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La maqāma eresiografica, la maqāma oscena

2.2 l’Isnad nella maqāma di Bāʿabūd

2.5.5 La maqāma eresiografica, la maqāma oscena

Come ha indicato Kilito l’utilizzo di un discorso riportato – permesso attraverso un isnād che ovunque all’inizio di ogni narrazione – produce l’effetto di permettere una certa distanza all’autore dal testo (Kilito, 1983, pag. 27). Tal espediente caratterizzava anche la compilazione delle opere eresiografiche (Kilito, 1983, pag. 166) permettendo, infatti, a fine denigratorio, la trattazione di quanto non sarebbe stato conveniente parlare e scrivere.

In Bāʿabūd l’elemento denigratorio delle eresie islamiche trova una larga trattazione. All’interno dell’opera le critiche sono sollevate al culto islamico indiano delle tombe (maqāma 46), al culto dei santi (maqāma 5), allo sciismo (maqāma 22, 31), alla pratica del matrimonio temporaneo dello sciismo imamita (maqāma 38), al kharijismo (maqāma 27) e all’induismo (maqāma 37).

Bāʿabūd presenta – nella quarantaseiesima maqāma – i musulmani dell’India accorrere per adorare la tomba adornata di un cane: Abū al-Ẓafar e suo figlio, in possesso di un cane in fin di vita, lo portano in pompa magna all’interno di una cassa presso il mercato di una città dopo essersi cosparsi di terra il capo. Qui, piangendo la finta morte del più meritevole degli uomini, la gente comincia ad adorare questa cassa. Inoltre le genti “passavano tutte le notti a leggere il Corano là sopra”. Il protagonista ottiene così di costruire un mausoleo provvisto di un edificio per le elemosine e poter così gestire i capitali che gli vengono offerti (oltre 200 dīnār al giorno). La maqāma si conclude allorchè la fortuna della tomba viene meno una volta scoperti quando litigando con il figlio, il protagonista riferisce di aver seppellito il cane. Un uomo che origliava informò il wālī e il giudice a riguardo e questi disposero la sua distruzione con picconi di ferro. Bāʿabūd sembra inoltre spiegare l’efficacia delle tombe in India nel fornire miracoli asserendo:

La cosa strana era il fatto che non veniva alla tomba che colui che aveva delle necessità che non le avesse ottenute, non veniva donna che volesse bambini che non fosse incinta. Chi girava alcuni giorni esaudiva le sue speranze.

Il culto dei santi è presentato nella quinta maqāma in cui una folla di persone si riuniscono presso un uomo e a quest’uomo s’inginocchiano e si prostrano al suolo.

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Il narratore che comprende la devianza viene così rimproverato dall’uomo che giustifica l’eresia dicendo:

«Non criticare colui di cui non conosci la natura e che eccede nel glorificare e magnificare! Si prostrano infatti al suolo in direzione della nobile casa e verso il suo sublime angolo destro. Tu non li hai visti, giacché ciò che conta è la vista interiore, non quella dell’apparenza. Per questo motivo accetta i santi, e quanti uomini sono!»

Il santo, wālī, deruberà infine tutti i suoi seguaci.

Lo sciismo viene citato all’interno dell’opera più volte. Nella ventiduesima maqāma il narratore – come metafora di un’attesa sterile e insensata – riferisce “aspettarono la sua venuta come attendono gli sciiti l’avvento del Qaʾim”.

Nella trentunesima maqāma il protagonista e suo figlio umiliano un regnante – in lutto per la celebrazione di ʿĀshūrāʾ – spacciando per poesia delle frasi senza senso e mettendo così in luce la sua ignoranza.

Il matrimonio temporaneo permesso nello sciismo imamita è presentato nella trentottesima maqāma ed è reso in forma sarcastica. In questa maqāma il narratore cerca di aiutare il protagonista a trovare moglie. Non riuscendo nel suo intento chiede “a mo’ di prestito” (maqāma 38) la serva di un imam imamita per poter soddisfare i suoi piaceri. La parodia sembra accentuata inoltre dalla richiesta dell’imam – a suggello dell’affare – della redazione di un contratto:

“Dichiaro di essere il più vile degli uomini indiani: Abū al-Ẓafar. Ho preso questa donna da questi uomini per il mio soddisfacimento. La restituirò dopo l’esaudimento del mio desiderio”.

Il kharijismo è presentato nella ventisettesima maqāma. In questa narrazione i kharijiti opprimono una città propagando la loro “devianza” dall’ortodossia. Il protagonista riesce a convincere il regnante ad agire militarmente nei loro confronti ottenendo così l’obbiettivo di liberare la città da loro.

L’eresia induista, infine, è presentata in due contesti. In uno viene descritto il rogo delle vedove:

È tra i loro costumi aberranti che, se la donna si dà fuoco con suo marito, muore secondo il credo giusto. Nel luogo del rogo costruiscono una cupola elevata. La cospargono di profumo e il ghāliyya12. Quando si accingono a bruciarli, e hanno deciso la loro separazione, costruiscono con le frasche una solida cupola. La circondano dunque affinché la donna non tema e non desista dalla decisione. La donna riceve allora i suoi gioielli e le sue vesti dopo il congedo dei suoi parenti e della sua famiglia. Siede nel mezzo della legna e il cadavere è posto sulle sue gambe. La gente la guarda e ne sono orgogliosi. Si appicca infine il fuoco dai quattro lati. Fra gli uomini c’è chi pensa, chi ride e chi piange.

Nella maqāma viene narrato che il protagonista salva una donna condannata al rogo dalla morte del marito fuggendo con lei su un cavallo. Il narratore rincontra poi in un’altra città il protagonista circondato da cinque figli e viene a sapere che la donna è divenuta sua moglie e si è convertita all’Islam.

Un'altra eresia dell’induismo è presentato nella maqāma trentasettesima. Il narratore e il protagonista in questa narrazione si appostano presso un bacino per poter godere della vista delle donne che vi giungono. Abū al-Ẓafar si maschera dunque da “idolatra” (maqāma 37) ed emula delle pratiche di culto indiane:

Quando vi andai, vidi che aveva stretto una fascia alla vita. Si era messo il rosario dell’idolatria nel petto. Le donne si riunivano presso di lui e lui parlava e chiacchierava molto. Chiacchierava nella lingua dei Barāhama. Sul suo capo aveva avvolto un telo giallo. Si mise dunque a porre nelle loro fronti il pallino tinto di rosso. Diceva a ognuna: «inginocchiati! Inginocchiati! Al fine di realizzare i tuoi sogni».

Infine, conquistata la fiducia di queste donne, le convince a convertirsi all’Islam asserendo che:

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«Questa è una brutta religione per quelli che muoiono. Chi vi si ostina è come quello che si ostina nella casa del ragno13. Non vedo niente di più puro per l’uomo che di seguire l’Islam e la retta fede. Ho deciso di lasciare questa brutta religione e di ritornare all’Islam, alla religione giusta. Chi vuole la salvezza e la felicità pronunci le due locuzioni della shahāda».

Accanto al contenuto eresiografico la maqāma di Bāʿabūd presenta tre maqāma che – come nella maqāma classica – hanno un contenuto osceno. Nella trentanovesima maqāma viene presentato il protagonista nella prima notte di nozze intento a interrogare la moglie sul contenuto del Kāma Sūtra. Nella quarantaquattresima maqāma presenta invece il protagonista partecipare a un’orgia di indiani.

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