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La transizione “formale”: dal 25 luglio 1943 al 1° gennaio

La prima generazione: il caso della Corte costituzionale italiana

1. La transizione “formale”: dal 25 luglio 1943 al 1° gennaio

Risulta essere piuttosto agevole individuare il momento iniziale e quello conclusivo della transizione “formale”165 in Italia. Si ritiene comunemente, infatti, che essa abbia avuto inizio il 25 luglio 1943 (quando Vittorio Emanuele III revocò dalla carica di Capo del Governo, Mussolini, procedendo alla formazione di un Governo tecnico affidato alla guida del generale Badoglio) e sia terminata il 1° gennaio 1948 (giorno in cui entrò in vigore la Costituzione repubblicana)166. Come si tenterà di mostrare, il 2 giugno 1946 (giorno in cui si svolse il referendum istituzionale e in cui venne eletta l’Assemblea costituente) ha costituito senza dubbio uno spartiacque all’interno della transizione: la fase, infatti, che va dal 25 luglio 1943 al 2 giugno 1946, è caratterizzata dall’emanazione delle c.d. “Costituzioni provvisorie” e dal dibattito relativo alla questione istituzionale; dal 2 giugno 1946 al 1° gennaio 1948, invece, si assiste al periodo “costituente” in senso stretto, vale a dire la fase in cui l’Assemblea costituente lavora per dare vita alla Costituzione repubblicana.

1.1. 25 luglio 1943 – 2 giugno 1946: le “Costituzioni provvisorie” e il referendum istituzionale

Il 25 luglio del 1943 il Gran Consiglio del Fascismo, approvando il celebre ordine del giorno proposto da Dino Grandi, sfiduciò di fatto il Capo del Governo e del partito, Mussolini, facendo appello al Re affinché riassumesse la guida del Paese. E’ stato spesso sottolineato come l’arresto di Mussolini rappresentò una sorta di tentativo di ripristino delle istituzioni statutarie, sull’assunto che

165 Secondo l’espressione utilizzata nel Cap. 1 par. 3. 166

Anche se vi è stato chi ha spostato il termine della transizione democratica al giorno dello svolgimento delle elezioni politiche del 18 aprile 1948 (cfr. PASQUINO G., The Demise of the First Fascist Regime and Italy’s Transition to Democracy: 1943-1948, in O’DONNELL G.,SCHMITTER P.C.,WHITEHEAD L. (a cura di), Transition from Authoritarian Rule. Southern Europe, Johns Hopkins University Press, Baltimore-London, 1986, pag. 45).

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fosse possibile separare le responsabilità della Corona da quelle del Fascismo167. La speranza degli ambienti monarchici era infatti quella di riuscire a sottrarre alla Corona ogni colpa relativa all’instaurazione del regime autoritario e alle scelte da questo compiute, attribuendo tutte le responsabilità al Fascismo. Di segno completamente opposto era, invece, la posizione dei movimenti antifascisti, i quali avevano ripetutamente sostenuto la complicità della Corona con la dittatura, dalla sua nascita sino al 1943. A ben vedere, entrambe le argomentazioni presentano elementi di verità. Da un lato, infatti, è di tutta evidenza che lo stesso avvento del regime fascista nel 1922 fu frutto di una decisione del Re di rottura della legalità statutaria: al riguardo è sufficiente pensare al fatto che l’incarico di Capo del Governo fosse stato conferito a Mussolini per telegramma, senza le consuete consultazioni da parte del Re168. E’, inoltre, difficile negare la copertura istituzionale fornita dalla Corona al Fascismo in determinate situazioni, come nel caso della promulgazione delle leggi razziali (r.d.l. 1728/1938). D’altro lato, non era scontato “trovare degli elementi giuridico formali sui quali individuare una responsabilità diretta del sovrano per la mancata salvaguardia delle guarentigie costituzionali in esso previste e per le modifiche in senso autoritario introdotte nell’ordinamento durante la dittatura mussoliniana. Infatti l’idea che la monarchia dovesse essere garante dello Statuto non si fondava su alcuna norma di questo ma solo sulla interpretazione liberale della Costituzione…”169.

Il Re procedette quindi alla nomina del generale Badoglio quale Presidente del Consiglio. Questi, attraverso la decretazione d’urgenza, soppresse gli istituti che maggiormente avevano caratterizzato il regime fascista, vale a dire il partito nazionale fascista, il Gran Consiglio del Fascismo, il Tribunale speciale per la difesa dello Stato e la Camera dei fasci e delle corporazioni. Nel gennaio del 1944, inoltre, vennero approvati due importanti decreti (il r.d.l. 25/1944170, e il r.d.l. 26/1944171) che determinarono l’abrogazione delle leggi razziali e la reintegrazione nei diritti dei cittadini italiani e stranieri già dichiarati appartenenti alla “razza” ebraica172.

In seguito all’armistizio dell’8 settembre 1943 si vennero a creare due Governi contrapposti: quello del Regno del Sud con a capo Vittorio Emanuele III e Badoglio, e quello della Repubblica Sociale Italiana a Nord con a capo Mussolini. Nonostante fossero state restaurate le condizioni minime di pluralismo politico, il contrasto, che sarebbe durato fino all’abolizione della monarchia, tra Corona e forze politiche antifasciste dei Comitati di liberazione nazionale, si stava acuendo sempre più. Ogni decisione imponeva di scegliere tra soluzioni che avrebbero determinato una continuità ovvero una discontinuità rispetto al regime statutario. La prima era voluta da casa Savoia e dalle forze interne ed esterne che la sostenevano (in primis gli inglesi); la discontinuità, invece, era sostenuta dai partiti antifascisti e dalle forze interne ed esterne che volevano l’instaurazione di un nuovo ordinamento (si pensi agli americani). E’ evidente che sullo sfondo vi era il giudizio sul Fascismo e soprattutto sull’atteggiamento e le responsabilità di Vittorio Emanuele III.

167

Si veda SACCOMANNO A., La transizione italiana: le Costituzioni provvisorie, in GAMBINO S. (a cura di), Costituzionalismo europeo e transizioni democratiche, Giuffrè, Milano, 2003, pag. 398.

168

A ciò si aggiunge il fatto che nel 1922, in occasione della marcia su Roma, il Re si rifiutò di firmare lo stato d’assedio, e conferì a Mussolini l’incarico di formare un nuovo Governo.

169 G

HISALBERTI C., Storia costituzionale d’Italia 1848-1994, Laterza, Bari, 2002, pag. 391.

170 Contenente disposizioni per la reintegrazione nei diritti civili e politici dei cittadini italiani e stranieri già dichiarati o considerati di “razza ebraica”.

171

Contenente disposizioni per la reintegrazione nei diritti patrimoniali dei cittadini italiani e stranieri già dichiarati o considerati di “razza ebraica”.

172 Tali decreti posero le basi per l’elaborazione di una normativa sui temi dell’attività restitutoria, risarcitoria e

riparatoria, destinata a svilupparsi, articolarsi e definirsi nell’arco di un cinquantennio. Si veda L’abrogazione delle

leggi razziali: l’Egeli e le restituzioni, disponibile all’indirizzo on-line

http://www.governo.it/Presidenza/DICA/beni_ebraici/PAG261_300.pdf; BRUNELLI G., Lili, ebrea e donna, discriminata due volte, in Quad. cost., n. 2, 2007, pag. 396 ss.

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Il conflitto trovò un parziale superamento nell’aprile del 1944 con il c.d. “compromesso istituzionale” (altresì definito “compromesso De Nicola”, o “patto di Salerno”): esso prevedeva che Vittorio Emanuele III rinunciasse all’esercizio dei suoi poteri (senza tuttavia abdicare, come fortemente richiesto dagli antifascisti), affidando questi al principe ereditario Umberto, nominato luogotenente generale del Regno: si trattò “di una soluzione di emergenza a carattere rivoluzionario, perché contemplava una luogotenenza atipica, non prevista dallo Statuto Albertino e perché prevedeva un Re che si ritira a vita privata (quindi rimane formalmente Re), ma è impedito dall’esercitare i suoi poteri”173.

Il 18 giugno 1944 si istituì il Ministero Bonomi, il quale rappresentò un mutamento sostanziale per quanto concerne i rapporti tra Corona e Ministero: infatti, mentre Badoglio e i suoi ministri si consideravano, ai sensi dello Statuto, ministri del Re, secondo una visione dei loro poteri che pareva estremamente simile a quella di una monarchia costituzionale, il Ministero Bonomi si riteneva legato alla Corona solo da un punto di vista formale. E’ vero, infatti, che era stata quest’ultima a procedere alla nomina, ma lo aveva fatto su indicazione del Comitato centrale di liberazione nazionale, e per questo risulta condivisibile l’opinione secondo cui il Ministero pareva essere “l’organo esecutivo” del Comitato174.

Di centrale importanza nella storia della transizione fu senza dubbio l’emanazione del decreto legge luogotenenziale 151/1944, la c.d. “prima Costituzione provvisoria”: tale provvedimento stabilì innanzitutto che la decisione in merito alla forma istituzionale (Monarchia o Repubblica) sarebbe stata presa da un’Assemblea costituente eletta a suffragio universale, e che dunque fino a quel momento doveva essere attuata la cosiddetta “tregua istituzionale”. Vennero dettate, poi, una serie di regole volte a disciplinare la funzione legislativa: quest’ultima, fino alla formazione del nuovo Parlamento, doveva essere esercitata dal Governo mediante decreti legislativi, sanzionati e promulgati dal Luogotenente del Regno. Secondo Calamandrei il decreto 151/1944 costituì “l’atto di nascita del nuovo ordinamento democratico italiano”, dal momento che esso “aveva ormai rotto ogni continuità costituzionale col regime precedente, e nel quale la monarchia non poteva più vantare altro che aspettative di fatto, non già diritti fondati sul “patto fra Re e popolo” che essa aveva rotto e la cui decadenza aveva reso al popolo la sua piena sovranità”175.

Va poi ricordata l’importante decisione presa dal secondo Governo Bonomi, il 5 aprile 1945, di convocare una Consulta nazionale, chiamata a fornire pareri in merito all’esercizio del potere legislativo da parte del Governo, soprattutto per quel che riguarda progetti di bilanci, rendiconti consuntivi, imposte e leggi elettorali. Il maggior merito della Consulta fu probabilmente quello “di aver abituato, dopo tanti anni di silenzio, il popolo italiano all’esistenza di un’assemblea politica nella quale venivano dibattuti liberamente i maggiori argomenti della politica nazionale, discussi i vari aspetti della condotta governativa e approntati, sia pure nei limiti imposti dal suo carattere consultivo, disegni di legge di rilevanza costituzionale destinati a incidere profondamente sull’ordinamento del Paese. Tra questi fu essenziale quello per l’elezione dei deputati dell’Assemblea costituente…”176.

Un’altra introduzione rilevante da un punto di vista costituzionale fu data dall’istituzione, mediante decreto luogotenenziale 435/1945, del Ministero per la Costituente, il quale aveva la funzione di predisporre gli elementi per lo studio della nuova Costituzione. Tra le diverse commissioni che vennero istituite, va ricordata, in particolare, la “Commissione per gli studi attinenti alla riorganizzazione dello Stato”, presieduta da Ugo Forti. Si è molto discusso sui frutti

173 B

ARILE P., Il caso italiano, in AA.VV., La nascita delle Costituzioni europee del secondo dopoguerra, Cedam, Padova, 2000, pag. 184.

174 Cfr. G

HISALBERTI C., Storia costituzionale d’Italia 1848-1994, cit., pagg. 396-397. 175

CALAMANDREI P., Opere giuridiche, Morano, Napoli, 1966, pag. 300 ss. 176

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dell’opera della Commissione: secondo alcuni essa “produsse relazioni ed elaborazioni di grande interesse”177, mentre altri hanno espresso un giudizio più cauto, secondo il quale il lavoro svolto “riguardava temi piuttosto tecnici e su questo riassumeva le conclusioni della dottrina italiana e internazionale, senza grandi capacità creative”178. Ciò su cui sembra, invece, esserci accordo riguarda la notevole influenza che la Commissione Forti ebbe sull’Assemblea costituente179: molte delle persone appartenenti a tale Commissione vennero, infatti, successivamente elette alla Costituente180, e in questo senso si spiega il perché sia stato affermato che per costoro la Commissione “fu senza dubbio un importante momento per affinare le armi”181.

Nel marzo del 1946, la decisione presa due anni prima con il decreto 151/1944 fu riveduta, e si stabilì che la scelta tra Monarchia e Repubblica venisse affidata al corpo elettorale. Tale soluzione finì per accontentare sostanzialmente tutte le forze politiche, e non solo i monarchici182. Il decreto legislativo luogotenenziale 98/1946 (altresì definito “Seconda Costituzione provvisoria”) precisava, poi, che il Governo avrebbe mantenuto il potere legislativo, salva la materia costituzionale, le leggi elettorali e l’approvazione dei trattati internazionali183.

Preme sottolineare come nel corso di tutta la transizione “formale” l’esecutivo non si occupò, se non in rari casi, delle riforme della legislazione ordinaria, preoccupandosi esclusivamente delle questioni urgenti184. Se il Paese, quindi, una volta approvata la Costituzione, dovette affrontare la questione della legislazione fascista che era trapassata quasi “in blocco” alla democrazia, fu anche in ragione del mancato intervento riformatore del Governo nel quinquennio 1943-1948. Le Cortes spagnole e l’Assemblea federale cecoslovacca, invece, come si vedrà nei prossimi Capitoli185, già durante la transizione “formale” procedettero ad approvare numerose leggi volte a garantire la tutela delle libertà fondamentali, sancendo così una prima, forte discontinuità rispetto al regime precedente.

Nella primavera del 1946 si registrò un altro rilevante passo in avanti nel processo di democratizzazione, vale a dire le consultazioni elettorali amministrative. Non va dimenticato, infatti, che durante il regime fascista, in luogo dei sindaci elettivi, vi erano i podestà, nominati dal Governo. Con le elezioni amministrative, dunque, non solo vi fu la possibilità di verificare quale fosse la reale forza dei partiti politici, ma venne altresì restituita al popolo la facoltà di eleggere liberamente i propri amministratori186.

Il 9 maggio 1946, e dunque a neanche un mese dal referendum istituzionale del 2 giugno, Vittorio Emanuele III decise di abdicare a favore del figlio Umberto, il quale, come ricordato, era divenuto Luogotenente del Regno a partire dal giugno 1944. Tale decisione (che ad alcuni parve

177

BARILE P., Il caso italiano, cit., pag. 190. 178

POMBENI P., La Costituente. Un problema storico-politico, il Mulino, Bologna, 1995, pag. 80. 179 Cfr., ad esempio, C

HELI E., Il problema storico della Costituente in Pol. dir., 1973, pag. 492; POMBENI P., La Costituente. Un problema storico-politico, cit., pag. 80; BARILE P., Il caso italiano, cit., pag. 190.

180

Si pensi a Calamandrei, Fanfani, Mortati, Tosato… 181

POMBENI P., La Costituente. Un problema storico-politico, cit., pag. 80. 182

E’ sufficiente pensare, infatti, alla DC (repubblicana nella sua dirigenza, ma con un elettorato sicuramente diviso) che in tal modo poteva non scoprirsi troppo su un tema così delicato. Anche le sinistre accettarono la consultazione popolare, a condizione, tuttavia, che le elezioni per la Costituente si svolgessero contestualmente al referendum. 183

Sulle vicende relative al decreto del 1946 si veda PICHIERRI A., La Costituzione provvisoria, Mandese, Taranto, 1996, pag. 242 ss.

184

Cfr. PIZZORUSSO A., Le stagioni della Costituzione, in TARCHI R., Disposizioni transitorie e finali (I-XVIII), in BRANCA G., Commentario della Costituzione, Zanichelli-Il Foro italiano, Bologna-Roma, pag. XXXVI.

185

Si rinvia rispettivamente al Cap. 3 par. 3.3.1. e al Cap. 4 par. 4.2.1. 186

Cfr. PAVONE C., Alle origini della Repubblica. Scritti su fascismo, antifascismo e continuità dello Stato, Bollati Boringhieri, Torino, 1995, pag. 404.

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una violazione della tregua istituzionale187) costituì un’ultima, disperata mossa da parte del Sovrano per cercare di garantire alla Corona una situazione più favorevole in occasione del referendum.

Il 2 giugno i cittadini italiani votarono, dunque, sia per il referendum istituzionale, sia per eleggere l’Assemblea costituente in base a una legge elettorale proporzionale. Si trattò delle prime elezioni a suffragio universale (anche femminile) che si fossero svolte in Italia. Sull’esito del voto vi furono grosse contestazioni. La Repubblica vinse con 12.717.923 voti validi (pari al 54.26%), contro i 10.719.824 voti validi ottenuti dalla Monarchia: va detto che anche contando i voti non validi (vale a dire le schede bianche e quelle nulle) la Repubblica avrebbe prevalso con il 51.01%. In attuazione di quanto previsto dal decreto legislativo del marzo 1946, il Presidente del Consiglio assunse in via provvisoria le funzioni di Capo dello Stato.

1.2. Cenni sull’Assemblea costituente

L’Assemblea costituente si insediò il 25 giugno 1946 e procedette alla nomina del proprio Presidente nella persona di Giuseppe Saragat, mentre tre giorni dopo elesse Enrico De Nicola quale Capo provvisorio dello Stato. A quel punto si presentò il problema dell’organizzazione dei lavori: era di tutta evidenza, infatti, che un’assemblea composta da 556 persone188 molto difficilmente avrebbe potuto elaborare un testo così complesso come una Carta costituzionale. Si decise così di affidare ad una apposita Commissione composta da settantacinque membri (e per questo definita “Commissione dei Settantacinque”) la redazione di un testo base. Questa elesse come Presidente Meuccio Ruini e si divise in tre sottocommissioni: una per i “diritti e doveri dei cittadini”, una per l’“ordinamento costituzionale della Repubblica” (a sua volta divisa in due sottocommissioni: una sul “potere esecutivo” e una sul “potere giudiziario”) e la terza, infine, per i “diritti e doveri economico-sociali”. Il testo base della Costituzione fu presentato in Assemblea nel gennaio 1947 e discusso continuamente per 9 mesi. L’approvazione finale avvenne il 22 dicembre 1947, con 453 voti a favore e 62 contro, dunque l’88% dei presenti votò sì.

Nonostante in Assemblea costituente si registrassero in partenza posizioni alquanto distanti tra loro, alla fine si riuscì a raggiungere un compromesso “di alto profilo”189. Tale compromesso riguardava le componenti essenziali, le “anime” dello schieramento politico italiano del tempo: “la cattolica, che trovava la sua espressione nella Democrazia cristiana, quella operaia tradizionale, organizzata nel partito comunista e nella maggior parte di quello socialista, e quella variamente ispirata alla tradizione risorgimentale e impersonata nelle diverse formazioni democratiche e liberali”190. Il limite, tuttavia, del compromesso fu dato dal fatto che esso rimase “a livello di élites intellettuali e politiche… senza un adeguato consenso di massa”: mancò, insomma, un sufficiente coinvolgimento dell’opinione pubblica nei lavori della Costituente191. Il radicamento dei principi costituzionali nelle coscienze delle c.d. “masse cattoliche” e “masse comuniste” richiese, dunque, non poco tempo e non pochi sforzi192.

Un secondo aspetto che pare opportuno mettere in luce è dato dal consenso estremamente

187 Si veda, ad esempio, B

ARILE P., Il caso italiano, cit., pag. 191. 188

La Democrazia cristiana ottenne 207 seggi, il Partito socialista 115, il Partito comunista 104, l’Unione democratica nazionale 41, l’Uomo qualunque 30, il Partito repubblicano 23, il Blocco nazionale delle libertà 16, il Partito d’azione 7, e le altre formazioni politiche 13.

189

BARBERA A., I principi della Costituzione repubblicana: dal “compromesso” al radicamento progressivo, in Rassegna parlamentare, n. 2, 2009, pag. 314.

190

GHISALBERTI C., Storia costituzionale d’Italia 1848-1994, cit., pag. 414. 191

In tal senso cfr. POMBENI P., La Costituente. Un problema storico-politico, cit., pag. 80. 192

Cfr. BARBERA A., I principi della Costituzione repubblicana: dal “compromesso” al radicamento progressivo, cit., pag. 315.

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ampio (quasi il 90%) con cui venne approvata la Costituzione. Ciò si spiega solamente se si tengono in considerazione due caratteristiche fondamentali della Carta costituzionale italiana: la sua lunghezza e la sua apertura. “E’ una Costituzione “lunga”, perché un consenso così vasto si è potuto realizzare soltanto sommando, e non selezionando, le istanze, gli interessi e i valori delle diverse componenti. E’ una Costituzione “aperta”, nel senso che non pretende di individuare il punto di equilibrio tra i diversi interessi, ma si limita ad elencarli, a giustapporli, lasciando alla legislazione successiva di individuare il punto di bilanciamento”193.

Non vanno, inoltre, dimenticate le circostanze storiche e politiche, per certi versi irripetibili, nelle quali si trovò a lavorare la Costituente. Innanzitutto va considerato il fatto che l’Italia si era appena lasciata alle spalle non solo una guerra Mondiale, ma anche venti anni di regime autoritario che avevano profondamente segnato il Paese. Questa situazione portò alla naturale conseguenza che una delle preoccupazioni più grandi – se non la maggiore – della Costituente fu quella di impedire in ogni modo il ripetersi di esperienze di tal tipo, e dunque di cercare il più possibile di proteggere la democraticità dell’ordinamento che si andava formando. Ciò spiega il perché la Carta del ’48 si caratterizzi per una grande attenzione ai diritti delle minoranze, per la scelta di una forma di governo parlamentare, per la previsione di un Presidente del Consiglio quale primus inter pares rispetto agli altri ministri, per l’istituzione di organi di garanzia quale la Corte costituzionale, e così via. Questo “garantismo della Costituzione repubblicana”194 non si spiega, tuttavia, se oltre al dato storico appena menzionato non si prende in considerazione anche un aspetto più strettamente politico. Durante i lavori della Costituente, infatti, nessuna delle forze politiche era in grado di prevedere quale sarebbe stato il risultato delle prime elezioni politiche, e di conseguenza nessun partito poteva contare con una certa sicurezza di poter conquistare la maggioranza in Parlamento. Anzi, il timore di ognuno era proprio quello di perdere le elezioni: il risultato fu quindi che “la paura di soccombere [prevalse] sul desiderio di imporsi… Da qui prende senso la Costituzione stessa, tutta rivolta a fissare i confini oltre i quali non può andare la volontà della maggioranza, quale essa sia”195.

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