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La ventesima maqāma quella di Multān

Narrò al-Nāṣir b. Fattāḥ:

Desiderai una moggior leggerezza delle mie membra e cacciai così le parti migliori della carne. Il suo desderio mi proibì della delizia del sonno e della genuinità

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del cibo e delle bevande. Mi separai a causa sua dalle genti e dalle terre natali e comnciai a migrare per i paesi chiedendo aiuto agli amati e consultando i medici.

Andai infine da un medico capace, quantunque fosse deviato nella religione. Lo informai della mia malattia e chiesi riguardo la sua cura. Gli esaurii le forze e non trovo via di guarigione.

Disse: «Non vi è per questa malattia alcuna medicina se non la sopportazione. Non sono utili formule e amuleti, né saggi né bravura».

Uscii dal suo cospetto e il palmo della mia mano era giallo dal viaggio. Tornai dove stavo procedendo.

Non smisi di interrogare ʿulamāʾ e a consultare saggi. Sentii infine di un uomo intelligente forgiato sullo stampo della perfezione che svergognava la luna nuova e quella calante. Aveva un collo come quello di una gazzella – e alla gazzella assomigliava nel suo sguardo. Ne fu ubriacata la mia mente. Non cesso il primo nell’intimo del mio cuore e il suo desiderio mi procurò preoccupazione e affanno. Certo, talvolta le orecchie amano prima dell’occhio84. Cambiò per ciò la mia condizione e aumentò la passione e la confusione. Fui messo alla prove da due flagelli, fui colpito da due disgrazie e non sapevo a quale dei due aspiravo: Dio non ha creato l’uomo con due cuori85.

Sentii che nella zona di Multān vi era un saggio sapiente nella scienza del corpo umano. Entrai al suo cospetto e lo trovai curare un malato senza guardare la divisione, sapendo gli attrezzi e le parti. Lo informai della mia storia, ciò che mi accadeva e l’origine della mia malattia.

Disse: «La passione spezza i legami e non è utile a ciò che la riunione». Risposi: «Uno degli amanti e ad Azmīr e l’altro è a Kashmīr ed io sono qua tra i due, amareggiato nell’animo e ferito negli occhi».

Disse: «Lascia il secondo e sforzati di raggiungere il primo. Le migliori delle genti hanno una predilezione per il vecchio e ne fanno affidamento. Non hai forse sentito – oh assennato – cosa ha detto l’amato:

Rivolgi il tuo cuore dove vuoi per amore

84 “Al-udhun taʿshaqu qabla al-ʿaynu aḥyānan”, l’orecchio ama prima dell’occhio, è il secondo

emistichio del verso di Ibn Burd (Bashār b. Burd, 1966, vol. 4, pag. 206).

L’amore non è che per il primo amante86

Gli dissi: «Ciò è fondato sull’esperienza, non ho scelta».

Entrò dunque al suo cospetto un uomo che si diceva fosse di quelli che possedevano entrambe le scienze – quella tramandata e quella di deduzione originale – e che derivava i rami dai tronchi. Lo informò il saggio della mia malattia e gli chiese un parere per la mia guarigione.

Disse: «Svignatela dalla loro aria! Desisti dal loro tormento! e se non sei capace di dimenticare occupati allora della lettura del libro di al-Sulwān87. Se non riesci ancora, occupati allora di Chi per primo era affezionato al tuo cuore e fa elemosina a chi hai sentito essere in una condizione diversa dalla tua e più angusta. Dì: “mi affido al mio Signore88” e ricorda i versi di al-Mutanabbī:

Ricorda quanto hai visto e lascia quanto di lui hai sentito Il sorgere del sole ti rende superfluo Saturno89».

Per Colui da cui spero la soddisfazione delle mie speranze, quando sentii il verso era come se non avessi sentito un secondo.

Poi il saggio prese il libro dell’eloquenza e della chiara esposizione e furono scorsi alcuni versi con piacevoli allegorie.

Disse dunque l’uomo: «L’allegoria, se rivolta ai cuori, è di di facile comprensione e semplice da raggiungere».

Gli disse allora il saggio: «Ti possa riscattare il mio sguardo e il mio ascolto. Forniscimi un esempio che contenga quanto è nella mia mente».

Gli dissi: «Oh saggio di sano intelletto ordinategli di far contenere il verso menzionato perché si estingua l’ardente desiderio dei cuori».

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Il verso: “Naqqal fu’aādaka ḥīth shi’ta min al-hawā / mā al-ḥubbu illā li-ḥabībi al-auwali”, è un verso di Abū Tammām (Abū Tammām, 1994, vol. 2, pag. 290).

87Al-Sulwān, Sulwān al-muṭāʿ fī ʿudwān al-atbāʿ di Muḥammad b. ʿAbd Allāh b. Ẓafar, noto come

Ibn Ẓafar al-Ṣiqillī (497/1104-ca.565/1170), è un Fürstenspiegel, specchio dei principi in cui vengono forniti una serie di consigli ai governanti.

88 Corano, 114:1. 89

Il verso di al-Mutanabbī è presentato nella maqāma con un verbo coniugato al perfetto (māḍī) mentre nel diywan (al-Mutānabbī, 1986, vol. 3, pag. 205) è all’imperfetto (al-muḍāriʿ al-marfūʿ): nel primo è: “khudh mā ra’ayta wa daʿ shay’an samaʿta bihi / fī ṭalʿa al-shams mā yughnyka ʿan zaḥal”, nel secondo “khudh mā tarāhu wa daʿ shay’an samaʿta bihi / fī ṭalʿa al-shams mā yaghnyka ʿan zaḥal”.

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Disse allora: «Fate contere il verso precedente di al-Mutanabbī e ricordate cosa gli è capitato coi due amanti il primo e successivo».

Si alzò dunque – intercedento presso il Profeta – e improvvisando recitò:

«Vidi una gazzella e una gazzella di cui avevo sentito. Entrambi sono come il ramo di ben90 o di giunco. Il sole è incapace di raggiungere la loro bellezza.

La luna piena l’ha raggiunta struggendosi d’amore di vergogna. Ha la capacità della gentilezza del germoglio nel suo sbocciare. Questo e quello è come questo oh fratello di nobile animo. Sbigottii per ciò che avevo a patire

Desiderando ognuno di loro, oh poco astuto. Recitò la lingua del momento – consigliando

Dei versi meravigliosi in cui vi è l’introduzione di una metafora – “Ricorda quanto hai visto e lascia quanto di lui hai sentito

Il sorgere del sole ti rende superfluo Saturno”».

Si alzò dunque diretto al suo posto.

Gli dissi: «L’amore per te mi ha colpito come la strada porta alla sua destinazione. Ti voglio essere compagno e interlocutore fino a quando giungerà il tempo della partenza dei viaggiatori».

Disse: «Và nella zona degli ebrei e chiedi della casa dello shaykh degli indiani. Chi vedrai ti ci farà giungere o te la indicherà».

Andai quindi e vidi i suoi uomini e le sue donne. Lo conoscevano come conoscono i loro figli mi fecero così giungere a una casa con portoni invalicabili e terrazze elevate. Quando bussai alla porta mi risposero i cortigiani che il signore del luogo era accusato di una certa accusa ed era imprigionato nella casa delle tristezza.

Rimasi così presso la porta preoccupato, desolato e dispiaciuto.

Volli poi chiedere il suo nome quando vidi scritto dei versi sul muro in grafia rayḥān o ghubār, nella sua caligrafia e secondo la sua nobiltà:

Ho abitato questa ampia casa un periodo di tempo.

Il destino e i decreti divini mi hanno valso la morte. Sappi con certezza che io lo nutrirò

Insieme a ogni ragazzo che rimane in vita nelle vicinanze. Dii dunque oh tu che hai visto perché la mia mano ha scritto Non era forse misericorde il Misericordioso con chi era qua?

Sotto aveva scritto: “ha riferito ciò con la sua boccca – e lo ha scritto con la sua penna – il servo dei servi degli uomini il raziocinante Abū al-Ẓafar l’indiano”. Chiesi dunque la misericordia di Dio per lui e tornai a dove ero diretto.

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