Narrò al-Nāṣir b. Fattāḥ:
Ebbi un’indicazione per l’esercizio di un commercio. Fui afflitto però dalle perdite e mi si spezzò il cuore. Questo poiché comprai alle case del piacere di Burhān Pūr vestiti preziosi e stuoie per una quantità tale che portavano a fatica mille cammelli e non se ne riuscivano a conteggiare le ripartizioni. Quando volli partire venne a me un miserabile. Disse: «Ascoltate! non siate prevenuto, non lamentatevi e non abbiate fretta, giacche la fretta è rimpianto e la calma è salvezza. Oggi è un giorno di disgrazia continua e di sfortuna che sgorga a dirotto. All’alba di domani ci sarà la felicità per tutti».
Non ubbidii al suo ordine. Eccessi invece nelle minacce e a cacciarlo con grida. Dissi: «A nessun uomo i giorni non sono avversi! eccetto che per colui che si trovi nel pericolo e percorra le strade più strette». Giurò allora con il più pio dei giuramento di non essere spergiuro e di non mentire poichè le sue affermazioni erano derivate dalla scienza delle stelle ed erano conformi al destino che è stato stabilito. Ubbidii allora al suo ordine. Non avevo però distinto il dolce del suo parlare dall’amaro.
Quando giunse la mattina chiamò: «Orsù venite al successo42!» Ordino quindi di legare le selle e di caricare i carichi sul dorso dei cammelli. Comandò poi: «Al mercato! Veloci!» e rimase indietro tenendomi occupato in chiacchiere.
Si fermò poi per salutare – celando il tradimento – e continuammo a parlare fino a quando non se ne andò fingendo di piangere. Mi fu dunque sbarrata la strada da una porta. Cercai di entrarci, ma me lo impedirono gli uomini del castello. Gli dissi: «Bando alle ciance! I miei cammelli hanno percorso questa strada».
Risposero: «Vattene e che Iddio sia di grazia! È forse la nostra casa la strada che hanno battuto i tuoi cammelli?»
Continuammo a litigare, a insultarci e a ribattere fino quasi al tramonto del disco solare. Spuntò quindi un uomo, come se si fosse alzato dalla tomba. Al suo cammino i sassi erano sul punto di frantumarsi. Sulla destra aveva una corda e sulla
42 “Venite al successo, venite alla preghiera” è l’invito proferito per chiamare i fedeli alla moschea per
sinistra una mazza. Chiese noi notizie. Svelammo allora a lui ciò che era nascosto e ciò che era evidente.
Ordinò: «Lasciatelo entrare per la porta! Non abbiate timore o esitazione! Appaino i suoi cammelli o sia delusa la sua speranza!»
Quando entrai istigarono contro di me i loro cani e ordinarono ai loro servi neri di mettermi le catene. Mi strinsero a tal punto i ceppi, che il mio spirito era sul punto di superare le clavicole. Si ammassarono in me ogni tipo di angustia da ogni parte e luogo. Avevo una gran fame e sete da essere stato felice del ritorno come bottino.
Dissi loro: «Liberatemi da questa insidia! Fatemi uscire da questa casa giacchè ho ripugno per la vita e mi è divenuta piacevole la morte».
Risposero: «Non scioglieremo le tue catene fino a quando non avrai dichiarato davanti ad un gruppo d’indiani: “non ho denaro, querela o cammello” e fino a quando non avrai scritto delle righe di amicizia e ne avrai fatto apporre il timbro del wālī e del giudice».
Feci ciò che mi richiesero. Mi piegai così a ciò che loro volevano. Uscii allora a mani vuote, con le scarpe di Ḥunayn43 e con i piedi e le spalle insanguinate. Andai per la mia via nella terra sopportando con sforzo il freddo e il caldo. Rimasi del tempo vagando senza meta in pianure deserte. Il tempo mi colpì con le sue frecce fino a quando non mi apparve un campo. Al suo centro era una cupola tonda come un uovo. Corsi allora dalla sua gente nella speranza di essere colpito da un suo acquazzone o da una sua pioggerella.
43 “Rajaʿa bi-khuffay Ḥunayn”, “Ritornò con le scarpe di Ḥunaīn”, è un proverbio arabo, di cui (al-
Maydānī, 1955, proverbio 1578, vol. 1, pag. 296) viene fornita la seguente spiegazione: “Riferì Abū al-ʿAbīd: la sua origine è che Ḥunayn era un calzolaio di al-Ḥira [città irachena]. Contrattò con lui un giorno un beduino per un paio di scarpe. Si ribatterono sino a che rimase offeso. Volle dunque il furore di quel nomade. Quando il beduino partì, prese una delle due scarpe, la lanciò nella strada e mise l’altra in un altro posto. Quando il nomade passò davanti a una delle due disse: «come assomiglia alle scarpe di Ḥunayn, se ci fosse anche l’altra la prenderei». Passò oltre. Quando arrivò poi all’altra scarpa si pentì di aver lasciato la prima. Ḥunayn si era nascosto. Quando così il nomade andò alla ricerca della prima, Ḥunayn andò alla sua cavalcatura – e quanto vi era sopra – e se le portò via. Andò allora dal beduino – e questi non aveva che il paio di scarpe – e gli disse: «che cosa ti ha arrecato il tuo viaggio?» Rispose: «sono venuto a voi per le scarpe di Ḥunayn e così me ne sono andato». Si utilizza quando si rinuncia a una necessità e si ritorna con il fallimento.
Un’altra versione del proverbio è: “Riferisce Ibn Sikīt: Ḥunayn era un uomo vigoroso che avanzò chiamato Asad b. Hāshim b. ʿAbd Munaf. Andò dunque da ʿAbd al-Muṭṭalib con indosso due calzature rosse. Disse: «oh Zio, sono Ibn Asad b. Ḥāshim». Rispose ʿAbd al-Muṭṭalib: «no! nelle apparenze di Ibn Ḥāshim non vedo in te le qualità di Ḥāshim. Ritornatene». Ritornò dunque e dissero: «è ritornato con le sue scarpe» ed è divenuto un proverbio”.
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Sentii uno che vagava nel delirio della morte dire: «Oh Uditore della voce! Vincitore sulla morte! Oh Vettore di cibo! Oh Colui che riveste di carne le ossa dopo la morte! Alleviami dell’agonia della fine!»
S’impietosì così chi ara presente per ciò che aveva. Pregarono allora Iddio che gli desse sollievo per il dolore che lo affliggeva.
Si volse allora a loro e avanzò. Disse: «Siate testimoni all’eccelso wālī che mi sono pentito delle mie brutte azioni e parole».
Mi fissò poi, da dove era, scrutandomi con gli occhi. Disse: «Oh pio fratello che persegue il vantaggio! Ricorro a te per il perdono di ciò che ti ho arrecato».
Gli dissi: «Guardi a te la provvidenza! Chiariscimi il motivo della tua colpa». Rispose: «Io sono quello che ha preso la tua ricchezza e che ha rubato i tuoi cammelli. Sono quello che ha consigliato il ritardo e che era presente nel momento della distretta. Sono quello che si è fermato a salutare. Sono quello che ha ordinato che tu fossi fatto entrare dalla porta. Il servo era il mio servo e la casa è una mia acquisizione recente, avuta in eredità».
Dissi: «Non accetto queste tue parole! Non ti perdono fosse anche che scrivessi alla tua famiglia ti darmi i soldi di sua tasca e neanche se mi dessero ogni giorno l’indispensabile per vivere – e scacciassero l’insonnia dai miei occhi».
Rispose: «Oh te! È già stato logorato il mio lustro. Non possiedo che il mio bastone».
Dissi allora: «Renda Iddio le cattive azioni della tua vita le ultime e ti sia avverso nel giorno del giudizio».
Rispose: «La questione è nelle mani di Dio, non nelle tue. Il perdono discende da lui, non da te».
Chiesi di lui a chi era presente. Disse uno: «Lui è Abū al-Ẓafar, quello che ha reso esausto l’uomo con la sua astuzia, quello che ha fatto sgorgare l’acqua dalla pietra». Si alzò poi sulle sue gambe come se fosse stato sciolto dalle catene. Capii che aveva finto la malattia per ottenere il suo obiettivo. Distolsi allora gli occhi della mia testa dalla sua vista. Io avevo patito molto ad opera sua.