organo costituisse una “garanzia relativa”343; si è sostenuto altresì che “il criterio politico usato dalla Corte [fosse] stato di solito quello di salvare disposizioni della legislazione emanata nel periodo fascista e concernenti essenzialmente i diritti di libertà…”344. Effettivamente, è innegabile come la Corte

339 Egli, infatti, era riuscito ad affermare il principio per cui la nomina dei cinque senatori a vita rappresentava un potere proprio del Capo dello Stato: tale “conquista, apparentemente di poco conto, dato il carattere non politico delle conseguenze che essa comportava, assumeva tuttavia un alto valore di principio, e preparava il terreno al successore per un’altra conquista, di ben maggiore portata: il carattere strettamente presidenziale dell’atto di nomina dei cinque giudici della Corte”(BALDASSARRE A.,MEZZANOTTE C., Gli uomini del Quirinale. Da De Nicola a Pertini, cit., pag. 49). A ciò si aggiunge il fatto che Einaudi affermò altresì il carattere formalmente e sostanzialmente presidenziale del potere di rinvio delle leggi al Parlamento con messaggio motivato: si trattava anche in questo caso di un atto importante, soprattutto “in un momento in cui, a causa della mancata attivazione degli istituti della giustizia costituzionale, e della riluttanza dei giudici comuni ad esercitare un efficace sindacato sulla legittimità costituzionale delle leggi, era particolarmente avvertita l’esigenza dell’esercizio di una pur blanda forma di controllo sull’attività legislativa delle Camere” (BALDASSARRE A.,MEZZANOTTE C., Gli uomini del Quirinale. Da De Nicola a Pertini, cit., pagg. 49-50). 340 C

HELI E., Il giudice delle leggi, il Mulino, Bologna, 1996, pag. 35. 341

MALFATTI E.,PANIZZA S.,ROMBOLI R., Giustizia costituzionale, Giappichelli, Torino, II ed., 2007, pag. 317. Al contrario di quelle appena citate, alcune periodizzazioni della Corte costituzionale si sono basate su altri elementi di riferimento: si consideri, ad esempio, TRANFAGLIA N., Per una storia politica della Corte costituzionale, cit., RODOTÀ S., La svolta “politica” della Corte costituzionale, in Pol. dir., n. 1, 1970, i quali effettuano una periodizzazione basata sulle diverse presidenze.

342

ZAGREBELSKY G., Giustizia costituzionale, cit., pag. 352. Analogamente si veda PIZZORUSSO A., Meriti e limiti del processo costituzionale, in Pol. dir., 1972, pag. 424.

343

JEMOLO A.C., Tra diritto e storia (1960-1980), Giuffrè, Milano, 1982, pagg. 467-468. 344

TRANFAGLIA N., Per una storia politica della Corte costituzionale, cit., pag. 240. Non è mancato, tuttavia, chi ha contestato tali affermazioni, ritenendole prive “di un fondamento reale” (PALADIN L., Per una storia costituzionale

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costituzionale si sia dimostrata, in più di un’occasione, priva di grande coraggio e abbia cercato, in diversi modi, di salvare la legislazione fascista in contrasto con la Costituzione, vuoi per una sorta di “timore reverenziale”345 nei confronti dei tradizionali poteri dello Stato, vuoi per una effettiva paura di creare dei vuoti normativi (“horror vacui”). Insomma, che la Corte costituzionale avrebbe potuto “fare di più” è probabilmente vero. Ma non sembra questo il punto fondamentale. Quello che si tenterà di dimostrare nei prossimi paragrafi è, infatti, che con le sue pronunce il giudice costituzionale, pur tra le incertezze e le timidezze appena richiamate, abbia segnato una fortissima discontinuità con il passato: esso è riuscito a contribuire in modo decisivo al processo di transizione “sostanziale” e di consolidamento del Paese, aiutandolo ad uscire dalla “zona politica grigia” nel quale era rimasto bloccato nel periodo 1948-1956.

Ovviamente la Corte costituzionale, nella sua prima “stagione”, non si è occupata solo ed esclusivamente di espellere dall’ordinamento le leggi pre-costituzionali in contrasto con la Carta del ’48. Essa, ad esempio, ha svolto un ruolo di estrema rilevanza nella costruzione dell’istituto regionale. Guarino, infatti, (che scrive nel 1973 e si riferisce quindi alle sole regioni a statuto speciale) affermava che le regioni “sono quali le ha condizionate la Corte costituzionale. E nessun altro istituto… ha in pari misura subito l’influsso della giurisprudenza costituzionale… Non vi è questione di fondo dell’istituto regionale che non abbia formato oggetto di una messa a punto da parte della Corte”346. In un numero consistente di casi, poi, il giudice costituzionale si è dovuto occupare della risoluzione di conflitti di attribuzione. La scelta di non analizzare questo tipo di sentenze e di concentrare, invece, l’attenzione sulla giurisprudenza costituzionale relativa alle leggi anteriori all’entrata in vigore della Carta fondamentale è motivata dal fatto che è soprattutto con l’eliminazione della legislazione fascista e con la conseguente piena affermazione delle libertà fondamentali che si è realizzato il passaggio da una democrazia “incerta” (quale era l’Italia nel 1956), ad una democrazia “matura”. E’ stato questo, insomma, il “cuore” della transizione “sostanziale” italiana. Le altre decisioni hanno certamente contribuito in modo importante al processo di democratizzazione del Paese, ma non sono sembrate costituire la “condicio sine qua non” affinché l’Italia diventasse una democrazia consolidata.

4.1.1. Modi e tempi della “bonifica”

L’opera della Corte costituzionale di eliminazione della normativa fascista non è stata affatto lineare, ma si è articolata in modi e tempi molto diversi tra loro.

a) Il parametro - Parametro delle pronunce della Corte sono stati soprattutto i “principi fondamentali” (artt. 1-12 Cost.) e le libertà sancite nella prima parte della Costituzione. Relativamente ai primi dodici articoli, vanno sottolineate, in particolare, le decisioni concernenti il principio di uguaglianza: pare interessante, ad esempio, ricordare la sentenza 33/1960, con la quale il giudice costituzionale dichiarò l’incostituzionalità dell’art. 7 della legge 1176/1919, il quale escludeva le donne da tutti gli uffici pubblici che implicassero l’esercizio di diritti e potestà pubbliche347.

dell’Italia repubblicana, cit., pag. 139).

345

TRANFAGLIA N., Per una storia politica della Corte costituzionale, cit., pag. 270. 346

GUARINO G., Stato e regioni speciali nella giurisprudenza della Corte costituzionale, in ROTELLA E. (a cura di), Dal regionalismo alla regione, il Mulino, Bologna, 1973, pagg. 129-130; sul ruolo della giurisprudenza costituzionale in materia regionale si veda altresì D’ALBERGO S., L’antiregionalismo nell’indirizzo della Corte costituzionale, in ROTELLA E. (a cura di), Dal regionalismo alla regione, cit.; CUOCOLO F., Diritto regionale italiano, Utet, Torino, 1991; CHELI E., Il giudice delle leggi, cit., pag. 99 ss.

347 La Corte precisò che nell’art. 51 Cost. (che afferma che i cittadini di entrambi i sessi possono accedere agli uffici pubblici e alle cariche elettive in condizione di eguaglianza secondo i requisiti stabiliti dalla legge) l’inciso “secondo i requisiti stabiliti dalla legge” non sta a significare “che il legislatore ordinario possa, senza limiti alla sua

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b) Tipologia delle sentenze - Sin dall’inizio della sua attività il giudice costituzionale ha diversificato sensibilmente la tipologia delle sue pronunce, mostrandosi consapevole del fatto che l’alternativa “secca” tra sentenze di accoglimento o di rigetto non fosse in grado di ricomprendere tutte le sue possibili decisioni. Nella prima “fase” della Corte si registrano, infatti, le prime sentenze “monito”, quelle “manipolative” e quelle “additive”. Particolare attenzione verrà mostrata, poi, alle sentenze “interpretative di rigetto”, considerate da parte della dottrina come uno degli esempi più evidenti della volontà della Corte costituzionale di salvare le leggi fasciste.

c) L’evoluzione dell’interpretazione - In alcuni casi la Corte è partita da una determinata interpretazione (di solito abbastanza restrittiva) della norma costituzionale, per poi evolvere tale interpretazione con il passare del tempo: come si vedrà, è questo il caso, ad esempio, del diritto di sciopero348. In altri casi ancora il giudice delle leggi ha radicalmente cambiato la propria posizione rispetto a quanto deciso in precedenza: al riguardo, l’esempio per eccellenza è quello che si riferisce all’adulterio femminile349.

d) La promozione della riforme e la “supplenza” rispetto al Parlamento - In determinate situazioni, poi, la Corte ha svolto una funzione di “promotrice delle riforme” (costringendo, seppur involontariamente, la maggioranza a legiferare nella materia350), ovvero di “supplenza” rispetto al Parlamento (quando questo non emanava le leggi di attuazione richieste dalla Costituzione). Oltre al caso del diritto di sciopero, un caso particolarmente interessante che testimonia la “supplenza” della Corte dinanzi all’inerzia del legislativo riguarda la vicenda dell’Alta Corte di Giustizia per la regione siciliana351.

discrezionalità, dettare norme attinenti al requisito del sesso, ma vuol dire soltanto che il legislatore può assumere, in casi determinati e senza infrangere il principio fondamentale dell’eguaglianza, l’appartenenza all’uno o all’altro sesso come requisito attitudinario, come condizione, cioè, che faccia presumere… l’idoneità degli appartenenti a un sesso a ricoprire questo o quell’ufficio pubblico”. Al contrario, una norma di esclusione generale delle donne assume “il sesso femminile… a fondamento di incapacità o di minore capacità” per una categoria di pubblici uffici amplissima e di incerta definizione, e dunque risulta essere in contrasto con gli artt. 3 e 51 Cost. In seguito a tale sentenza, “la legge n. 66 del 1963 ha ammesso le donne a tutte le cariche, professioni ed impieghi pubblici, compresa la magistratura, nei vari ruoli, carriere e categorie, senza limitazioni di mansioni e di svolgimento della carriera, salvi i requisiti stabiliti dalla legge” (BRUNELLI G., Donne e politica, il Mulino, Bologna, 2006, pag. 42). In questo senso, allora, si può dire che la Corte ha svolto una funzione di “promotrice delle riforme”, come si può vedere più avanti.

348

Si veda il par. 4.4. 349

Con la sentenza 64/1961 la Corte dichiarò infondata la questione di legittimità dell’art. 559 c.p. che puniva penalmente l’adulterio della donna, ma non quello del marito. Sette anni più tardi, con la sentenza 126/1968 la Corte cambiò radicalmente il proprio orientamento e dichiarò l’illegittimità costituzionale della norma, sostenendo che la discriminazione sancita da tale articolo non garantisse “l’unità familiare, ma [fosse] più che altro un privilegio assicurato al marito; e, come tutti i privilegi, viol[asse] il principio di parità”. Il giudice delle leggi precisava che rispetto a quando era stata emanata la sentenza nel 1961 “molto [era] mutato nella vita sociale: la donna ha acquistato pienezza di diritti e la sua partecipazione alla vita economica e sociale della famiglia e della intera collettività è diventata molto più intensa, fino a raggiungere piena parità con l’uomo”.

350

Oltre alla sentenza 33/1960 ricordata sopra, si pensi al caso dei culti acattolici (si rinvia al par. 4.3.), ma anche alle sentenze che dichiararono l’incostituzionalità del rimpatrio con foglio di via obbligatorio o per traduzione e l’ammonizione delle persone sospette (in quanto disposti da un’autorità amministrativa anziché giudiziaria), le quali rappresentarono un forte stimolo per il legislatore, che intervenne infatti pochissimo tempo dopo (si veda il par. 4.5.). 351

Lo Statuto siciliano del 1946 attribuiva a tale organo il potere di giudicare sulla legittimità costituzionale delle leggi emanate dall’Assemblea regionale, delle leggi e dei regolamenti emanati dallo Stato rispetto allo Statuto e ai fini dell’efficacia dei medesimi nel territorio siciliano, nonché sui reati del Presidente della Regione e degli assessori. Nonostante fossero state presentate richieste volte a far cessare dalle sue funzioni l’Alta Corte, l’Assemblea costituente, su pressione dei deputati siciliani, decise di mantenere in vita tale organo. Nel 1956, quindi, quando entrò in funzione la Corte costituzionale, in Italia erano presenti due organi di giustizia costituzionale, i quali mettevano in discussione il principio della “unicità della giurisdizione costituzionale” (MORTATI C., Corte costituzionale e Alta Corte per la regione siciliana, in Giur. cost., 1956, pag. 1246 ss.). In un primo momento la Corte non affrontò direttamente il problema, confidando soprattutto in un intervento da parte del Parlamento. Quest’ultimo, tuttavia, “sceglieva di non

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4.1.2. Le decisioni “in controtendenza”

Un altro aspetto che merita di essere preso in considerazione sin d’ora riguarda il difficile inserimento della Corte nel sistema dei tre poteri tradizionali dello Stato: il giudice delle leggi, infatti, “veniva ad occupare spazi in precedenza presidiati da altri poteri, a esercitare interventi in passato considerati inconcepibili, ad alterare l’ordine delle primazie e delle prerogative”352. Le difficoltà incontrate dalla Corte, inoltre, erano dovute al fatto che essa prendesse molto spesso delle decisioni in aperta controtendenza rispetto a quello che era l’orientamento prevalente, di tipo conservatore, della maggioranza parlamentare, dell’esecutivo e delle supreme magistrature.

Nei paragrafi che seguono verranno mostrati alcuni esempi relativi al ruolo della Corte costituzionale nel processo di transizione “sostanziale” e di consolidamento. Tali esempi riguardano la prima sentenza del giudice costituzionale, nonché il suo ruolo rispetto ai culti acattolici, allo sciopero e all’ordine pubblico. La scelta di analizzare proprio questi casi è motivata dal fatto che essi risultano essere particolarmente idonei a mostrare i tre aspetti poc’anzi richiamati, vale a dire a) il ruolo della Corte di rottura rispetto al passato, consistente soprattutto nell’eliminazione della legislazione fascista; b) la molteplicità e la diversità dei suoi interventi; c) il fatto che le sue decisioni fossero spesso in controtendenza rispetto all’orientamento prevalente dei tre tradizionali poteri dello Stato.

4.2. La sentenza 1/1956 della Corte costituzionale: il primo caso di espulsione

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