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La prima generazione: il caso della Corte costituzionale italiana

5. Riflessioni conclusive

5.1. La Corte costituzionale nella transizione democratica: un organo “di rottura”...

In Italia il processo di transizione democratica è stato particolarmente lungo e complesso. Alla transizione in senso “formale”, terminata con l’entrata in vigore della Costituzione il 1° gennaio 1948, è seguito un periodo, durato ben otto anni (dal 1948 al 1956), in cui molte norme costituzionali (sia della Prima sia della Seconda Parte della Costituzione) non trovavano effettiva applicazione. Una delle ragioni principali che spiegano le difficoltà di attuazione della Costituzione va individuata nella situazione di “guerra fredda” internazionale che caratterizzò quel periodo storico e nei suoi riflessi sulla politica interna italiana (si pensi all’“ostruzionismo di maggioranza”, alla conventio ad excludendum...); un altro importante motivo, poi, va ricercato nel fatto che il sindacato diffuso di costituzionalità, che doveva “fare le veci” della Corte costituzionale fintantoché questa non avesse iniziato la propria attività, funzionò poco e male: le supreme magistrature, in modo particolare, attribuirono spesso carattere meramente programmatico alle norme costituzionali, impedendo a queste di determinare l’abrogazione delle leggi fasciste in contrasto con la Costituzione. In questo senso si può dire che il sindacato diffuso rappresentò una sorta di “canale di continuità” tra Fascismo e post-Fascismo444. L’Italia, insomma, si trovava in una “zona politica grigia”445, nel senso che pur essendosi dotata di una Costituzione democratica e pur avendo compiuto importanti passi in avanti nel processo di democratizzazione (primo fra tutti la celebrazione di elezioni libere a suffragio universale), essa continuava a presentare alcuni tratti tipici di un regime autoritario, fra cui soprattutto, come appena detto, la forte restrizione di molti diritti fondamentali.

L’iter per l’entrata in funzione della Corte costituzionale fu anch’esso estremamente lungo e complicato: ai dibattiti concernenti l’approvazione della l. cost. 1/1953 e della legge 87/1953, seguirono, poi, le difficoltà riguardanti la nomina dei primi giudici costituzionali da parte del Parlamento. La situazione di stallo relativa a tale nomina venne sbloccata grazie anche all’intervento dell’allora Presidente della Repubblica Gronchi, il quale ebbe così modo di confermare il suo orientamento favorevole all’istituzione della Corte costituzionale.

E’ stato ricordato che Calamandrei, all’indomani della prima sentenza della Corte costituzionale, affermò: “La Costituzione si muove”446. In realtà, in considerazione della straordinaria importanza che tale pronuncia ebbe all’interno del processo di democratizzazione del Paese, si potrebbe modificare tale espressione e sostenere che “la Costituzione e la transizione si muovono”. Con tale decisione, infatti, il giudice delle leggi dichiarò per la prima volta l’illegittimità costituzionale di una delle norme pre-costituzionali che maggiormente era in contrasto con i principi e i valori espressi dalla Costituzione, vale a dire il Testo unico delle leggi di pubblica sicurezza (TULPS). A partire da tale sentenza, la Corte iniziò un’opera, durata circa un quindicennio, di eliminazione dall’ordinamento della legislazione fascista contraria alla Carta del ’48. Questo lavoro di “epurazione”, che si articolò in modi e tempi molto diversi tra loro, costituì il “cuore” del processo di transizione “sostanziale”, e riguardò principalmente “i tre testi fondamentali della tirannia fascista”447, vale a dire il TULPS, il Codice penale e il Codice di procedura penale. Una delle caratteristiche che ha caratterizzato maggiormente l’attività della Corte, soprattutto nella sua prima fase, è data dal fatto che essa “si svolse… in uno spazio poco influenzato dagli

444

Parafrasando l’espressione di Pavone (si rinvia al par. 3.3.2.). 445 Riprendendo l’espressione di Carothers (si rinvia al Cap. 1 par. 3.2). 446

Si rinvia al par. 4.2. 447

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orientamenti politici dominanti e poté farsi invece portatrice di tendenze culturali del tipo di quelle che avevano esercitato un ruolo di rilievo dell’ambito dell’Assemblea costituente”448. Va sottolineato, inoltre, che se dell’attività di eliminazione delle leggi fasciste se ne occupò quasi esclusivamente la Corte costituzionale è stato in ragione del fatto che i giudici (e segnatamente quelli di rango inferiore), in caso di contrasto tra legge precostituzionale e Costituzione, preferirono sollevare la questione di legittimità alla Corte costituzionale, invece che disapplicare essi stessi, considerandole abrogate dalla Costituzione, disposizioni delle vecchie leggi449.

Tradizionalmente si ritiene che le tre date più significative del processo di transizione italiana siano state il 25 luglio 1943 (caduta di Mussolini), il 2 giugno 1946 (referendum istituzionale ed elezione dell’Assemblea costituente) e il 1° gennaio 1948 (entrata in vigore della Costituzione repubblicana). A questi momenti pare opportuno aggiungere anche il 14 giugno 1956, giorno in cui viene emanata la prima sentenza della Corte costituzionale. Al pari delle altre, infatti, questa data rappresenta una fortissima rottura con il passato ed il passaggio da un prima ad un dopo: il “prius” è dato dalla perdurante applicazione della legislazione fascista in nome della continuità dello Stato, mentre il “posterius” dall’opera di smantellamento di tale legislazione e da una sempre maggiore attuazione delle norme costituzionali.

La Corte costituzionale fu oggetto, tuttavia, di dure critiche da parte di diversi Autori, i quali rimproveravano a tale organo una eccessiva “prudenza”, “timidezza”, o addirittura una deliberata volontà di mantenere in vigore la legislazione fascista, anche nei casi in cui questa risultava essere in aperto contrasto con la Costituzione. In effetti non mancano le sentenze (soprattutto quelle “interpretative di rigetto”) nelle quali la Corte si è sforzata di trovare un’interpretazione conforme a Costituzione, quando questa, in realtà forse nemmeno esisteva davvero. Va rilevato, in ogni caso, come il giudice costituzionale, assieme a parte della dottrina, abbia proposto sin dalle sue prime pronunce un canone ermeneutico “innovativo” che si sarebbe poi consolidato nella letteratura giuridica e nella giurisprudenza della magistratura apicale ordinaria e amministrativa solo negli anni Sessanta e Settanta: mettendo tra parentesi le norme sull’interpretazione della legge contenute nelle preleggi, la Corte ha sottolineato infatti la necessità di ricercare la coerenza dell’ordinamento sul piano costituzionale e di privilegiare – fin quanto possibile – l’interpretazione adeguatrice delle leggi alla Costituzione450.

5.2. ... e “controcorrente”

Il ruolo della Corte deve essere valutato altresì tenendo in considerazione il fatto che essa si trovava quasi sempre a dover prendere delle decisioni in aperto contrasto rispetto a quello che era l’orientamento prevalente, di tipo conservatore, del Governo, della maggioranza parlamentare e delle supreme magistrature (Corte di Cassazione in primis). In più di un’occasione l’esecutivo manifestò, infatti, la volontà di non dare attuazione alle norme costituzionali: in questo senso è sufficiente pensare all’ostruzionismo posto in essere dal Ministro dell’Interno relativamente alla stipula delle intese con i culti acattolici. Non va dimenticato, poi, il fatto che sin dalla sentenza 1/1956 il Presidente del Consiglio sia intervenuto in giudizio al fine di sostenere la mancanza di competenza della Corte costituzionale a sindacare la legittimità di norme anteriori alla Costituzione, e al fine di difendere, anche nel merito, le leggi fasciste.

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PIZZORUSSO A., Le stagioni della Costituzione, cit., pagg. XL-XLI.

449 Ciò è avvenuto nonostante la Corte costituzionale non abbia mai affermato “in modo netto, e comunque vincolante per i giudici, la propria esclusiva competenza a risolvere tutte le questioni di compatibilità fra Costituzione e leggi anteriori” (ONIDA V., L’attuazione della Costituzione tra magistratura e Corte costituzionale, cit., pag. 523). Si rinvia altresì al par. 4.2.

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Al pari del Governo, anche la maggioranza parlamentare ha mostrato un atteggiamento decisamente conservatore. Oltre a non sostituire la legislazione fascista in contrasto con la Costituzione (si pensi ai progetti di riforma del TULPS451), il Parlamento spesso non emanava le leggi di attuazione richieste dalla Costituzione. Al riguardo, si ricordi il caso dell’art. 40 Cost.: vista l’inerzia del legislatore, infatti, la Corte ha svolto una funzione di “supplenza” rispetto allo stesso, indicando nelle sue pronunce la definizione di sciopero, i suoi limiti e le sue finalità consentite.

In relazione, invece, al potere giudiziario, è necessario distinguere. Da un lato, infatti, sin dall’entrata in vigore della Costituzione, i giudici comuni si sono dimostrati, in linea generale, piuttosto aperti ai principi e ai valori espressi dalla Carta fondamentale; tale apertura, poi, verrà confermata dal fatto che, una volta entrata in funzione la Corte costituzionale, si creò tra questa e i giudici comuni stessi una solida “alleanza”452 finalizzata a dare attuazione alla Costituzione. D’altro lato, l’atteggiamento delle supreme magistrature fu diametralmente opposto. Come ricordato, nel periodo 1948-1956 esse attribuirono natura programmatica a gran parte delle norme costituzionali che sancivano le libertà fondamentali dell’uomo, impedendo ad esse di determinare l’abrogazione delle leggi fasciste. Non va dimenticato, infatti, che fu proprio una pronuncia della Corte di Cassazione (7 febbraio 1948) ad introdurre la distinzione tra norme programmatiche e norme precettive. Una volta entrata in funzione la Corte costituzionale, poi, in numerose occasioni la Cassazione, al fine di impedire il sindacato di costituzionalità, dichiarò la manifesta infondatezza di questioni che, invece, meritavano di essere discusse453.

Nella sua prima “stagione”, insomma, la Corte costituzionale pareva il più delle volte una barca costretta a navigare controcorrente: tale compito era tanto più difficile quanto più si considera che le correnti contrarie erano costituite dai tre poteri “tradizionali” dello Stato, presenti nel Paese da lunghissimo tempo, e dunque forti anche delle loro origini e della loro “auctoritas”. Dal canto suo, invece, la Corte, entrata in funzione tra mille difficoltà, rappresentava un’assoluta novità nel sistema giuridico italiano, apparendo spesso quasi come un “outsider”454. A ciò si aggiunga il fatto

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Si precisa, comunque, che è la stessa Corte costituzionale ad “appoggiarsi” nelle sue decisioni all’esistenza di tali progetti: “del resto, la scarsa aderenza di alcune disposizioni della legge di p.s. ai principi e alle norme della Costituzione sopravvenuta ha già da molto tempo indotto gli organi competenti a studiare una conveniente revisione della legge di p.s.; e parecchi disegni di legge sono stati a questo scopo presentati così alla Camera dei Deputati come al Senato della Repubblica” (sent. 1/1956).

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Secondo l’espressione di Onida (si rinvia al par. 4.2.). 453

Cfr. TRANFAGLIA N., Per una storia politica della Corte costituzionale, cit., pag. 265; ROMBOLI R., I rapporti tra giudici comuni e Corte costituzionale nel controllo sulle leggi in via incidentale in Italia: l’esperienza di 50 anni di giurisprudenza costituzionale, in MEZZETTI L., MAC-GREGOR F., Diritto processuale costituzionale, Cedam, Padova, 2010, pagg. 420-421. Per quel che concerne i rapporti tra Corte costituzionale e magistratura, di grande importanza fu il Congresso dell’Associazione Nazionale Magistrati tenutosi a Gardone nel 1965. La mozione finale del Congresso, infatti, votata all’unanimità, afferma che è dovere del giudice: “1) Applicare direttamente le norme della Costituzione, quando ciò sia tecnicamente possibile in relazione al fatto concreto controverso; 2) Rinviare all’esame della Corte costituzionale, anche d’ufficio, le leggi che non si prestino ad essere ricondotte, nel momento interpretativo, al dettato costituzionale; 3) Interpretare tutte le leggi in conformità ai principi contenuti nella Costituzione, che rappresentano i nuovi principi fondamentali dell’ordinamento giuridico statuale” (ASSOCIAZIONE NAZIONALE MAGISTRATI, XII Congresso nazionale. Brescia-Gardone 25-28-IX 1965. Atti e commenti, Arti grafiche Jasillo, Roma, 1966).

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Sui rapporti tra Corte costituzionale e i tre poteri dello Stato paiono emblematiche le dichiarazioni (riportate su Giur. cost., 1960, pagg. 454-455) del 25 febbraio 1960 del Presidente del Senato Merzagora: “Non è certo manifestazione di ossequio al Parlamento la posizione presa recentemente dalla Corte costituzionale attraverso un settimanale, posizione con la quale essa si attribuisce funzioni “moderatrici” e “propulsive” delle Camere, tali che la porterebbero non soltanto al di fuori, ma al di sopra del Parlamento. Le stesse funzioni – secondo le dette autorevoli dichiarazioni – formerebbero con quelle, altissime, del Capo dello Stato – sul cui piano stesso la Corte si pone – i due, dico due, pretesi pilastri della nostra Costituzione. Ciò mi costringe a dichiarare… che se due fossero – e non sono – i pilastri dell’ordinamento costituzionale, essi, in una Repubblica democratica e parlamentare, sarebbero il Parlamento e il Governo, il che nulla toglie a quelle eminenti prerogative di custode della Costituzione che la Corte ha in comune con

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che le circostanze storiche in cui essa è stata creata erano radicalmente diverse rispetto a quelle delle Corti delle successive “generazioni”: queste ultime, infatti, (come si vedrà nei prossimi Capitoli) hanno potuto beneficiare “del momento di svolta relativo all’apertura dei sistemi giuridici nazionali all’influenza derivante dall’attività, anche interpretativa, degli organi sovranazionali e internazionali posti a tutela dei diritti fondamentali”455. Ed è dunque anche in ragione di tali notevoli difficoltà che il suo ruolo di rottura rispetto al passato deve essere esaltato; ciò giustifica, poi, anche il fatto che in determinate situazioni il giudice delle leggi abbia adottato delle decisioni non proprio “coraggiose” e abbia risentito del “timore reverenziale”456 nei confronti dei tre poteri tradizionali.

In conclusione, si può, dunque, affermare che l’Italia costituisca uno degli esempi per eccellenza di come il processo di transizione non termini con l’entrata in vigore della nuova Costituzione democratica. Quest’ultimo passaggio, pur di fondamentale importanza, segna l’inizio di una nuova fase, quella della transizione “sostanziale”, in cui i principi e i valori costituzionali devono trovare effettiva applicazione. L’entrata in funzione della Corte costituzionale ha segnato indubbiamente un punto di svolta nella transizione “sostanziale”, in quanto ha contribuito in modo decisivo, pur tra le incertezze e le difficoltà ricordate, a rendere l’Italia una democrazia consolidata.

il Capo dello Stato e alla deferente ed alta considerazione che essa merita per il suo poderoso e dotto lavoro…”. 455

POLLICINO O., Allargamento dell’Europa ad Est e rapporto tra Corti costituzionali e Corti europee. Verso una teoria generale dell’impatto interordinamentale del diritto sovranazionale?, cit., pag. 209.

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Capitolo 3

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