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Rimediare alle ingiustizie: la Corte e le leggi sulla restituzione della proprietà

La terza generazione: il caso della Corte costituzionale della Repubblica ceca

4. L’azione della Corte costituzionale: tra “giustizia di transizione” e tutela dei diritti fondamentali.

4.1.4. Rimediare alle ingiustizie: la Corte e le leggi sulla restituzione della proprietà

In seguito al crollo del regime comunista, una delle priorità, per gli ordinamenti dell’Europa centrale e orientale, fu quella di garantire il passaggio da un modo di produzione collettivistico, basato sulla statalizzazione dei mezzi di produzione, ad un’economia di mercato857. Anche in Cecoslovacchia, subito dopo la Rivoluzione di Velluto, la volontà delle forze politiche era quella di assicurare una rapida transizione all’economia di mercato, nella quale il settore privato avrebbe dovuto giocare un ruolo fondamentale. Va ricordato come, alla fine degli anni Ottanta, la Cecoslovacchia era una delle economie più centralizzate tra i Paesi comunisti. A differenza, infatti, di ordinamenti quali la Germania e l’Ungheria (dove le piccole imprese erano tollerate) o la Polonia (dove era preservata la proprietà privata della terra), in Cecoslovacchia il settore privato, ad eccezione del mercato nero, era praticamente scomparso: quasi il 100% dell’economia del Paese si trovava infatti nelle mani del settore pubblico. La privatizzazione divenne, dunque, uno dei principali obiettivi del nuovo Governo858.

Le questioni relative alla transizione ad una economia di mercato e alla privatizzazione erano strettamente collegate ai provvedimenti adottati dal Parlamento federale volti a riparare i torti

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ROBERTSON D., A Problem of Their Own, Solutions of Their Own: CEE Jurisdictions and the Problems of Lustration and Retroactivity, in SADURSKI W., CZARNOTA A., KRYGIER M. (a cura di), Spreading Democracy and the Rule of Law? The Impact of EU Enlargement on the Rule of Law, Demoracy and Constitutionalism in Post-Communist Legal Orders, Springer, Dordrecht, 2006, pag. 89.

855 Questa decisione si spiega anche in ragione del fatto che tale provvedimento è stato emanato cinque anni dopo l’inizio del processo di transizione, a differenza della Repubblica cecoslovacca, dove la legge venne adottata pochissimo tempo dopo la Rivoluzione di Velluto.

856 A

DAM A., Il sistema di governo parlamentare in Ungheria, in GAMBINO S.(a cura di), Costituzionalismo europeo e transizioni democratiche, cit., pag. 242.

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Si pensi, ad esempio, che il preambolo della Costituzione ungherese, così come revisionata nel 1989, faceva esplicito riferimento al passaggio ad una “economia sociale di mercato”, e l’art. 9 affermava che “l’economia ungherese si fonda sull’economia di mercato, nella quale alla proprietà privata e a quella pubblica è garantita uguale tutela”. Per quel che riguarda la Repubblica ceca, invece, va detto che la Costituzione del 1993 non si pronuncerà direttamente sulle scelte di assetto complessivo, anche se l’art. 11 della Carta dei diritti e delle libertà fondamentali sancisce il diritto di ciascuno alla proprietà privata.

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Cfr. KRAUS M., Settling Accounts: Postcommunist Czechoslovakia, in KRITZ N.J.(a cura di), Transitional Justice: How Emerging Democracies Reckon with Former Regimes, cit., pag. 569.

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commessi dal regime comunista tra 1948 e il 1989. Nell’aprile del 1990, in particolare, venne approvata la legge 119/1990 sulle riabilitazioni giudiziarie, la quale permetteva ai cittadini cecoslovacchi che erano stati imprigionati per ragioni politiche di richiedere che la sentenza del tribunale che li riguardava venisse dichiarata nulla, ed inoltre consentiva ad essi di richiedere allo Stato una compensazione di tipo economico per il danno sofferto. Dal momento che spesso il regime aveva operato una confisca delle proprietà, parve necessario includere tra le forme di compensazione anche la restituzione delle proprietà stesse.

La prima legge sulla restituzione della proprietà riguardò il clero. I comunisti, infatti, avevano proceduto all’arresto di un numero elevatissimo di preti e di suore, ed avevano contestualmente confiscato le proprietà della Chiesa, come chiese, parrocchie e monasteri. Con tale provvedimento, approvato nel giugno del 1990, vennero restituite alcune di tali proprietà859. Successivamente fu approvata una legge sull’eliminazione delle conseguenze di alcune ingiustizie che riguardavano la proprietà, concernente circa 70.000 piccole imprese e immobili nazionalizzati tra il 1955 e il 1961. Nel febbraio 1991, poi, venne adottata la legge sulle riabilitazioni extra- giudiziarie, la quale prevedeva forme di compensazione per coloro che erano stati dimessi dal lavoro, condannati senza un processo o costretti dal tribunale a vendere le loro proprietà o a “donarle” allo Stato. Essa sanciva in particolare la restituzione ai precedenti proprietari delle proprietà nazionalizzate o confiscate dai comunisti tra il 1948 e il 1989, ovvero una compensazione finanziaria qualora la restituzione in natura non fosse stata possibile860.

L’adozione di tali provvedimenti (in particolare la legge sulle riabilitazioni extra-giudiziarie) diede vita ad ampi dibattiti. La questione più spinosa riguardava senza dubbio il periodo a cui estendere le restituzioni, vale a dire se farlo iniziare dal giorno del colpo di stato comunista (25 febbraio 1948), oppure se includere anche il triennio precedente (maggio 1945-febbraio 1948). In quest’ultimo periodo, infatti, l’allora Presidente cecoslovacco Beneš aveva proceduto ad un’opera di nazionalizzazione riguardante l’industria pesante, le banche e i trasporti. Alla fine si decise di limitarsi agli anni del regime comunista, in considerazione del fatto che gli atti di nazionalizzazione del triennio precedente erano stati adottati “da un Governo legittimo, sulla base di decreti presidenziali e nel rispetto della Costituzione cecoslovacca del 1920”861. Inoltre, qualora fosse stato deciso altrimenti, si sarebbe riaperta la questione relativa alla compensazione dei tre milioni di tedeschi dei Sudeti espulsi dalla Cecoslovacchia dopo la guerra: questi ultimi avrebbero, infatti, certamente richiesto di venire risarciti per le confische effettuate in quel periodo, e con ogni probabilità sarebbe riemersa la questione della responsabilità della guerra.

Un’altra questione ampiamente dibattuta riguardò la titolarità a chiedere la restituzione dei beni. Si decise di escludere le istituzioni e i partiti politici, e di ricomprendere, dunque, solamente le persone fisiche. Queste ultime includevano, in particolare, i proprietari originali, gli eredi e i parenti. E’ interessante notare come le leggi di restituzione della proprietà non si applicavano agli immigrati, a meno che questi non avessero decisero di stabilirsi in modo permanente nel Paese e di optare per la cittadinanza cecoslovacca. L’argomento principale utilizzato per giustificare tale scelta riguardava il fatto che lo Stato non aveva le risorse sufficienti per soddisfare le richieste provenienti dall’estero, e che comunque una decisione di questo tipo avrebbe messo a repentaglio il processo di privatizzazione nel suo insieme.

Una terza questione piuttosto controversa concerneva la forma della restituzione. Le opzioni praticabili erano tre: la prima consisteva nella restituzione della proprietà nella sua forma originale,

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Cfr. KRAUS M., Settling Accounts: Postcommunist Czechoslovakia, cit., pagg. 575-576. 860 Su tale provvedimento si veda N

EFF M., Eastern Europe’s Policy of Restitution of Property in the 1990’s, in KRITZ N.J.(a cura di), Transitional Justice: How Emerging Democracies Reckon with Former Regimes, cit., pag. 579 ss. 861

CEPL W., A Note on the Restitution of Property in Post-Communist Czechoslovakia, in KRITZ N.J. (a cura di), Transitional Justice: How Emerging Democracies Reckon with Former Regimes, cit., pag. 582.

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vale a dire la restituzione in natura; la seconda era data da una compensazione di tipo monetario; la terza, infine, prevedeva il rilascio di vouchers o coupons da scambiare con quote delle imprese che dovevano essere privatizzate. Dopo lunghi dibattiti, si decise di optare per la prima soluzione, vale a dire la restituzione in natura, la quale doveva essere praticata tutte le volte che era materialmente possibile. Numerose erano le ragioni che spinsero i parlamentari ad accogliere tale soluzione: tra queste vi era “la sua apparente semplicità, la soddisfazione morale che avrebbe dato a coloro che si sarebbero visti restituire la loro proprietà che era stata confiscata in passato, e le perplessità sul futuro valore della corona cecoslovacca; inoltre, vi era il timore che le proprietà statali vendute invece che distribuite in base alla restituzione in natura sarebbero cadute nelle mani di una nuova classe di privati proprietari, in gran parte provenienti dalla vecchia nomenklatura, i quali, a differenza dei comuni cittadini, avevano denaro a sufficienza per fare affari in tal modo”862.

Le politiche restitutorie rappresentarono uno strumento efficace di passaggio della proprietà dallo Stato ai privati: se infatti, come già ricordato, il settore privato nel 1989 era sostanzialmente inesistente, nel 1991, grazie in gran parte alle re-privatizzazioni, esso ammontava all’8,3% del Pil863. Attraverso le leggi sulla restituzione della proprietà, dunque, vennero raggiunti due obiettivi: da un lato riparare (quantomeno parzialmente) ai torti commessi in passato dal regime, dall’altro favorire la transizione ad un’economia di mercato.

La Corte costituzionale della Repubblica ceca si è pronunciata a più riprese sulla legittimità costituzionale delle leggi riguardanti la restituzione delle proprietà, mostrando, in linea generale, una certa “deferenza nei confronti delle soluzioni adottate dal legislatore”864. Essa, infatti, non ha ritenuto in contrasto con la Carta costituzionale una serie di disposizioni che erano state impugnate: si pensi, ad esempio, al criterio della nazionalità865, alla restrizione di determinate condizioni di risarcimento per le persone giuridiche866, alla limitazione temporale delle pretese di restituzione all’inizio del regime comunista (ritenendo così legittima l’esclusione del triennio 1945-1948)867, al trattamento preferenziale garantito ai singoli contadini nel caso di trasferimento di terra agricola868, nonché alla differenziazione tra le diverse categorie di eredi dei beneficiari originali869. La Corte si è pronunciata altresì sulla forma della restituzione, confermando le scelte del legislatore: “di norma la preferenza deve essere data al trasferimento del lotto, o dei lotti, originali di terreno, sempre che colui che è chiamato alla restituzione adempia all’obbligo e che la legge non lo vieti”870.

Si registrano, tuttavia, alcune eccezioni, come quando la Corte ha ritenuto incostituzionale escludere dal risarcimento i cittadini che non soddisfacevano il requisito della residenza permanente sul territorio della Repubblica ceca871.

Alla base delle argomentazioni della Corte nelle sentenze poc’anzi citate vi era l’idea che i processi di nazionalizzazione e di confisca posti in essere dal regime comunista risultassero del tutto incompatibili con i principi e i valori espressi dalla nuova Carta costituzionale: per tale ragione, la restituzione era considerata “l’eliminazione dell’illegittimità dei trasferimenti proprietari”, e rifletteva “il dovere di ricostituire l’assetto giuridico originale della proprietà”872. La restituzione,

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CEPL W., A Note on the Restitution of Property in Post-Communist Czechoslovakia, cit., pag. 583. 863 K

RAUS M., Settling Accounts: Postcommunist Czechoslovakia, cit., pagg. 586-587. 864

PROCHÁZKA R., Mission Accomplished: on Founding Constitutional Adjudication in Central Europe, cit., pag. 149. 865 Pl US 33/96. 866 Pl US 46/95. 867 Pl US 45/97. 868 Pl US 15/99. 869 Pl US 47/95. 870 I. US 754/01. 871 Pl US 3/94. 872 Pl US 16/93.

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rappresentava un momento centrale del processo di democratizzazione del Paese: esso, infatti, era “elemento costitutivo della trasformazione politica, economica e sociale”873.

La Corte si preoccupa, poi, di indicare le modalità attraverso cui dare attuazione a questo tipo di provvedimento: “non deve essere adottato un approccio troppo restrittivo o troppo formalistico, ma, al contrario, [le leggi] devono essere applicate in maniera particolarmente accorta, tenendo sempre in considerazione le circostanze del caso, e soprattutto… il fine e il significato del provvedimento”. Secondo il giudice costituzionale, infatti, “se sono possibili diverse interpretazioni… l’attenzione deve essere focalizzata su quello che è lo scopo della disposizione. Nel caso della legge 87/1991, il suo fine consiste senza dubbio nella volontà di alleviare le conseguenze di determinate ingiustizie concernenti la proprietà commesse dal regime totalitario […] La ratio legis delle leggi sulla restituzione è quella di porre rimedio, quantomeno in parte, alle conseguenze della violazione dei diritti fondamentali… avvenuta nel corso del regime totalitario”874.

Di particolare interesse sono poi le sentenze della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo contro la Repubblica ceca proprio in materia di restituzione della proprietà. Secondo la Corte di Strasburgo, le leggi sulla restituzione, nel voler attenuare le conseguenze di determinate violazioni del diritto alla proprietà causate dal regime comunista, perseguono uno scopo legittimo e rappresentano uno strumento volto a tutelare lo sviluppo socio-economico del Paese. Al tempo stesso, tuttavia, la Corte EDU si raccomanda che “l’attenuazione dei danni passati non determini nuove sproporzionate ingiustizie”875. In effetti, i giudici di Strasburgo hanno rilevato in alcuni casi la violazione dell’art. 1 del primo protocollo, il quale sancisce, per l’appunto, la protezione della proprietà. Si consideri, ad esempio, il caso Pincová e Pinc c. Repubblica ceca, il quale si riferisce a due individui che avevano acquistato una casa nel 1976 (vale a dire durante il regime comunista) ad un prezzo inferiore a quello che era il suo valore effettivo. Tale abitazione era stata confiscata dallo Stato nel 1948 ai legittimi proprietari. Il c. 8 della legge 229/1991 (così come emendato dalla legge 195/1993) stabiliva che coloro che erano obbligati a restituire la proprietà avevano diritto ad ottenere il rimborso per l’acquisto e per i costi sopportati per la sua manutenzione. La Corte EDU ha riconosciuto le argomentazioni dei ricorrenti, secondo le quali essi avevano acquistato la casa in buona fede, senza sapere che era stata precedentemente confiscata e che il prezzo pagato nel 1976, che era stato restituito loro quale rimborso, non corrispondeva in alcun modo al valore della casa trent’anni dopo. I giudici di Strasburgo ritengono quindi violato l’art. 1 del primo protocollo, condannando lo Stato al pagamento dei danni876. De facto, dunque, secondo la Corte EDU non era stato trovato un giusto bilanciamento tra la necessità di alleviare le ingiustizie verificatesi durante il passato comunista e il riconoscimento dei diritti degli attuali proprietari.

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