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La Direttiva 2013/30/UE sulla sicurezza delle operazioni in mare nel settore degli idrocarburi.

L’allarme suscitato da una serie di gravissimi incidenti, per lo più attinenti alla perforazione e all’estrazione di idrocarburi in mare (in particolare quello della piattaforma petrolifera

Deepwater Horizon nel Golfo del Messico)(79), ha spinto le istituzioni europee ad avviare un processo di radicale revisione della normativa in materia di sicurezza delle operazioni in mare nel settore degli idrocarburi al fine di adottare procedure di autorizzazione, controlli e sanzioni più rigorose e severe.

Il processo di revisione della normativa in materia di idrocarburi ha avuto inizio con la Comunicazione della Commissione europea del 13 ottobre 2010(80) cui è seguita la Decisione 2013/5/UE del Consiglio, del 17 dicembre 2012(81) con la quale l’Unione Europea ha aderito al Protocollo Offshore del 14 ottobre 1994, in attuazione della Convenzione per la protezione del Mar Mediterraneo dai rischi dell’inquinamento del 1976 (Convenzione di Barcellona)(82).

79 La piattaforma Deepwater Horizon, di proprietà della società inglese British Petroleum, era adibita alla perforazione e all’estrazione petrolifera nel Golfo del Messico. Il 20 aprile 2010 un’esplosione ha provocato un gigantesco incendio e la concomitante fuoriuscita di idrocarburi. Oltre alla morte di undici lavoratori, l’incidente ha causato lo sversamento in mare di quasi 5 milioni di barili di petrolio determinando una vera e propria catastrofe ecologica. La fuoriuscita di petrolio è continuata per 106 giorni contaminando le acque e le coste di quattro Stati (Louisiana, Mississippi, Alabama e Florida). Quella della Deepwater Horizon è stata la catastrofe ambientale più grave della storia americana, superando di gran lunga la dispersione in mare del petrolio causato dall’incagliamento della superpetroliera Exxon Valdez nel 1989 nel Golfo dell’Alaska. Peraltro, l’incendio della

Deepwater Horizon non è stato l’unico incidente riguardante gli impianti di trivellazione in mare: si ricorda

l’incendio della piattaforma petrolifera messicana Ixtoc I nel Golfo del Messico che nel 1979 ha disperso 480.000 tonnellate petrolio in mare; l’incidente occorso nel 1983, nel Golfo Persico alla piattaforma petrolifera Nowruz che, colpita per un errore di manovra da una nave cisterna, ha provocato la dispersione in mare di 300.000 tonnellate di petrolio; l’esplosione avvenuta nel 1988 sulla piattaforma di trivellazione americana Odyssey, al largo della costa orientale del Canada, con lo sversamento in mare di circa 132.000 tonnellate di petrolio; l’esplosione su una piattaforma operante nella Zona Economica Esclusiva australiana nel 2009; la fuoriuscita di petrolio greggio dalla piattaforma cinese Penglai 19-3, operante nel Mar Cinese meridionale nel 2011; l’incidente della piattaforma Gannett Alpha con lo sversamento di diverse centinaia di tonnellate di greggio nel Mare del Nord nel 2011.

Il disastro della Deepwater Horizon, per le sue enormi proporzioni, è stato espressamente citato dalla Direttiva 2004/32/CE al punto 5 dei Considerando.

80 Comunicazione della Commissione europea al Parlamento europeo e al Consiglio, del 13 ottobre 2010,

«Affrontare le sfide della sicurezza delle attività offshore nel settore degli idrocarburi», COM(2010)560.

81Decisione 2013/5/UE del Consiglio, del 17 dicembre 2012, «sull’adesione dell’Unione europea al protocollo

relativo alla protezione del Mare Mediterraneo dall’inquinamento derivante dall’esplorazione e dallo sfruttamento della piattaforma continentale, del fondo del mare e del suo sottosuolo».

82 Nel 1975, 16 paesi del Mediterraneo e l’allora Comunità Economica Europea hanno adottato il Mediterranean

Action Plan (MAP). Le stesse parti hanno firmato a Barcellona (16 febbraio 1976) la Convenzione per la

protezione del Mar Mediterraneo dai rischi dell’inquinamento (Convenzione di Barcellona) che l’Italia ha ratificato con la Legge 25 gennaio 1979, n. 30.

Il MAP si componeva di sette Protocolli, relativi ad aspetti specifici della conservazione dell’ambiente del Mar Mediterraneo e, in particolare: Dumping Protocol; Prevention and Emergency Protocol; Land-based Sources and

Activities Protocol; Specially Protected Areas and Biological Diversity Protocol; Offshore Protocol; Hazardous Wastes Protocol; Protocol on Integrated Coastal Zone Management (ICZM). Nel 1995 è stato adottato il MAP

Fase II, in sostituzione del MAP del 1975, ed è stata firmata la Convenzione per la Protezione dell’Ambiente Marino e della Regione Costiera del Mediterraneo che ha modificato la Convenzione del 1976.

Successivamente, le istituzioni comunitarie hanno adottato la Direttiva 2013/30/UE(83) che ha stabilito misure minime di sicurezza per la ricerca e lo sfruttamento degli idrocarburi in mare, allo scopo di ridurre il verificarsi di incidenti gravi(84) e di limitarne le conseguenze dannose in termini di inquinamento ambientale. In particolare, la Direttiva 2013/30/UE ha fatto applicazione dei principi-guida del diritto ambientale europeo, ossia il principio di precauzione, il principio dell’azione preventiva nonché il principio «chi inquina paga» (polluter pays)(85). Il principio «chi inquina paga» è stato introdotto nell’ordinamento giuridico comunitario con la Direttiva 2004/35/CE(86)ed ha assunto ampio rilievo nell’ambito della

83 Direttiva 2013/30/UE del Parlamento europeo e del Consiglio europeo, del 12 giugno 2013, «sulla sicurezza delle operazioni in mare nel settore degli idrocarburi e che modifica la direttiva 2004/35/CE».

84 L’art. 2, par. 1 della Direttiva 2013/30/UE distingue gli «incidenti gravi» in: i) incidenti che comportano esplosioni, incendi, la perdita di controllo di un pozzo o la fuoriuscita di idrocarburi o di sostanze pericolose che comportano, o hanno un forte potenziale per provocare decessi o lesioni personali gravi; ii) incidenti che recano all’impianto o alle infrastrutture connesse danni gravi che comportano, o hanno un forte potenziale per provocare, incidenti mortali o lesioni personali gravi; iii) qualsiasi altro incidente che provoca la morte o lesioni gravi a cinque o più persone che si trovano sull’impianto in mare in cui ha origine il pericolo o sono impegnate in un’operazione sull’impianto in mare nel settore degli idrocarburi o sulle infrastrutture connesse o in collegamento con tale impianto e tali infrastrutture; iv) qualsiasi incidente ambientale grave risultante dagli incidenti di cui sopra.

85 I suddetti principi-guida elaborati dal Legislatore comunitario sono espressamente previsti dal Titolo XX del TFUE, al par. 2 dell’art. 191 (ex art. 174 TCE). In particolare, il «principio di precauzione» è stato previsto per la prima volta in una comunicazione della Commissione europea, adottata nel febbraio 2000, in cui è stato definito il concetto e la sua modalità di applicazione (COM(2000)1 final). Tale principio si riferisce ad un approccio alla gestione del rischio in base al quale, qualora sussistano dubbi in merito all’effetto potenzialmente pericoloso di un’attività o di un prodotto per persone ed ambiente, e se non c’è ancora consenso scientifico sulla questione, l’attività o la distribuzione del prodotto può essere bloccata. Come è stato osservato, oltre al ruolo di criterio regolatore delle misure di protezione ambientale, il predetto principio svolge l’ulteriore funzione di «strumento cognitivo e operativo della prevenzione del danno all’ambiente […]: infatti, per adottare una determinata azione sulla base del principio di precauzione, è sufficiente la presenza di un principio di prova scientifica. Il principio di precauzione si configura così come caposaldo del sistema di prevenzione del danno all’ambiente perché capace di scongiurare danni irreversibili, evitando l’evento dannoso, anche nel caso in cui la misura precauzionale non sia stata ancora spiegata scientificamente» (G.PISCIOTTA, Riflessioni intorno alla responsabilità ambientale per le operazioni in mare nel settore degli idrocarburi tra precauzione, prevenzione e riparazione, in Riv. dir. economia,

trasporti e ambiente, 2017, XV, 16).

Il «principio di prevenzione» si riferisce all’esigenza di agire tempestivamente per evitare il verificarsi del danno dal momento che, una volta verificatosi, diventa più costoso porvi rimedio oltre che in molti casi tecnicamente impossibile. Al suddetto principio è stato attribuito l’obiettivo di prevenire il danno derivante dall’esercizio di attività di cui si conosce la pericolosità per l’ambiente e quindi tenendo conto di rischi conosciuti (G.PISCIOTTA,

op. loc. ult. cit.).

86 Direttiva 2004/35/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 21 aprile 2004, «sulla responsabilità ambientale in materia di prevenzione e riparazione del danno ambientale». La predetta Direttiva è stata adottata al fine di prevenire o di riparare il danno ambientale alle specie e agli habitat naturali protetti, all’acqua e al suolo. In Italia è stata recepita con il D. Lgs. 2 aprile 2006, n. 152.

A livello internazionale il principio «chi inquina paga» ha trovato una prima applicazione, de facto, nella

International Convention on Civil Liability for Oil Pollution Damage (CLC) adottata in ambito IMO il 29

novembre 1969, che ha introdotto un sistema di responsabilità extracontrattuale oggettiva del proprietario della nave. Tuttavia, la prima formulazione espressa di tale principio risale ad una raccomandazione elaborata dall’OCSE nel 1972 in cui è stata affermata la necessità che al responsabile dell’inquinamento siano imputati i costi della prevenzione e delle azioni contro l’inquinamento (cfr. OCSE, Recommendation of the Council on

Guiding Principles concerning International Economic Aspects of Environmental Policies, del 26 maggio 1972,

politica ambientale dell’Unione Europea. Secondo il principio in esame i soggetti responsabili dell’inquinamento sono tenuti a sopportare i costi economici per far fronte all’attività di riduzione, prevenzione o eliminazione dello stesso(87). Nella sua doppia accezione (i.e. «chi inquina paga», ma anche «chi non inquina non deve pagare»), il principio «chi inquina paga» è volto ad evitare che la tutela dell’ambiente sia incentrata su politiche di aiuti pubblici che di fatto, addossando alla collettività l’onere della lotta contro l’inquinamento, non sarebbero idonee a stimolare comportamenti virtuosi e responsabili da parte degli operatori.

La Direttiva 2013/30/UE, pur riconoscendo il ruolo strategico dell’estrazione marina di idrocarburi al fine di il fabbisogno energetico degli Stati membri, ha evidenziato la necessità di superare in subiecta materia la frammentazione che caratterizza le legislazioni nazionali, aumentando nel contempo l’efficacia delle pratiche di sicurezza, spesso rivelatesi inadeguate rispetto al rischio di incidenti e permettere l’adozione di azioni tempestive ed efficaci in caso di incidenti agli impianti fissi o a quelli mobili.

La predetta Direttiva stabilisce, in particolare, che le operazioni in mare nel settore degli idrocarburi possano essere svolte soltanto previo rilascio di un apposito titolo (licenza) ed esclusivamente da parte di operatori designati in possesso dei requisiti di carattere tecnico e finanziario necessari per poter svolgere le operazioni autorizzate(88).

La designazione dell’operatore è attribuita al licenziatario o ad una apposita autorità pubblica (definita «autorità competente per il rilascio delle licenze») alla quale spetta di vigilare sull’attività svolta dall’operatore(89). La Direttiva 2013/30/UE affianca all’autorità competente

per il rilascio delle licenze, un’ulteriore organo pubblico (definito «autorità competente») con funzioni di regolamentazione e di tutela, quali la valutazione e l’accettazione delle relazioni sui grandi rischi e delle comunicazioni di progettazione predisposte dall’operatore, la vigilanza sulla sua attività (anche mediante ispezioni), l’adozione di misure di esecuzione,

In ambito comunitario il principio «chi inquina paga» è stato accolto per la prima volta nella Raccomandazione del Consiglio 75/436/Euratom, CECA, CEE, del 3 marzo 1975, «concernente l’imputazione dei costi ambientali all’inquinatore».

87 M.LOMBARDO, Il principio «chi inquina paga» e la responsabilità ambientale da inquinamento diffuso nel

diritto dell’Unione Europea, in Dir. Un. Eur., 3, 2011, 719; F.PELLEGRINO, Il principio «chi inquina paga»

nell’ordinamento dell’Unione Europea, in A.M. CITRIGNO,G.MOSCHELLA (a cura di), Tutela dell’ambiente e principio «chi inquina paga», Milano, 2014, 21 ss.

88 In merito alla capacità finanziaria, l’art. 4, par. 2, lett. c) della Direttiva in esame stabilisce che il richiedente debba essere in grado di garantire la copertura di tutte le responsabilità potenziali derivanti dalle operazioni in mare nel settore degli idrocarburi.

89 Nel caso di designazione da parte del licenziatario, l’autorità competente per il rilascio deve ricevere in anticipo la comunicazione di tale designazione ed ha il potere di farvi opposizione. In tale ipotesi lo Stato membro può imporre al licenziatario una diversa designazione o, in alternativa, fargli assumere le responsabilità gravanti sull’operatore. Al riguardo si osserva che la disciplina nazionale di recepimento non ha previsto la possibilità che il licenziatario possa designare un operatore, essendogli stata riconosciuta la sola facoltà di affidare ad un terzo (il c.d. «contraente incaricato») l’incarico di svolgere specifici compiti.

l’elaborazione dei piani annuali sui grandi rischi. La predetta «autorità competente» può inoltre collaborare con altre autorità ed organismi, anche di altri Stati membri, fornendo attività di consulenza.

Agli operatori spetta il compito di ridurre il rischio di incidenti gravi attraverso l’adozione di tutte le misure ritenute adeguate a prevenirli(90). Conseguentemente, sono tenuti ad individuare tutti i possibili scenari di incidenti gravi, valutandone le probabilità di accadimento e le possibili conseguenze, e a predisporre le misure necessarie a prevenirli nonché quelle da adottare in caso di incidente(91). La loro responsabilità si estende anche nel caso in cui le azioni o le omissioni all’origine degli incidenti gravi siano state effettuate da contraenti incaricati dall’operatore.

La mancata approvazione da parte dell’autorità competente della Relazione sui grandi rischi inibisce la messa in funzione dell’impianto ed analogo divieto sussiste anche nel caso in cui la predetta relazione sia ritenuta insufficiente o inadeguata.

Spetta agli Stati membri provvedere affinché l’operatore, o il proprietario, comunichi senza indugio all’autorità competente il verificarsi di un incidente grave o di una situazione in cui vi è un rischio immediato di incidente grave, curando di precisare le relative circostanze e, se possibile, l’origine, ed i possibili effetti sull’ambiente e le potenziali conseguenze gravi. L’art. 34 della Direttiva 2013/30/UE impone agli Stati membri di adottare sanzioni effettive, efficaci, proporzionate e dissuasive nell’ipotesi di violazione delle norme ivi previste.

Infine, qualora gli impianti di perforazione mobili in mare siano in transito, gli stessi devono essere considerati come navi risultando, pertanto, soggetti alle disposizioni previste dalle convenzioni marittime internazionali e, in particolare, alle Convenzioni SOLAS e MARPOL. Per favorire l’effettivo coinvolgimento delle associazioni, organizzazioni o gruppi ambientalisti(92), la Direttiva 2013/30/UE impone allo Stato membro l’obbligo di fornire adeguate informazioni con pubblici avvisi o con altre appropriate modalità, incluse quelle

90 Secondo l’art. 2, punto n. 6) della Direttiva 2013/30/UE, l’adeguatezza deve basarsi su elementi oggettivi e tenere conto di uno sforzo e di un costo proporzionati.

91 Le valutazioni del rischio e le modalità di prevenzione devono essere riportate nella «Relazione sui grandi rischi» che integra il «Documento di sicurezza e di salute» di cui alla Direttiva 1992/91/CEE, «relativa a prescrizioni minime intese al miglioramento della tutela della sicurezza e della salute dei lavoratori nelle industrie estrattive per trivellazione». L’art. 3 della Direttiva impone al datore di lavoro di provvedere, prima dell’inizio dei lavori, alla compilazione e, se del caso, al successivo aggiornamento del «Documento di sicurezza e di salute» attraverso il quale sono valutati i rischi per i lavoratori e sono individuate le misure di prevenzione e di sicurezza, curando in particolare che l’ambiente lavorativo e le attrezzature siano progettati, utilizzati e mantenuti in efficienza.

92 L’art. 5 della Direttiva 2013/30/UE stabilisce che la perforazione di un pozzo di esplorazione da un impianto non destinato alla produzione non può essere iniziata a meno che le autorità dello Stato non abbiano precedentemente provveduto affinché sia posta in essere una tempestiva ed effettiva partecipazione del pubblico in merito ai possibili effetti sull’ambiente delle operazioni in mare programmate.

relative all’esercizio del diritto di partecipazione al processo decisionale con l’indicazione delle autorità a cui è possibile presentare osservazioni o domande(93).

In Italia la Direttiva 2013/30/UE è stata recepita con il D. Lgs. 18 agosto 2015, n. 145(94) che, oltre a contenere disposizioni normative in materia di sicurezza e salvaguardia dell’ambiente marino, prevede misure a tutela della salute dei lavoratori del settore estrattivo.

In particolare, l’art. 3 del D. Lgs. n. 145/2015 sancisce la responsabilità oggettiva degli operatori, i quali sono considerati in ogni caso responsabili delle eventuali conseguenze dannose dell’attività relativa alle operazioni in mare nel settore degli idrocarburi anche se causate da suoi incaricati. La responsabilità dell’operatore permane pure nell’ipotesi in cui l’autorità competente abbia approvato la relazione sui grandi rischi, escludendo con ciò qualsiasi possibilità di trasferimento di responsabilità dall’operatore ad altri soggetti.

In conformità a quanto stabilito dalla normativa comunitaria di riferimento, l’art. 4 del D. Lgs. n. 145/2015 stabilisce che la valutazione per l’assentimento del titolo minerario deve tenere conto sia della capacità tecnica del richiedente che delle sue capacità finanziarie, incluse le garanzie per la copertura delle potenziali responsabilità derivanti dall’attività estrattiva. Il possesso dei requisiti dev’essere dimostrato dall’operatore e verificato al momento della presentazione della richiesta della licenza unitamente al progetto di esecuzione. Tali requisiti devono sussistere per tutta la durata dell’attività oggetto di licenza.

Il Decreto stabilisce, inoltre, che sia garantito un adeguato livello di informazione e di partecipazione pubblica riguardo ai possibili effetti sull’ambiente derivanti delle operazioni estrattive utilizzando le procedure di VIAo di VAS(95).

La competenza per il rilascio delle licenze di cui al D. Lgs. n. 145/2015 è attribuita ad un’apposita Direzione generale presso il Ministero dello Sviluppo Economico(96),mentre le

funzioni di «autorità competente» spettano, giusta il disposto di cui all’art. 8, al Comitato per la sicurezza delle operazioni a mare(97). Il predetto Comitato ha inoltre il compito di curare lo

93 Possono essere presentate osservazioni e pareri prima della decisione definitiva e lo Stato ha l’obbligo di dare pubblica e tempestiva informazione in merito alle decisioni adottate, alle relative motivazioni e alle considerazioni su cui si basano le decisioni.

94 D. Lgs. 18 agosto 2015, n. 145, di «Attuazione della direttiva 2013/30/UE sulla sicurezza delle operazioni in mare nel settore degli idrocarburi e che modifica la direttiva 2004/35/CE».

95 Sia la procedura di valutazione di impatto ambientale (VIA) che quella valutazione ambientale strategica (VAS) sono previste dall’art. 24 e dall’art. 14 del Codice dell’Ambiente (D. Lgs. n. 152/2006).

96 Si tratta della Direzione generale per la sicurezza anche ambientale delle attività minerarie ed energetiche - Ufficio nazionale minerario per gli idrocarburi e le georisorse (UNMIG) di cui al D.M. 30 ottobre 2015, recante «Modifiche al Decreto ministeriale 17 luglio 2014 di individuazione degli uffici dirigenziali di livello non generale».

97 Il Comitato è composto da: i) un esperto nominato dal Presidente del Consiglio dei Ministri che ne assume la presidenza per una durata di 3 anni; ii) il Direttore dell’UNMIG (Ufficio Nazionale Minerario per gli Idrocarburi e le Georisorse); iii) il Direttore della Direzione generale Protezione natura e mare del Ministero dell’ambiente e

scambio periodico di conoscenze, informazioni ed esperienze con le omologhe autorità degli altri Stati membri e svolgere consultazioni sull’applicazione del diritto nazionale ed europeo con gli operatori del settore (art. 7).

Le funzioni di regolamentazione relative alla sicurezza (esercitate dal Comitato per la sicurezza delle operazioni a mare) sono state perciò distinte da quelle relative allo sfruttamento economico delle risorse marine (esercitate, invece, dalla Direzione generale presso il Ministero dello Sviluppo Economico), in modo da garantire l’autonomia dell’autorità di controllo. L’art. 32 stabilisce il quadro sanzionatorio per le diverse ipotesi di responsabilità imputabili all’operatore. Tuttavia, considerata la misura degli importi sanzionatori previsti, è lecito avanzare dubbi circa l’effettiva efficacia deterrente delle sanzioni previste che non sembrano in grado di concretizzare nei fatti il principio «chi inquina paga»(98).

1.5. Le fonti normative in materia di security marittima e portuale.

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