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La diciassettesima maqāma: quella di al-Murādabād

Narrò al-Nāṣir b. Fattāḥ:

Capitò un anno nel nostro paese la siccità e il rincaro dei prezzi. Perdurò per mesi al punto che divenne amaro della vita ciò che era dolce. La gente vendeva tutti i suoi averi e le proprie case. Erano esausti dalla fatica per avere il loro cibo.

Quando la situazione mi divenne stretta – e si spezzarono le funi delle mie speranze – presi i miei gioielli di famiglia, li impegnai e vendetti i mobili di casa. Diedi allora alla mia gente la somma dovuta. Viaggiai con il rimanente alla volta di al-Murābād. Quando ero a metà strada trovai un gruppo di patrizi77 che trattava nel commercio del lino, del cotone e della seta. Andai con loro. Camminai nelle loro fila e procedemmo. Non vi era nessuno di noi che conoscesse altra lingua che quella araba. Inoltre erano ignoranti e non comprendevano altra lingua. Chiacchieravamo su come saremo entrati in un paese della cui gente non conoscevamo la lingua e su come avrebbero preso la merce coloro per cui l’avevamo portata.

Mentre discutevamo si avvicinò un ragazzo magro come un chiodo, più debole della luna nuova e salutò con lingua pura e cuore retto.

Disse poi: «Oh gente! Non sia la vostra questione per voi una preoccupazione poiché la maestà di Dio mi ha distinto per un cuore impavido e la conoscenza di ogni

76 Corano, 34:54.

77 “Baṭārīq è il plurale di baṭrīq, parola del contesto romano che indica una delle loro guide (al-

lingua. Io vi servirò! Continui a susseguirsi il favore di Dio supremo su di voi». Incaricammo così lui di tutti i nostri affari, affidandoci a Dio sul suo conto.

Entrò con noi nella città. Ci prese in affitto una casa ampia, inaccessibile e che ostacola il male. Poi – dopo qualche giorno – venne e le sue membra tremavano. Il suo cuore era carico di afflizione.

Disse: «C’è stato uno scontro tra il governatore e un gruppo di zotici. Temo per i vostri soldi, vorrei depositarli presso un banchiere. Quando tutto si calmerà, ogni cosa sarà tornata al suo posto».

Dicemmo: «Sia affar tuo. Nessuno di noi non si fida che di te e non confida che in te».

Depositò il denaro, più migliaia, presso un banchiere conosciuto e famoso. Tornò dopo una settimana, i suoi occhi erano come una fonte.

Gli chiedemmo: «Cosa ti è successo? Che cosa ti ha colpito?»

Disse: «Al banchiere è stata tagliata la testa. Si è illuminato il giorno con la lampada; questa è la prova del suo fallimento. La sua gente e famiglia si sono dichiarati innocenti per quel che ha commesso».

Chiedemmo: «Sei capace, con la frode, di ottenere il denaro?»

Rispose: «Io non sono certo capace di ciò! Non vi è modo di prendere ciò che è là».

Si acuii in noi il dolore, insieme a quanto già pativamo in terra straniera. Prese quindi per noi quanto necessitavamo a prestito. Si calmò così il desiderio della restituzione di quanto avevamo prima.

Un anno dal giorno in cui eravamo entrati nel paese venne sorridente e con abbondanza dicendo: «Non vi è ragione che non possa esser fatta prevalere con le spade e le frecce. La ricompensa non dipende che dal genere di azione». Lo seguivano con il denaro centinaia di uomini. Sarebbe stato impossibile il conteggio del suo ammontare e sarebbe stato impossibile aiutare a ripiegarlo e a distenderlo.

Disse: «Abbiamo preso ciò in via di prestito. Ho voluto prenderlo a mo’ di permuta e di scambio».

Rimase fino all’ottavo mese78. Lo aveva depositato in qualche posto. Sedeva nel suo trono e accendeva la lampada nel tempo del riposo. Gli indiani si prestavano

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ascolto l’un l’altro sulla sua questione. Cercarono di corrompere il wālī per la restituzione del loro denaro e per predisporre di ciò che era in suo potere.

Disse uno al wālī: «Queste regole sono invariabili! la vostra storia mi è a sostegno». Rispose lui il wālī: «Tu sei della gente della fede retta. Questa è la dottrina degli idolatri».

Gli lui disse allora: «Le tue sentenze sono continuate a essere come quelle passate. Le tue luci hanno continuato a splendere. Però, se il vostro debitore si trova in difficoltà, gli sia accordata una dilazione fino a che una facilità gli si presenti79».

Ordinò allora il wālī lo scioglimento e impedì la soddisfazione delle sue richieste. Batterono dunque nei cuori palpiti di gioia. Cessò in noi ogni preoccupazione e affanno.

Disse: «Dobbiamo portare fuori il denaro senza che se ne accorgano gli uomini. Farò credere che sono partito, invece, ritornerò il decimo giorno.

Gli dicemmo: «Con affetto e rispetto possa tu continuare a essere accompagnato dalla pace nel viaggio e nella sosta». Presumevamo che sarebbe ritornato nel giorno promesso. Setacciammo in seguito tutte le aree del paese e del mercato nella sua ricerca. Eravamo come quello che cerca le uova del capovacciaio80. Capimmo: fra gli uomini quello che amava queste azioni non era che l’irreligioso Abū al-Ẓafar e che non sarebbe stato facile congiungersi a lui o incontrarlo. I loro volti divennero allora come quelli del grifone81.

79 Corano 2:280.

80 Il capovacciaio, neophron percnopterus, è un uccello che usa fare il nido nelle alture e luoghi

isolati. Questi uccelli non formano stormi e colonie ma usano vivere in coppie (AA.VV., The

Encyclopedia of Birds, 2007, voce “Egyptian Volture”, pag. 302). Il proverbio, “dūnahā bayḍ al- unūq”, “in cui non è l’uovo di capovacciaio”, (al-Maydānī, 1955, proverbio 1384, vol. 1, pag. 264) è

presentato con la seguente spiegazione: “al-unūq è l’uccello, depone le sue uova dove non ci si può arrivare per distanza e per quanto sono nascoste. Viene usato come metafora di qualcosa che è difficile trovare”.

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