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La trentunesima maqāma: quella di al-Wājīn

Narrò al-Nāṣir b. Fattāḥ:

Andai al cospetto del wālī di Wājīn nel giorno di ʿĀshūrāʾ139 e lui era in lutto per il nostro signore al-Ḥusayn. Lo vidi piangere da straziare i cuori e le viscere. Aveva stabilito che le sue milizie si vestissero di nero, aveva ordinato l’unione dei consanguinei e di dar da mangiare ai poveri, alle vedove e agli orfani. Venne quindi presso di lui uno shaykh e un ragazzo – di cui non si trovano simili nel tempo, con un linguaggio puro, d’animo coraggioso, di bella fisionomia e dall’aspetto pulito. Lo shaykh indossava una veste tinta e dei pantaloni di pelle non conciata. Non piangeva questi però assieme alla gente e non era triste come loro in quel giorno.

Gli disse allora il wālī: «Giacchè conosci la tua inadeguatezza, non cercare la compagnia!»

Rispose: «La mia volontà non è che quella di vederti: sono giunto a voi con dei rami di salvatora persica».

Disse il wālī: «Il tuo giungere con in regalo la salvatora persica indica il tuo gran valore».

Rispose: «Possa io essere il tuo riscatto e non mi renda bisognoso iddio di altri che te. Ricorre nel ḥadīth: scambiatevi doni, anche se con la salvatora persica140».

138 “Lā yuldagh mu’minun min ḥujrin wāḥidin marratayn”, non venga morso il credente due volte

nella stessa tana, è un ḥadīth (al-Bukhārī, 2001, ḥadīth n.6202, vol. 8, pag.44).

139 Il giorno di ʿĀshūrā’ è il 10 del mese di Muharram nel quale si commemora il martirio di Ḥusayn,

il figlio di ʿAlī, avvenuto nel 61/681.

140 Secondo al-Ḥabashī, curatore di un’edizione di questo testo (al-Ḥabashī, 1999, pag. 197) viene

fatto riferimento al hadīth: “Tahādū fa’innahu yuḍʿifu al-ḥubb wa yadhhab bighawā’il al-ṣadr”, (al- Qaḍaʿī, 1985, ḥadīth 659, vol. 1, pag. 381).

Disse allora il wālī: «Informami sulla causa del tuo ritorno e della tintura delle tue vesti».

Disse lo shaykh a suo figlio: «Rispondi all’emiro per me, informalo di cosa mi è accaduto e mantieni riserbo sul mio intimo». Si rizzò in piedi il ragazzo ed estrasse dalla sua lingua dando ascolto, disse:

«Ieri ero deliziato presso la mia terra natale Oggi, in India, sono divenuto prigioniero. Ho vestito per l’amarezza vesti tinte

Tutta la mia esistenza – con ciò che ho patito – è ʿĀshūrāʾ. Ogni terra che vedo è Karbala e quanti

Affanni ho patito il cui tormento era velato. Ho sofferto ciò che non hanno sofferto gli antichi

Né hanno udito gli zelanti se non che lo credevano invero. Il mio corpo è provato da ciò che ho penato,

Il cuore è divenuto nel fuoco della separazione una fornace. La terra è divenuta erbosa con le mie lacrime

E la pietra e la sabbia sono divenute fradice e innondate».

Al che tacque per i gran pianti – che aveva infradiciato il tappeto con le sue lacrime – e si soffiò il naso sul suo vestito.

Disse il wālī: «Non v’è disappunto nei suoi riguardi. Cospargete il suo viso con dell’acqua di rose e con al-khilāf141».

Quando si alzò ordinò il wālī che gli fosse data una veste delle sue. Chiese poi allo shaykh in merito alla sua professione e la sua fonte di guadagno.

Rispose: «La professione è quella che troviamo presso gli avi e i contemporanei, la si decanta in un mercato in recessione e tratta di adab del quale sono orgogliosi gli arabi».

Disse il wālī: «La mia anima mira all’assimilazione. Amerei commerciare con tuo figlio parole che sono come pietre preziose».

Disse lo shaykh: «Scusatemi, ma la gioia e la tristezza hanno delle caratteristiche peculiari».

136

Disse il ragazzo: «E l’uomo che sia misero e che sia elevato muore».

Disse allora lo shaykh: «E tra la gente vi è chi – quando gli è impedito il sonno – muore».

Disse il ragazzo: «Ciò quando non sono della gente di onore». Disse lo shaykh: «E tra di loro vi è chi, quando sente i condottieri». Disse il ragazzo: «Ciò se non ha dei sostegni per la stabilità».

Disse lo shaykh: «E fra di loro vi è chi rimane fulminato se canta il colombo». Disse il ragazzo: «Sì, ma tra di loro vi sono quelli che solo se vedono i colombi».

Disse lo shaykh: «Certo tra di loro vi è chi giura sull’amore». Disse il ragazzo: «Se però il suo cuore è duro, muore».

Disse lo shaykh: «Tra di loro vi è chi che, quando vede il deserto, muore». Disse il ragazzo: «Questa è la condizione di chi odia le critiche».

Disse lo shaykh: «Non vedi che l’amante, quando si consola della perdita di qualcuno, muore?»

Rispose il ragazzo: «Sì, ma vive se lo salutano con il saluto “la pace sia con te”».

Disse lo shaykh: «Certo tra di loro vi è chi inorridisce per la guarigione». Disse il ragazzo: «Piuttosto per l’ammalarsi».

Disse lo shaykh: «Tra di loro vi è chi si diletta con le parole».

Disse il ragazzo: «Non hai visto che gli animali, se non trovano il foraggio, muoiono».

Disse allora il wālī: «Certo siete giunti all’apice e siete arrivati dove non vi è fine! Non v’è dubbio che il tempo è stato distolto per voi due dai suoi figli e che ha divampato la fiamma del rammarico nei cuori di ogni creatura».

Disse il ragazzo: «Hai ragione, oh emiro. Ho sentito mio padre recitare nel giorno di al-Ghadīr142 un discorso a sua moglie quando questa aveva esagerato nell’ammonirlo:

«Disse: “ti vedo nella miseria abbandonato E riunisci nobiltà e onore”

Dissi: “non è questo un difetto che si ostina in me

142 ʿAid al-Ghadīr è una festività osservata dai musulmani sciiti il 18 del mese di dhū al-Hijja, nella

È invece ciò che mi ha fatto giungere la professione dell’adab”»

Proferì allora il wālī: «Forse il tempo vi diverrà grato, avrà pietà e farà piovere le sue nubi su di voi».

Disse allora lo shaykh: «Mai e poi mai! Quello che è accaduto è passato e quel che è capitato è finito». Al che recitò questi versi:

«Il tempo si è capovolto

Ed è divenuto tirchio con il destino. Chi senza fortuna spera denaro

È gettato in una tomba dal tormento del desiderio. Se la madre della speranza fosse gravida

Spererei da lei un embrione. Però è colpita dalla sterilità

E la speranza è divenuta per noi una follia».

Ebbe, così, pietà di lui il wālī e lo assegnò nel gruppo dei suoi interlocutori e commensali. Gli diede inoltre la responsabilità sulle moschee, sugli ospizi e sulle scuole. Questi accettò mentre ne aveva avversione: ne aveva desiderio e disgusto. Erano molti presso di lui i pensieri, le ansie e le preoccupazioni: riguardo alla madrasa era preoccupato per il pubblico – torceva il naso riguardo alle loro sedute e al parlare con loro. Scrisse allora dei versi e li inviò per mano di un bambino piccolo a sua maestà quell’emiro, sono:

«Non bevvero gli amanti che dalle mie mani

E si abbeverarono di parole d’amore al mio capezzale. Ho signoreggiato i figli tempo in quanto contenevo La nobiltà di insigne lignaggio

E meriti possedevo e sovrappiù

– Che hanno riconosciuto i miei oppositori e i miei confutatori. Io mi rivolgo a quelli di intelletto143.

Io sono quello che è decantato tra gli uomini come l’unico.

138

Io sono in una città in cui vi è

Chi ha appreso scienza utile sull’autorità di sayyd. Però non ha fiducia l’amico del suo amico.

Vi è però chi aiuta e soccorre.

Quando ebbi considerato bene coloro che ho trattato E vidi i figli del tempo, l’insidioso,

Recitai allora per la mia amarezza – per quanto mi era concesso – Dei versi antichi che manifestano il mio intimo:

“Si svuotarono le case dalla miseria divenni così il signore senza esserne stato deputato e rimasi solo nel regno”».

Quando lesse ciò il wālī ordinò che fosse fatto apparire in quell’istante. Disse: «Questo uomo necessita di minacce e rancore».

Tornò e disse: «Se ne è andato. Ha chiuso la porta dell’ospizio e ha scritto di suo pugno su una lastra di pietra: “io sono Abū al-Ẓafar: l’indiano famoso al quale è concesso per la sua erudizione il grande e il piccolo. Io sono il signore degli indiani e il capo delle milizie”.

Proferì il wālī: «Perisca Madiyan come è perito Thamūd144».

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