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La Corte e il diritto di sciopero: la “supplenza” dinanzi all’inerzia del Parlamento

La prima generazione: il caso della Corte costituzionale italiana

4. L’entrata in funzione della Corte costituzionale: il punto di svolta della transizione “sostanziale”

4.4. La Corte e il diritto di sciopero: la “supplenza” dinanzi all’inerzia del Parlamento

L’atteggiamento fortemente repressivo del Fascismo nei confronti dello sciopero è noto: gli artt. 18-22 della legge 563/1926 sancirono, infatti, il divieto, penalmente sanzionato, di sciopero e serrata, e tali disposizioni (assieme a quelle del regolamento approvato con r.d. 1130/1926) vennero recepite dal Codice penale del 1930.

In questo senso, l’art. 40 Cost., che sancisce che “il diritto di sciopero si esercita nell’ambito delle leggi che lo regolano”, segnò una totale rottura rispetto al passato. Già in Assemblea costituente, tuttavia, venne paventato un pericolo che non tardò a tramutarsi in realtà: “Io veramente ho timore – sosteneva il deputato Foa – che, se nell’atto in cui si afferma il diritto di sciopero, si rinvia genericamente la sua disciplina alla legge senza precisare l’orientamento ed i limiti dell’attività legislativa, si venga a svuotare questo diritto… nella sua portata costituzionale”392. In effetti, ciò che accadde fu proprio la mancanza di intervento da parte del legislatore, il quale non diede attuazione alla norma costituzionale. I giudici si trovarono così piuttosto liberi nell’interpretazione dell’art. 40: se per un verso, come già ricordato, essi non esitarono a dichiarare la precettività di tale norma393, d’altro verso optarono (soprattutto la Cassazione) per una “definizione restrittiva delle forme di autotutela, riconoscendo piena legittimità soltanto agli

390 L

ONG G., Le confessioni religiose “diverse dalla cattolica”. Ordinamenti interni e rapporti con lo Stato, cit., pag. 41.

391 L

ONG G., Le confessioni religiose “diverse dalla cattolica”. Ordinamenti interni e rapporti con lo Stato, cit., pag. 41. Un’ulteriore apertura a favore dei culti acattolici si ebbe, poi, nel 1968, con la legge 817/1973 (“Estensione agli ospedali religiosi acattolici del trattamento e inquadramento previsto dalla l. 132/1968”). Perché venisse data effettiva attuazione al c. 3 dell’art. 8 fu, tuttavia, necessario aspettare il periodo 1984-1987 (la c.d. “stagione delle intese”). 392

Atti ass. cost., 12 maggio 1947, ricordato da ROMAGNOLI U., Art. 40, in BRANCA G. (a cura di), Commentario alla Costituzione, cit., pag. 291.

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scioperi di carattere economico-professionale”394. Romagnoli sottolinea il fatto che una giurisprudenza di tal tipo fu la conseguenza di una pluralità di fattori, non riconducibile esclusivamente a fattori generazionali o culturali: “i giudici non capiscono soltanto il linguaggio legislativo: c’è anche quello dei Ministri dell’Interno e della Giustizia; c’è quello del Ministro del Lavoro, significativamente coricato sulla linea d’un “viceministro di polizia”; c’è quello dei procuratori generali della Repubblica e dei prefetti; c’è quello dei mezzi di comunicazione di massa…; c’è infine il linguaggio impiegato nei corsi universitari dove vengono adottati manuali di diritto del lavoro, che insegnano come “il diritto deve evolvere, non fare salti””395.

Insomma, così come nel caso della libertà religiosa, anche in materia di sciopero la Corte costituzionale iniziò ad operare in un clima non particolarmente di favore verso l’esercizio di tale diritto. Questa situazione può dunque spiegare (quantomeno in parte) il motivo per cui il giudice delle leggi tardò diversi anni prima di affermare un indirizzo giurisprudenziale in aperto contrasto rispetto agli orientamenti che si erano affermati sino a quel momento396. In un cammino durato all’incirca quindici anni (dal 1960 al 1974), la Corte intervenne in tema di sciopero in modo progressivo, ma sempre con maggiore incisività, svolgendo un ruolo fondamentale di “supplenza” rispetto al Parlamento, il quale continuava a non emanare le leggi regolatrici di tale diritto richieste dalla Costituzione. Lo sciopero costituiva, allora più che mai, una materia di particolare rilevanza, soprattutto alla luce della sua idoneità ad incidere in modo determinante sul processo di democratizzazione in corso nel Paese. La stessa Corte costituzionale non mancò di sottolineare quella che è stata definita “essenziale connessione sussistente tra disciplina della autotutela sindacale e regime di uno Stato”397. Nella sentenza 29/1960, ad esempio, il giudice costituzionale, nell’effettuare una ricostruzione storica dell’istituto dello sciopero e di quello della serrata, richiamava la relazione ministeriale al progetto definitivo per il Codice penale del 1931, nel quale si sosteneva che “il divieto della serrata e dello sciopero si rendeva necessario “per segnare un netto trapasso fra due regimi [quello liberale e quello autoritario], e porre un energico disconoscimento del principio democratico, che, all’opposto, ammetteva la libertà di coalizione e di sciopero”. Nella sentenza 290/1974, poi, la Corte sottolineava come il diritto di sciopero acquistasse un valore particolarmente rilevante in un ordinamento democratico in ragione della sua funzione di partecipazione democratica.

Il giudice costituzionale, quindi, vista l’inerzia del legislatore, si sostituì ad esso, facendosi carico di individuare la definizione di sciopero, i relativi limiti e le finalità ammesse398. Al fine di dare conto della progressiva evoluzione della giurisprudenza della Corte, verranno brevemente riprese quattro pronunce.

Nella sentenza 29/1960399, oltre ad essere ribadita l’immediata precettività dell’art. 40 Cost.,

394

SANTONI F., Lo sciopero, Jovene, Napoli, 1991, pag. 24. 395

ROMAGNOLI U., Art. 40, cit., pag. 294. 396 Cfr. O

NIDA V., Luci e ombre nella giurisprudenza costituzionale in tema di sciopero, in Giur. cost., 1969, pag. 918. 397 P

ERONE G.C., La giurisprudenza costituzionale in materia di sciopero e serrata, in CATALDI E., FLAMMIA R., MAZZIOTTI F.,MORTILLARO F.,PERONE G.C.,SCOGNAMIGLIO R.,SIMI V.,VENETO G., Il lavoro nella giurisprudenza costituzionale, Franco Angeli Editore, Milano, 1978, pag. 360 (corsivo nostro).

398 Va detto, tra l’altro, che tale sostituzione risultava essere pienamente legittima. M

ORTATI C., Appunti per uno studio sui rimedi giurisdizionali contro comportamenti omissivi del legislatore, in Foro it., V, 1970, pag. 160, ricorda, infatti, che “alla mancata emanazione della legge può validamente farsi corrispondere la pronuncia del giudice costituzionale tutte le volte che essa sia resa necessaria dalla salvaguardia di beni che la Costituzione ha voluto preservare dall’indiscriminato esercizio di un diritto consentito. Così è avvenuto per il diritto di sciopero ex art. 40…”.

399

Prima di questa pronuncia può essere ricordata la sentenza 46/1958, in cui la Corte evadeva la questione dei limiti del diritto di sciopero, sostenendo che l’art. 333 c.p. non poteva “trovare applicazione allorché l’abbandono dell’ufficio, servizio o lavoro costituisca semplice partecipazione ad uno sciopero, se e in quanto questo possa essere considerato legittimo”.

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viene riconosciuta l’illegittimità dell’art. 502 c.p. (che incriminava lo sciopero e la serrata per fini contrattuali), proprio sul presupposto che lo sciopero posto in essere per fini contrattuali costituisse l’oggetto prevalente della tutela prevista dalla norma costituzionale.

La sentenza 123/1962 è indubbiamente una pronuncia di notevole importanza, in particolare perché “la Corte ha modo per la prima volta di esporre per esteso le proprie idee sui limiti del diritto di sciopero”400. Quest’ultimo viene definito, con un espresso richiamo “alla tradizione accolta dal Costituente”, come “astensione totale dal lavoro da parte di più lavoratori subordinati, al fine della difesa dei loro interessi economici”. Secondo la Corte, si può dedurre che lo sciopero è legittimo solamente quando sia rivolto a conseguire fini di carattere economico dal fatto che l’art. 40 risulta collocato sotto il titolo terzo della prima parte della Costituzione, relativo, per l’appunto, ai rapporti economici. Il giudice delle leggi, tuttavia, sottolinea come “la tutela concessa a tali rapporti non può rimanere circoscritta alle sole rivendicazioni di indole meramente salariale, ma si estende a tutte quelle riguardanti il complesso degli interessi dei lavoratori che trovano disciplina nelle norme racchiuse sotto il titolo stesso”. A ciò si aggiunge il fatto che la Corte pare ammettere, sebbene entro certo limiti, lo sciopero di solidarietà401. La concezione strettamente contrattuale del conflitto collettivo (cioè quella “alla cui stregua esso viene ridotto ad una dialettica tra le controparti a prescindere dal più generale contesto”402), insomma, sembra essere sostituita da una concezione, indubbiamente più ampia, di “sciopero economico” o economico-professionale”403.

Se già nella pronuncia del 1962 la Corte aveva iniziato a liberarsi delle concezioni più restrittive imperanti in materia di sciopero, con la sentenza 31/1969 si può affermare che vi è stato un vero e proprio “salto di qualità”. Quest’ultimo riguarda, in primo luogo, la definizione: se nella sentenza 123/1962 si faceva riferimento ad una “astensione totale dal lavoro da parte di più lavoratori subordinati”404 e ci si richiamava “alla tradizione accolta dal Costituente”, la pronuncia del 1969 parla di “sospensione dell’attività di lavoro da parte di lavoratori dipendenti”, secondo quella che è “l’origine e la funzione attribuita al termine nell’attuale fase storica”. In primo luogo la scomparsa dell’attributo “totale” starebbe ad indicare la legittimità di forme di sciopero “parziali”, come quello “a scacchiera” o “a singhiozzo”405, negate, invece, da parte della dottrina406. Si può notare, inoltre, come la nozione di sciopero non venga più “individuata in relazione… al dato statico della tradizione accolta dal Costituente, ma a quello dinamico dello specifico periodo storico”407. E’, tuttavia, sul fronte delle finalità che si registrano le innovazioni più significative. La

400

ONIDA V., Luci e ombre nella giurisprudenza costituzionale in tema di sciopero, cit., pag. 919. 401

“Pertanto, la sospensione del lavoro la quale venga effettuata in appoggio a rivendicazioni di carattere economico cui si rivolge uno sciopero già in via di svolgimento, ad opera di lavoratori appartenenti alla stessa categoria dei primi scioperanti, non può non trovare giustificazione ove sia accertata l’affinità delle esigenze che motivano l’agitazione degli uni e degli altri, tale da fare fondatamente ritenere che senza l’associazione di tutti in uno sforzo comune esse rischiano di rimanere insoddisfatte”.

402

PERONE G.C., La giurisprudenza costituzionale in materia di sciopero e serrata, cit., pag. 388. 403

PERONE G.C., La giurisprudenza costituzionale in materia di sciopero e serrata, cit., pag. 389. La Corte, comunque, precisa (e lo ribadirà anche in altre occasioni) che la verifica della sussistenza dei requisiti propri degli scioperi ritenuti legittimi spetta ai giudici di merito, dovendo essi tenere presente la situazione di fatto riscontrabile in ciascun caso, nonché il collegamento tra gli interessi economici di cui si invoca la soddisfazione e l’ampiezza delle categorie coinvolte. “Per la Corte non vi era, dunque, dubbio sulla possibilità che il giudice di merito procedesse all’applicazione diretta della norma costituzionale, con ampia discrezionalità quanto all’individuazione dei comportamenti garantiti, oltre che alla costruzione dei limiti all’esercizio del diritto ricavabili dalla Costituzione” (BARTOLE S., Interpretazioni e trasformazioni della Costituzione repubblicana, cit., pag. 181).

404

Corsivo nostro. 405 Cfr. O

NIDA V., Luci e ombre nella giurisprudenza costituzionale in tema di sciopero, cit., pag. 921. 406

Cfr. PACE A., Spunti per una delimitazione “costituzionale” dello sciopero, in Giur. cost., 1964, pag. 1444 ss. 407

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sentenza 31/1969 afferma, infatti, che lo sciopero risulta essere “strumentale pel conseguimento dei beni economico-sociali che il sistema costituzionale collega alle esigenze di tutela e di sviluppo della loro personalità”. Rispetto alla decisione di sette anni prima, manca il richiamo al titolo terzo della Costituzione, e gli “interessi economici” vengono sostituti dai “beni economico-sociali” connessi alla tutela e allo sviluppo della personalità dei lavoratori. La dilatazione del concetto di sciopero economico posta in essere dalla Corte risulta essere tale da rendere estremamente difficile distinguere, secondo alcuni, le ipotesi di sciopero economico (legittimo) da quelle di sciopero non economico (illegittimo)408. Non è un caso che sia stato messo in luce come a quel punto, nella posizione della Corte, mancasse “solo l’ultimo passo, … logico e necessario: il riconoscimento cioè che il diritto di sciopero costituzionalmente garantito attiene al perseguimento di qualsiasi interesse collettivo, al di fuori di qualunque carattere di necessaria “economicità””409.

L’“ultimo passo” appena richiamato venne compiuto nella pronuncia 290/1974, nella quale la Corte costituzionale dichiarò l’illegittimità costituzionale dell’art. 503 c.p. “nella parte in cui punisce anche lo sciopero politico che non sia diretto a sovvertire l’ordinamento costituzionale ovvero ad impedire o ostacolare il libero esercizio dei poteri legittimi nei quali si esprime la sovranità popolare”. Così come aveva fatto nella sentenza 29/1960, anche in questo caso il giudice delle leggi inizia la propria argomentazione sostenendo la forte correlazione tra la disciplina dell’autotutela sindacale e il regime di uno Stato. Secondo la Corte, infatti, il divieto di sciopero sancito nel regime fascista trovava la sua vera motivazione “nella logica di un assetto costituzionale repressivo di ogni libertà e in una concezione del rapporto di lavoro non conciliabile con quella che risulta da vari articoli della Costituzione”. Quest’ultima, al contrario, “rovesciando i principi di fondo di quella logica, ha dato ampio spazio alla libertà dei singoli e dei gruppi, riconoscendola e tutelandola con i soli limiti che risultino strettamente necessari a salvaguardare altri interessi che concorrano a caratterizzare il nuovo assetto democratico della società”. A conferma di tale tesi, il giudice costituzionale ricorda che il codice penale Zanardelli del 1889 “ispirato a principi di libertà, non puniva affatto lo sciopero politico” e che negli ordinamenti democratici lo scopo politico dell’astensione collettiva dal lavoro non acquistava, di per sé, rilevanza penale. Da qui la considerazione secondo cui l’art. 503 c.p. sarebbe “un unicum nella storia della nostra legislazione e nella comparazione di ordinamenti democratici: il che conferma la sua matrice storica e politica, connaturata alla struttura totalitaria del passato regime”. La Corte ritiene, dunque, che siano i “fondamentali principi di libertà che caratterizzano il nuovo ordinamento” ad escludere la punibilità indiscriminata dello sciopero per il solo fatto che esso abbia uno scopo di tipo politico. Va sottolineato come questo tipo di argomentazione costituisca una delle rare eccezioni rispetto a quello che, invece, era l’orientamento generale del giudice costituzionale, vale a dire quello secondo cui norme emanate nel precedente regime potevano certamente sopravvivere nel nuovo ordinamento, purché non fossero in contrasto con i principi costituzionali. Onida insiste parecchio su questo punto: “la Corte, di regola, non imposta il problema in termini di contrapposizione tra vecchio e nuovo ordinamento: al contrario muove, spesso esplicitamente, dalla premessa che norme sorte con fini dichiaratamente incompatibili con valori costituzionali, e in un clima ideologico e politico cui la Costituzione solennemente si contrappone, ben possono continuare ad operare nel sistema, data l’indipendenza del contenuto normativo dai fini e dalle ideologie che hanno determinato il sorgere della norma, e data la possibilità di ridurre tale contenuto a coerenza con i nuovi principi che governano l’ordinamento”410. E’ evidente come questo tipo di orientamento della

408

La Corte dichiara, comunque, l’illegittimità costituzionale dell’art. 330, c. 1 e c. 2, c.p., “limitatamente all’applicabilità allo sciopero economico che non comprometta funzioni o servizi pubblici essenziali, aventi caratteri di preminente interesse generale ai sensi della Costituzione”.

409

ONIDA V., Luci e ombre nella giurisprudenza costituzionale in tema di sciopero, cit., pag. 925. 410

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Corte abbia, da un lato, favorito la sopravvivenza di molte norme del precedente regime autoritario, ma, d’altro lato, abbia anche permesso la riconduzione di determinate leggi a significati maggiormente aderenti al dettato costituzionale.

Ritornando più specificatamente alla sentenza in esame, va detto come uno degli passaggi più significativi sia, poi, quello relativo al collegamento tra il diritto di sciopero e l’art. 3 Cost. Secondo la Corte, infatti, “ammettere che lo sciopero possa avere il fine di richiedere l’emanazione di atti politici non significa affatto incidere sulle competenze costituzionali rendendone partecipi i sindacati, né significa dare ai lavoratori una posizione privilegiata rispetto agli altri cittadini. Significa soltanto ribadire quanto dalla Costituzione già risulta: esser cioè lo sciopero un mezzo che, necessariamente valutato nel quadro di tutti gli strumenti di pressione usati dai vari gruppi sociali, è idoneo a favorire il perseguimento dei fini di cui al secondo comma dell’art. 3 della Costituzione”. Il diritto di sciopero, dunque, secondo il giudice costituzionale, acquista un valore particolarmente rilevante in un ordinamento democratico in ragione della sua funzione di partecipazione democratica: esso costituisce “un mezzo per lo sviluppo della persona umana del lavoratore e per la promozione della sua effettiva partecipazione alla trasformazione dei rapporti economici, sociali e politici in cui egli opera”411. Viene così superata ampiamente la logica contrattualistica che per lungo tempo aveva caratterizzato non solo gran parte della dottrina, ma anche la stessa giurisprudenza costituzionale.

Come già ricordato, il motivo di un intervento così incisivo della Corte costituzionale fu dato dalla mancata emanazione, da parte del Parlamento, delle leggi regolatrici dello sciopero. E’ stato opportunamente evidenziato come tale “vuoto legislativo equivale[sse]… ad una scelta di politica del diritto”412. In verità alcuni progetti di legge, in periodi diversi, vennero presentati, ma nessuno di questi fu mai approvato413. A causa, tuttavia, degli indirizzi particolarmente restrittivi previsti da tali progetti, e alla luce, invece, dell’orientamento sempre più “aperto” espresso dalla giurisprudenza costituzionale, la perdurante assenza di una legislazione regolatrice della materia è stata, in fin dei conti, un bene: tale assenza “ha probabilmente evitato danni maggiori, ed è perciò in certo senso opportuna, in quanto consente (e in parte forse ha già consentito) l’affermarsi di indirizzi interpretativi meno lontani dallo spirito originario della proclamazione costituzionale del diritto di sciopero…”414.

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