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La rottura con il passato: la Corte e la legge sull’illegittimità del regime comunista e sull’opposizione ad esso

La terza generazione: il caso della Corte costituzionale della Repubblica ceca

4. L’azione della Corte costituzionale: tra “giustizia di transizione” e tutela dei diritti fondamentali.

4.1.2. La rottura con il passato: la Corte e la legge sull’illegittimità del regime comunista e sull’opposizione ad esso

La legge 198/1993 (“Legge sull’illegittimità del regime comunista e sull’opposizione ad esso”)828 costituisce indubbiamente uno dei provvedimenti più importanti in materia di giustizia di transizione. La principale motivazione che portò all’approvazione di tale legge era data dal fatto che sino a quel momento erano pochi gli esponenti del passato regime ad essere stati condannati per i crimini commessi in passato: ciò era dovuto non solo ai termini di prescrizione e alle limitazioni basate sulle leggi del vecchio regime, ma anche al fatto che il passaggio del tempo aveva reso estremamente complesse le indagini su fatti commessi molti anni prima.

Nel preambolo, la legge afferma che “il Partito comunista della Cecoslovacchia, la sua leadership e i suoi membri sono responsabili del sistema di governo in questo Paese tra il 1948 e il 1989, e in particolare per la sistematica violazione dei valori tradizionali della civiltà europea, per la dolosa violazione dei diritti e delle libertà dell’uomo, per la decadenza morale ed economica, il tutto accompagnato da crimini giudiziari e da misure di terrore contro coloro che esprimevano opinioni diverse; essi sono altresì responsabili per la sostituzione di una florida economia di mercato con l’economia di piano, per la distruzione dei principi tradizionali della proprietà, per l’abuso dell’insegnamento, dell’educazione, della scienza e della cultura in nome di finalità politiche ed ideologiche, e per la distruzione indiscriminata dell’ambiente…”. Successivamente la legge afferma che il regime comunista è da considerarsi “criminale, illegittimo e disprezzabile”. Per tali motivi, è da ritenersi “giusto, giustificabile da un punto di vista morale ed encomiabile” il comportamento dei cittadini che si sono opposti, in diversi modi, a tale regime: queste persone “meritano compassione e risarcimento morale”.

“Oltre a formulare la condanna morale del regime in una maniera così emozionale e

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DE VERGOTTINI G., Oltre il dialogo tra le Corti. Giudici, diritto straniero, comparazione, il Mulino, Bologna, 2010, pagg. 93-94.

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Cfr. KOSAŘ D., Lustration and Lapse of Time: “Dealing With the Past” in the Czech Republic, in European Constitutional Law Review, n. 4, 2008, pag. 472; si veda altresì la sentenza 23 marzo 2001, Streletz, Kessler e Krenz c. Germania.

826 Decisione del 27 luglio 2004, Sidabras e Dziautas c. Lituania. A questa seguono poi le sentenze 7 aprile 2005, Rainys e Gasparavicious c. Lituania; 14 febbraio 2006, Turek c. Slovacchia; 16 marzo 2006, Zdanoka c. Lettonia; 24 aprile 2007, Matyjek c. Polonia; 17 luglio 2007, Bobek c. Polonia.

827 Si veda K

OSAŘ D., Lustration and Lapse of Time: “Dealing With the Past” in the Czech Republic, cit., pagg. 472- 473 e 478.

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Tale legge aveva il medesimo scopo della legislazione sui crimini dello Stalinismo in Polonia e della legge “Zétényi” in Ungheria.

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virulenta che non si riscontra in altri Paesi”829, la legge indica alcune precise conseguenze giuridiche. Viene stabilita, in particolare, la sospensione del decorso dei termini di prescrizione per i crimini commessi tra il 1948 e il 1989 che non vennero perseguiti per ragioni politiche “incompatibili con i principi fondamentali dell’ordinamento giuridico di uno Stato democratico”.

Le critiche, spesso durissime, alla legge non tardarono ad arrivare: oltre a ritenere tale provvedimento illegittimo in quanto basato sul principio della responsabilità collettiva, ciò che veniva contestato era che la legge non tenesse conto dell’“evoluzione” di diversi esponenti del regime. E’ stato, infatti, evidenziato che “molti di coloro che erano comunisti attivi ed impegnati negli anni Quaranta e Cinquanta, divennero “comunisti riformatori” negli anni Sessanta e parteciparono, nel 1968, al movimento di riforma della Primavera di Praga. La maggior parte di costoro vennero espulsi dal Partito dopo il 1968, dovendo spesso soffrire dure privazioni. Alcuni divennero dissidenti di spicco e guidarono la Rivoluzione di Velluto”830. Insomma, la legge non faceva differenza “tra gli stalinisti duri e puri... e i riformatori come Dubček...”831.

Poco tempo dopo la sua entrata in vigore, la legge venne impugnata dinanzi alla Corte costituzionale da parte di un gruppo di 41 parlamentari. Il 21 dicembre 1993, nella sua prima sentenza832, il giudice costituzionale dichiarò la legittimità costituzionale dell’intero provvedimento. Sono tre i punti attorno ai quali si articola il ragionamento della Corte. Quest’ultima affronta, innanzitutto, l’obiezione secondo cui l’art. 2 c. 1 della legge risulta essere incostituzionale nella parte in cui si afferma che il regime politico tra il 1948 e il 1989 era illegittimo. Secondo i ricorrenti, infatti, la legittimità di tale regime si fonda “sul principio della continuità del diritto, data dalla ricezione delle norme giuridiche interne e dalla continuità degli obblighi internazionali del periodo del “vecchio regime””. Secondo la Corte, al fine di valutare la fondatezza di tale obiezione, è necessario fare riferimento ai principi su cui si fondano la Costituzione e l’ordinamento costituzionale della Repubblica ceca. Il giudice delle leggi inizia la propria argomentazione sostenendo la “debolezza” della “tradizione positivistica” tipica delle Costituzioni del periodo tra le due Guerre Mondiali: “le Costituzioni costruite su tali basi sono neutrali a livello di valori. Esse costituiscono una cornice istituzionale e processuale che può essere riempita da contenuti politici molto diversi tra loro, dal momento che criterio di costituzionalità è dato dall’osservanza dalla cornice giurisdizionale e processuale delle istituzioni e delle procedure costituzionali, dunque criteri di natura formale-razionale. […] Nel 1948, [tale concezione] ha permesso, attraverso l’osservanza formale delle procedure costituzionali, di legittimare il colpo di stato di febbraio”.

La Corte procede nel suo ragionamento sostenendo che, in seguito al crollo dei regimi nazista (in Germania) e comunista (in Cecoslovacchia), è emersa la “consapevolezza del fatto che l’ingiustizia rimane tale anche se si nasconde dietro alla legge”. Secondo il giudice costituzionale, la nuova Costituzione del 1993 “non si fonda sulla neutralità dei valori, non è una mera definizione di istituti e procedimenti, ma incorpora nel proprio testo anche alcune idee regolatrici, che esprimono i valori fondamentali e inviolabili di una società democratica. La Costituzione ceca accetta e rispetta il principio di legalità quale parte della concezione generale dello Stato di diritto; il diritto positivo, tuttavia, non obbliga solo alla legalità formale; al contrario, l’interpretazione e l’applicazione delle norme giuridiche sono subordinate ai loro fini sostanziali, il diritto si deve rapportare al rispetto dei valori fondamentali di una società democratica e a tali valori va commisurato l’utilizzo delle norme giuridiche. Ciò significa che anche quando vi è una continuità delle “vecchie leggi”, sussiste una discontinuità di valori rispetto al “vecchio regime”. Tale

829 D

I GREGORIO A., Repubblica ceca, cit., pag. 44. 830

SCHWARTZ H., The Czech Constitutional Court Decision on the Illegitimacy of the Communist Regime, in Parker School Journal of Eastern European Law, vol. 1, 1994, pag. 393.

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SIKLOVA J.,Lustration or the Czech Way of Screening, in East European Constitutional Review, 1996, pag. 252. 832

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concezione dello Stato costituzionale rifiuta la legittimità razionale-formale del regime e dello Stato di diritto formale. Indipendentemente da quali siano le leggi, in uno Stato che si definisce democratico e che proclama il principio della sovranità del popolo, l’unico regime legittimo che può esistere è il regime democratico”833. Si può notare, dunque, come sin dalla sua prima sentenza la Corte affermi in maniera equivocabile una concezione materiale dello Stato di diritto834.

L’obiettivo principale dei ricorrenti riguardava, tuttavia, l’art. 5 della legge 198/1993, secondo il quale “nel termine per la prescrizione dei reati non si calcola il periodo che va dal 25 febbraio 1948 al 29 dicembre 1989, poiché per ragioni politiche incompatibili con i principi fondamentali dell’ordine giuridico dello Stato democratico non vi sono state condanne o proscioglimenti legittimi”. Tale disposizione, secondo i parlamentari, costituiva una violazione sia del principio della certezza del diritto sia del divieto di retroattività delle norme penali, salvo quelle più favorevoli per il reo. Dopo aver sottolineato il fatto che le ripetute violazioni dei diritti fondamentali venivano effettuate anche dagli stessi organi che, in teoria, avrebbero dovuto occuparsi della tutela della legalità, la Corte sancisce la legittimità costituzionale dell’articolo, affermando, in particolare, che “una componente indispensabile della prescrizione in materia penale consiste nella volontà, nello sforzo e nella prontezza da parte dello Stato di perseguire il crimine. Senza tali requisiti, tale istituto giuridico non è completo e non può raggiungere il suo scopo. Questo può essere raggiunto solamente se vi è stata l’azione combinata e prolungata di due elementi: la volontà e lo sforzo da parte dello Stato di punire il colpevole e il rischio costante che questi possa essere punito. Solo in tal modo la prescrizione acquista un vero significato. Se, invece, lo Stato non ha la volontà di perseguire penalmente determinati criminali o determinati reati, la prescrizione è inutile: in tali casi, infatti, il decorso del termine di prescrizione in realtà non esiste, e dunque la prescrizione è in sé fittizia”. La Corte prosegue il suo ragionamento sostenendo che la presunta certezza del diritto dei colpevoli di reati non puniti per ragioni politiche, in realtà rappresenta una “fonte di incertezza giuridica per i cittadini... Nel contrasto tra questi due tipi di certezza, la Corte costituzionale dà la priorità alla certezza della società civile, che corrisponde all’idea dello Stato di diritto. Una soluzione diversa significherebbe attribuire al regime totalitario la natura di Stato di diritto, un segnale rischioso per il futuro: sarebbe il segno che il crimine può divenire non più tale, fintantoché sia organizzato a livello di massa e si perpetui per un lungo periodo di tempo sotto la protezione di un’organizzazione autorizzata dallo Stato”835.

Il terzo punto affrontato dalla Corte riguarda l’art. 6 della legge, il quale attribuisce al giudice il potere di annullare o ridurre la pena precedentemente inflitta per i crimini che non erano stati inclusi nella legge 119/1990 sulle riabilitazioni giudiziarie. Secondo quanto previsto dalla legge, il giudice può esercitare tale potere qualora nel corso di un procedimento venga provato che le azioni dell’imputato erano finalizzate a proteggere – con mezzi non sproporzionati – i diritti fondamentali. I ricorrenti avevano impugnato tale disposizione ritenendola discriminatoria e in contrasto con il principio costituzionale dell’eguaglianza di tutte le persone dinanzi alla legge, nonché con il principio dell’art. 40 c. 6 della Carta dei diritti e delle libertà fondamentali, nel quale viene sancito il divieto di retroattività della legge penale. Anche in questo caso il giudizio della

833 Corsivo nostro. 834 H

UBENY-BELSKY A., Le changement de régime politique en République tchéque (1989-2000): la place du droit constitutionnel, Presses Universitaires de la Faculté de Droit de Clermont-Ferrand, Clermont-Ferrand, 2003, pag. 452. 835

Nel 1992, decidendo sulla legittimità costituzionale della legge relativa ai gravi crimini (non perseguiti per ragioni politiche) commessi tra il 21 dicembre 1944 e il 2 maggio 1990, la Corte costituzionale ungherese aveva adottato un approccio diametralmente opposto. Secondo il giudice costituzionale, infatti, solamente le norme in vigore al tempo in cui venne perpetrato il crimine contestato potevano essere applicate, compreso il regime sulla prescrizione allora in vigore: “una volta decorso il termine per la prescrizione, l’imputato ha acquisito il diritto… di non essere punito” (sentenza 2086/A/1991/14). Cfr. SCHWARTZ H., The Czech Constitutional Court Decision on the Illegitimacy of the Communist Regime, cit., pag. 397.

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Corte è netto. Il giudice costituzionale, infatti, ritiene che i reati finalizzati alla tutela dei diritti umani erano interpretati come atti contro il regime, e di conseguenza puniti in maniera estremamente severa. Per questa ragione, “la riconsiderazione di tali sentenze… non costituisce una violazione, ma il ripristino del principio di eguaglianza, attraverso una ragionevole riduzione o eventuale cancellazione della pena”.

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