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La difesa della democrazia: la Corte federale, la Corte ceca e le leggi di lustrazione

La terza generazione: il caso della Corte costituzionale della Repubblica ceca

4. L’azione della Corte costituzionale: tra “giustizia di transizione” e tutela dei diritti fondamentali.

4.1.3. La difesa della democrazia: la Corte federale, la Corte ceca e le leggi di lustrazione

Come ricordato in precedenza, le leggi di lustrazione costituiscono i provvedimenti più frequentemente utilizzati negli ordinamenti dell’Europa centrale ed orientale per “fare i conti” con il passato comunista. Questo tipo di misure, infatti, sono state adottate in Ungheria, Albania, Bulgaria, Lituania, Lettonia, Estonia, Polonia, Romania, Russia, Ucraina, Bielorussia e Germania: va sottolineato, tuttavia, che il numero di persone colpite da tali leggi è variato molto da Paese a Paese, e che in alcuni ordinamenti esse sono state dichiarate, in tutto o in parte, incostituzionali836. Inoltre, nonostante sia passato molto tempo dal crollo del regime comunista, alcuni Paesi dell’Europa dell’est continuano tuttora ad adottare leggi di lustrazione, a dimostrazione del fatto che lo “spettro” del Comunismo non sembra essere stato ancora del tutto eliminato837.

La Cecoslovacchia prima, e la Repubblica ceca poi, non fanno eccezione. La prima legge di lustrazione (vale a dire la legge 451/1991, cosiddetta “grande” legge di lustrazione838), adottata dal Parlamento della Federazione cecoslovacca il 4 ottobre 1991, infatti, aveva lo scopo di “impedire a persone coinvolte con il regime comunista e ritenute interessate ad un ritorno al passato di occupare posti di responsabilità nell’ambito dell’apparato statale”839. Essa vietava, in particolare, agli ex leaders del partito comunista e ai funzionari e collaboratori della polizia segreta di ricoprire, per un periodo di cinque anni (vale a dire sino al 30 gennaio 1996) cariche elevate nell’amministrazione dello Stato, nell’esercito, nei servizi di informazione, nella polizia, nell’ufficio del Presidente della Repubblica, negli uffici degli organi legislativi ed esecutivi federali e di ciascuna delle due Repubbliche, nella Corte costituzionale, nella Corte Suprema, nella direzione dell’Accademia delle scienze, alla radio, alla televisione, nelle agenzie di stampa, nelle società per azioni dove l’azionista di maggioranza era lo Stato, nelle ferrovie, nella banca di Stato e nelle Università. Contro l’accusa di collaborazionismo era poi possibile ricorrere presso una commissione prevista dalla legge stessa840, e le decisioni di tale organo potevano essere impugnate dinanzi ad un tribunale.

Tra coloro che criticarono duramente la legge va ricordata, innanzitutto, l’Organizzazione internazionale del lavoro, la quale riteneva che essa fosse in contrasto con la Convenzione n. 111 sulla Discriminazione (Lavoro ed Occupazione) del 1958, ed auspicava, nelle Raccomandazioni finali del suo rapporto, che essa venisse sottoposta al vaglio della Corte costituzionale841. Lo stesso Presidente Havel manifestò diverse perplessità relativamente all’opportunità di promulgare la legge,

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Per una panoramica (anche se non aggiornata) delle leggi di lustrazione in tali ordinamenti si veda ELLIS M.S., Purging the Past: The Current State of Lustration Laws in the Former Communist Bloc, in Law and Contemporary Problems, vol. 59, n. 4, 1996, pag. 181 ss.; SADURSKI W., Rights Before Courts: A Study of Constitutional Courts in Postcommunist States of Central and Eastern Europe, Springer, Dordrecht, 2005, pag. 223 ss.

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Si pensi al fatto che tra il 2010 e il 2011 le Corti costituzionali dell’Albania, della Romania, della Polonia e della Macedonia hanno dichiarato in tutto o in parte l’incostituzionalità delle leggi di lustrazione adottate nei rispettivi Paesi. 838

Il provvedimento era così definito per distinguerlo dalla legge 279/1992, cosiddetta “piccola” legge di lustrazione, riguardante in particolare i funzionari di polizia.

839

CLEMENTI M., Un aspetto della transizione in Cecoslovacchia e nella Repubblica ceca: la legge di lustrazione, in GAMBINO S.(a cura di), Costituzionalismo europeo e transizioni democratiche, cit., pag. 290.

840

Va detto, tuttavia, che solamente determinate categorie di persone erano legittimate a ricorrere. 841

Si veda la Decisione dell’Organizzazione internazionale del lavoro sulla legge di lustrazione (GB.252/16/19, 28 febbraio 1992, Sessione 252).

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ritenendo che essa fosse andata “molto al di là delle originarie intenzioni”842. Egli presentò alle Camere una serie di proposte di emendamento, ma queste non le accolsero. Poiché la Costituzione allora vigente non attribuiva al Capo dello Stato il potere di rinviare la legge al Parlamento, Havel alla fine fu costretto a promulgarla.

Le critiche che venivano mosse nei confronti di tale provvedimento riguardavano il fatto che esso introducesse una responsabilità collettiva anziché individuale; che si basasse sulla presunzione di colpevolezza anziché su quella di innocenza (era infatti invertito l’onere della prova, dal momento che spettava al cittadino dimostrare la sua estraneità al Partito e alla polizia segreta); che non prendesse in considerazione le circostanze del singolo caso; che violasse il principio dell’eguaglianza dinanzi alla legge; che si basasse sui dossiers della polizia segreta, i quali erano spesso imprecisi, incompleti o falsificati; che non prevedesse circostanze di esclusione per coloro che erano stati obbligati a collaborare o per coloro che erano stati iscritti al Partito per un periodo limitato di tempo843.

Chi, invece, difendeva la legittimità del provvedimento faceva riferimento, in primo luogo, alle circostanze eccezionali in cui esso venne adottato, vale a dire il periodo di transizione da un regime totalitario ad una forma di stato democratica. Era da respingersi, poi, l’idea secondo la quale lo scopo della legge fosse quello di una mera vendetta: attraverso la lustrazione, infatti, il Parlamento voleva dare voce alla comprensibile rabbia delle persone nei confronti di coloro che si erano macchiati di crimini efferati, cercando di evitare che il singolo si facesse giustizia da sé. Si voleva, insomma, soddisfare il desiderio di coloro che non riuscivano a perdonare e dimenticare, ma che chiedevano una qualche forma di punizione. Una funzione deterrente, dunque, analoga a quella della sanzione penale. Alla base del provvedimento, infine, vi era la volontà di impedire agli ex membri del regime comunista di ostacolare il processo di democratizzazione, nella convinzione che molto difficilmente coloro che sino a poco tempo prima erano stati il motore del regime si sarebbero convertiti in autentici sostenitori delle riforme844.

La legge venne impugnata da 99 deputati dell’Assemblea federale dinanzi alla Corte costituzionale della Repubblica federale ceca e slovacca: secondo i ricorrenti essa risultava in contrasto con diverse disposizioni della Carta dei diritti e delle libertà fondamentali, con la Costituzione, con la Legge costituzionale sulla Federazione cecoslovacca del 1992 e con una serie di trattati internazionali in materia di diritti umani. La Corte decise di respingere il ricorso, ritenendo che tale provvedimento fosse giustificato dall’esigenza di tutelare la sicurezza dello Stato e dei suoi membri: l’idea di fondo, infatti, era che in un contesto di transizione (quale era quello cecoslovacco) la democrazia dovesse difendersi dai propri nemici.

I giudici di Brno iniziano il proprio ragionamento ricordando che “nel periodo che va dal 1948 al 1989, che la legge 480/1991 definisce “era della non libertà”, il regime totalitario aveva violato non solo i diritti umani, ma anche le sue stesse leggi, adottate per la creazione e il mantenimento del potere […] Sulla base della teoria della lotta di classe permanente e del ruolo dirigente del Partito comunista della Cecoslovacchia, il regime totalitario aveva privato migliaia di persone non solo della loro libertà e delle loro vite… ma anche del loro lavoro. Tali misure arbitrali vennero successivamente legalizzate”: il processo di “normalizzazione”, infatti, comportava la perdita dell’occupazione per i lavoratori, e l’espulsione dalla scuola per gli studenti. Al loro posto

842 B

ARTOLE S., Riforme costituzionali nell’Europa centro-orientale. Da satelliti comunisti a democrazie sovrane, cit., pag. 41.

843 Su tali critiche alla legge cfr. più nel dettaglio K

OSAŘ D., Lustration and Lapse of Time: “Dealing With the Past” in the Czech Republic, cit., pag. 470 ss.

844 Tali argomenti sono ricordati da G

ILLIS M., Lustration and Decommunisation, in PRIBAN J., YOUNG J. (a cura di), The Rule of Law in Central Europe. The Reconstruction of Legality, Constitutionalism and Civil Society in the Post- Communist Countries, cit., pag. 59 ss.

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furono assunti nell’amministrazione pubblica (e in altri settori chiave della sicurezza, della giustizia, dell’esercito e dell’economia) persone che rispondevano alle direttive emanate dal Comitato Centrale del Partito comunista, direttive che richiedevano “maturità politica, un approccio creativo marxista-leninista alla soluzione dei problemi e la ferma volontà di dare attuazione alle politiche del Partito”. Il risultato fu che “sino alla fine del 1989, ciascuna posizione chiave ad ogni livello dell’amministrazione… era attribuita nel rispetto di tali direttive, in modo tale che l’influenza del Partito comunista della Cecoslovacchia fosse presente in tutte i settori della vita pubblica ed economica…”.

Alla luce di tale situazione, la Corte ritiene che “tale condotta calcolata e intenzionale costituiva una reale fonte di destabilizzazione e di pericolo che avrebbe potuto minacciare lo sviluppo dell’ordinamento costituzionale”, e dunque sostiene che la legge non sia in contrasto con la Costituzione... Secondo i giudici costituzionali, infatti, “uno Stato democratico non ha solo il diritto, ma anche il dovere di far accettare e tutelare i principi sui quali si fonda […] Uno Stato democratico… è chiamato ad effettuare tutti gli sforzi possibili per riuscire ad eliminare un’ingiustificata preferenza di cui hanno goduto in passato un gruppo di cittadini, quando tale preferenza si fondava esclusivamente sull’appartenenza al partito politico totalitario… In una società democratica è necessario che gli impiegati statali e di altri organi pubblici soddisfino determinati criteri, i quali si caratterizzano, in sostanza, nella lealtà ai principi democratici su cui si fonda lo Stato”845. La Corte, quindi, sottolinea come non si possa parlare di discriminazione, dal momento che la legge si applica solamente “ad un gruppo estremamente limitato di persone” e per un periodo di tempo limitato (sino al 31 dicembre 1996, quando la Corte ritiene ci si potesse aspettare la conclusione del processo di democratizzazione), e che coloro che sono stati colpiti da misure di lustrazione hanno comunque la possibilità di ricorrere in via giurisdizionale.

Nella parte finale del suo ragionamento, inoltre, i giudici anticipano un’argomentazione (che verrà poi approfondita dalla Corte costituzionale ceca846) relativa alla cosiddetta “teoria dei valori”847, sottolineando come questi ultimi sono completamente diversi nei due regimi giuridici (totalitario e democratico): “il concetto dello Stato di diritto non ha a che fare con la mera osservanza di qualsivoglia valore o di qualsivoglia diritto, anche se questi sono stati adottati correttamente da un punto di vista procedurale, ma riguarda principalmente il rispetto di quelle norme che non sono incompatibili con i valori fondamentali della società umana, così come espressi… dalla Carta dei diritti e delle libertà fondamentali […] Uno Stato di diritto in via di costruzione, che presuppone la discontinuità con il regime totalitario in relazione ai valori, non può adottare criteri di continuità giuridica formale e materiale che si fondano su un sistema di valori differente, neanche qualora tale continuità normativa formale sia resa possibile dall’ordinamento giuridico. Il rispetto per la continuità del vecchio sistema di valori non costituirebbe una garanzia di certezza giuridica, ma, al contrario, una sconfessione dei nuovi valori, una minaccia alla certezza giuridica e comprometterebbe la fiducia dei cittadini nella credibilità del sistema democratico”.

Nel 1995 il Parlamento della Repubblica ceca decise, poi, di prorogare l’applicazione della legge sino al 31 dicembre 2000. Havel mostrò nuovamente la propria contrarietà a tale decisione, e decise pertanto di rinviare la legge al Parlamento, dal momento che, a differenza che nel 1991, la nuova Costituzione della Repubblica ceca, all’art. 50, attribuiva al Presidente della Repubblica tale potere. Secondo Havel, infatti, la proroga significava riconoscere pubblicamente l’incapacità del Paese di essere una normale democrazia, e dimostrava come esso non fosse in grado di fronteggiare

845

Corsivo nostro. 846

Si pensi alla già ricordata sentenza sulla legge sull’illegittimità del regime comunista (par. 4.1.2.), ovvero alla pronuncia sulla legge di lustrazione (che verrà analizzata tra qualche riga).

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con strumenti democratici i tentativi volti alla reinstaurazione del regime comunista848. Il Presidente, tuttavia, dopo che il Parlamento riapprovò (con la stessa formulazione) la legge, fu costretto a promulgarla.

Nel 2000 le Camere decisero di differire nuovamente il termine di vigenza sia della “grande” sia della “piccola” legge di lustrazione: de facto si trattava di una proroga sine die, dal momento che tali provvedimenti sarebbero rimasti in vigore sino alla promulgazione della legge sulla funzione pubblica849. Il 2 marzo 2001 le leggi vennero impugnate da 44 deputati dinanzi alla Corte costituzionale. Secondo i ricorrenti il Paese si trovava in una situazione del tutto diversa rispetto al 1989: i tre tradizionali poteri dello Stato, infatti, erano stati istituiti in modo democratico, e le posizioni chiave nell’apparato statale e in altri organi pubblici non erano più ricoperte da persone legate al precedente regime totalitario. Ciò significava, quindi, che “la sovversione o un possibile ritorno al totalitarismo non costituissero più un rischio” per il Paese, e che di conseguenza erano venute meno le ragioni che giustificavano le misure di lustrazione. Essi ricordavano, poi, come la Corte federale avesse dichiarato la legittimità costituzionale della norma sul presupposto che essa avesse comunque un carattere transitorio, fissato in cinque anni.

Nella sentenza 9/2001, i giudici costituzionali affrontano innanzitutto la questione della transitorietà della legge, sottolineando il fatto che la Corte federale non avesse legato indissolubilmente la validità della legge al 1996, ma che si fosse limitata a sostenere che in quell’anno “ci si poteva aspettare che il processo di democratizzazione [si sarebbe] compiuto”. Inoltre la Corte afferma che “il grado di sviluppo di una democrazia è una questione sociale e politica, e non di diritto costituzionale, e per questo essa non è in grado di accertare il “completamento” o il “non completamento” del processo democratico con gli strumenti a sua disposizione”. E’ del tutto condivisibile l’opinione di Kosar, il quale legge in queste righe un “significativo self-restraint” della Corte, con una conseguente “ampia discrezionalità” lasciata in capo al legislatore850.

I giudici di Brno condividono l’opinione espressa dai ricorrenti secondo la quale l’interesse pubblico che esisteva al momento della transizione dal totalitarismo alla democrazia è calato di intensità e urgenza a partire dal 1992. Tuttavia la Corte sostiene (arrivando così al cuore del suo ragionamento) che i requisiti di “lealtà per gli interessi dello Stato e dei principi democratici su cui esso si fonda” non appartengono solamente agli ordinamenti che stanno affrontando un periodo di transizione dal totalitarismo alla democrazia, ma “a tutti i sistemi democratici stabilizzati”. Lo Stato, come aveva già sostenuto la Corte federale, ha, infatti, “non solo il diritto, ma anche l’obbligo di difendersi”851. A questo punto i giudici di Brno richiamano il concetto, più volte ricordato dalla Corte EDU, della “democrazia in grado di difendersi”852, giungendo alla conclusione che “uno Stato democratico, e non solo nella fase di passaggio dopo la caduta del regime totalitario, può vincolare l’accesso di un individuo nell’amministrazione dello Stato e nei servizi pubblici, e la permanenza in essi, al rispetto di determinati requisiti, fra cui in particolare quello delle lealtà politica”853. Insomma, come è stato opportunamente osservato, secondo la Corte

848 C

LEMENTI M., Un aspetto della transizione in Cecoslovacchia e nella Repubblica ceca: la legge di lustrazione, cit., pag. 296.

849

La Corte ricorda come, secondo i dati del Ministero dell’Interno, dal 1991 al 5 settembre 2001, vennero emanati 366.980 certificati di lustrazione, di cui il 3,45% (pari a 12.660 persone) risultarono essere positivi. Fra coloro che presentarono ricorso, poi, in 117 ottennero ragione e vennero reintegrati nel posto di lavoro.

850 K

OSAŘ D., Lustration and Lapse of Time: “Dealing With the Past” in the Czech Republic, cit., pag. 469. 851

Corsivo nostro 852

La Corte ricorda, in particolare, il caso Glasenapp c. Germania del 1986. 853

A questo punto la Corte fa riferimento alla decisione della Corte Suprema degli Stati Uniti nel caso Adler v. Board of Education.

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ceca “il mondo non era ancora cambiato abbastanza”854 per potere respingere gli argomenti sostenuti dalla Corte federale nel 1992.

Nel sostenere le sue argomentazioni, infine, la Corte ricorda come negli ordinamenti dell’Europa centrale e orientale che avevano adottato leggi di lustrazione negli ultimi dieci anni, esse fossero ancora in vigore: ciò a testimonianza del fatto che il pericolo della mancanza di lealtà della pubblica amministrazione era ancora sentito come particolarmente attuale in molti Paesi.

Pare interessante notare come ragionamenti diametralmente opposti rispetto a quelli sostenuti dalle Corti costituzionali cecoslovacca e ceca si trovano della sentenza 60/1994 della Corte costituzionale ungherese: quest’ultima, infatti, sosteneva che l’argomentazione secondo cui la lustrazione era finalizzata a proteggere il processo di democratizzazione da coloro che erano compromessi con il precedente regime comunista non era più valida, dal momento che la transizione era già terminata. Per tale motivo, secondo i giudici, i principi da utilizzare per verificare la costituzionalità della legge dovevano essere gli stessi che si applicano ad una normale società democratica fondata sulla rule of law855. La Corte, infatti, sin dall’inizio della sua attività, ha ritenuto che “la rivoluzione del cambiamento di regime politico [doveva] essere realizzato nel quadro costituzionale, secondo i metodi costituzionali dello Stato di diritto”856.

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