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La ventisettesima maqāma: quella di Bārah

Narrò al-Nāṣir b. Fattāḥ:

Notai un gruppo di gente di Satār che andava alla volta della città di Bārah. Seguii dunque il loro corteo e divenni compagno del loro emiro.

113 “Bada’a al-Islām gharīban wa sayaʿud gharīban”, “è iniziato l’Islam straniero e tornerà straniero”,

Quando giungemmo alla città menzionata vidi i suoi abitanti gioire dell’arrivo degli stranieri come gioiscono gli uomini per le primizie. Molti dei suoi abitanti erano sayyd – e con le qualità dei sayyd. Amavano infatti chi migrava a loro.

Ogni sera andai a portare il cibo alla casa del loro emiro, sayyd, raʾys e notabile.

Accaddè che uscì da lui un gruppo di persone che non avevano affanno se non la rovina delle loro ricchezze e oggetti preziosi. Si erano allontanati dalla religione come la freccia dall’arco facendo risalire la propria origine ai Banū Ummiyya114 e mostrando odio per la nobiltà di al-Ḥasan e di al-Husayn. Palesavano devozione e corruzione. Erano penetrati nelle parti del paese ed era afflitta la gente per ciò che la colpiva. Nessuno aveva però il coraggio di informare il raʾīs per il suo disinteresse nei loro confronti.

Quando divennero strette le loro condizioni – e andarono perdute le loro ricchezze – cercarono chi aveva informato l’emiro con una dichiarazione o un’indicazione o un allusione. Indietreggiò allora la gente (perfino i notabili e i poeti). Temevano che il buco sarebbe divenuto troppo grande perché il rappezzatore potesse rattopparlo115 e che si diffondesse questo veleno mortale. Il grande e il piccolo non avevano però il coraggio d’informare l’emiro.

Accaddè che venne un uomo dal Banjāb per vendere della mussola116 e vestiti raffinati. Quando raggiunse le mura del paese – il ben custodito – lo informarono le genti della disgrazia che li colpiva. Indossò così il migliore dei suoi vestiti e depositò la sua ricchezza presso alcuni suoi compagni. Andò allora dall’emiro, baciò la terra ai suoi piedi e si fermò di fronte a lui encomiandolo. Poi recitò facendo esalare sospiri senza darsi preoccupazione per alcuna persona:

«Come gli occhi sono logorati dalla veglia Così i cuori sono stati logorati dal pensiero. Non è una novità che l’uomo è nella sofferenza,

Il malessere che li affligge è dalle disgrazie del loro destino. Ogni terra in cui scendono ad abitare diviene

114

I Banū Ummiyya sono la dinastia Ommaiade.

115 “Ittasaʿ al-kharqu ʿalā al-rāqiʿi”, il buco è divenuto troppo grande perché il tappezzatore possa

rattopparlo”, indica una situazione irrimediabile (Traini, 2004, voce “kharq”).

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Brace che arde ma che non fa emergere scintille. Le zone sono state pervase da una infame disgrazia: I blasfemi [kharijiti] sono apparsi all’orizzonte.

Hanno mostrato, ogni qual volta era celato al loro interno, Odio per la famiglia di ʿAlī – quando potevano.

Magari conoscessi da quale paese vengono. Li faccia separare un re o li logori l’inferno.

Forse sono emersi dalle parti più lontane dell’India Oppure nelle loro tombe la notte si è distesa.

Oh famiglia di Ṭaha non hanno riposato i vostri occhi?

Non vi siete sollevati contro chi si è discostato dalla retta via? Prendetevi la vendetta su di loro, loro sono genti che non

Hanno conuscito il vero, non hanno ubbidito e non hanno sostenuto. Annientali e non farne rimanere alcuna traccia

Giacchè in tutta la terra hanno condotto una vita peccaminosa E hanno ricorso a una setta di cui hanno aspettative

Presso il vostro popolo – oh eccelso.

Quante lame sono da tempo nei loro foderi? Se si separerà dal fodero non smetta e persista! Quanti archi proteggono da ogni disgrazia

Che sono ornati da una volta, dalla freccia e dalla corda?

E quanti uomini bruni rassomigliano nella fisionomia a belle donne Se è scosso l’uomo dallo schiaffo della gente che teme?

Quanti senza una precisa locazione si proteggono in questa situzione Quando finì la loro provvista di fortuna e successo?

E quanti in disgrazia sono considerati come leoni Quando risiedono nelle loro mani le sorti e il destino? Quanti imberbi hanno bramato per una bella dama

Il cui compagno indiano nel giaciglio è la tristezza e la circospezione? Operate! il Dio del creato è a vostro sostegno.

Oh famiglia di Chi ha innalzato per valore Muḍar117 Dio preghi per lui che ha mostrato il sapere

117 Muḍar, Muḍar b. Nazār b. Maʿd b. ʿAdnān, è “il leggendario capostipite della tribù arabe

E che riversa la pioggia nelle aree e rovesci».

Sedette dunque il sayyd ritto, dopo che era stato chinato. Non parlò ma indicò alcuni suoi funzionari di approntare gli equipaggiamenti bellici e i suoi cavalli. Comprese così la gente che per sua richiesta avrebbe guidato armi e cavalcatura. Non prese che i suoi uomini come scorta. Attorno a lui erano cinquantamila tra fratelli e compagni.

Assalirono allora la gente, erano diffusi come locuste. Il nemico comprese che avrebbe avuto un giorno di sventura continua. Notarono che il profitto sarebbe stato nella ricerca della sconfitta. Sgominò con le armate leggere i suoi uomini. Le armate pesanti rimasero alle calcagne dei loro figli e donne e li seguirono. Ammazzarono gli uomini e fecero prigionieri donne e bambini. Fecero bottino di tutti i loro beni e tornarono nelle loro terre con la salvezza del loro corpo, dei loro beni e delle loro religioni.

Poi il sayyd ordinò loro di comparire per dividere il bottino. Aveva imbastito quel giorno per loro un gran banchetto. Diede agli uomini del Banjāb nella stessa misura di ognuno di loro. Non fu allora lui contento di non essere stato distinto nei confronti degli altri.

Disse: «Guarda cosa è emerso in questi banchetti. Io non sono stato distinto benchè io sia all’origine del guadagno di questi bottini».

Gli disssi allora : «Se lo ecomierai con qualche tua poesia per questi banchetti non fallirai per i gran vantaggi».

Si alzò dunque e disse: «Oh sayyd dei discendenti profetici e colui da cui speriamo il giovamento. Io ti ho encomiato con una poesia incomparabile. Se vi è giunta gradita spero mi innalziate con un premio che vesta la mia distinzione di onore e sia reso maestoso nel mondo e nell’altro». Stette dunque ad ascoltare la sua recitazione. Disse e fu eccelso e sublime:

«Prostrati verso la duna senza pari e alzati. Insedia la pace sul muftī che versa il sangue. Le donne degli arabi puri sono di rango elevato

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La sorella della luna piena118 – se non che fra i due è evidente Una differenza che comprende la mente acuta – la sua luce Continua a essere innalzata ai nostri occhi

Nel tempo. La luce della luna non è continua.

Il sole, se non abbiamo proferito menzogna, è sua sorella È però fonte di giudizio e sapienza.

Il ramo nella sua elasticità è simile al suo ondeggiamento. Questi però, se lo fa oscillare il vento, non rimane ritto. Il muschio ha cercato di raccontare con il suo odore Una notizia che conosceva, ma non fu capace e non riuscì. Sì, la sua altezza abbeverò con orgoglio il melograno Il miele irrigò la saliva che assaporai nella mia bocca. Non la dimenticai quando giunse la notte come scudo Però le sue luci rischiararono il buio dell’ombra. Passò la notte nel mio abbraccio senza patire Paura e afflizione in un luogo inviolabile

Fino a che ebbe inizio la mattina e le sue luci si diffusero.

Come se fosse il viso del signore della munificenza e della prosperità Il sayyd prescelto e atteso – l’effusione delle cui mani ha mostrato lo scroscio delle nubi e della pioggia ininterrotta –

Assieme ad al-Murtaḍā e i suoi due figli è innalzato e onorato. È capace di eccellenza e finezza.

Presso un uomo coraggioso e onorato i leoni sono sottomessi. È saldo il cuore quando il calore della fornace è ardente, Come il leone, compie imprese audaci senza segreto E aiuto e la fermezza è impavida.

ʿAyn al-Zamān manifesta clamore e grida

Presso l’arena di quelli che sono passati per coraggio e generosità. Acquisisce i migliori con la sua potenza e nobiltà

Con una potenza a due tagli, la spada e la parola,

E al massimo delle qualità – tanto che non sono in grado di contenere. Le possiede assieme a bontà morale e d’animo.

Continua ad avanzare nella fama come il sorgere del sole. Continua a salire nella nobiltà dove sorge il sole e

E non tubano i colombi con la pace».

Si commosse allora il sayyd e gli diede una moltitudine di averi, vesti, tappeti e mille monete rosse del conio del sultano giusto Muḥammad Kām Bakhsh119. Lo salutò dunque e uscì. Viaggiò con ciò che gli era stato regalato. Chiesi di lui. dissero: «Lui è l’Ibn Hānāʾ120 del suo tempo: Abū al-Ẓafar l’indiano».

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