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La quarantaquattresima maqāma: quella di al-Nāqin

Raccontò al-Nāṣir b. Fattāḥ:

Il mio animo pacato mi spinse ad ammirare al-Nāqin. Non smisi così di avanzare un piede dietro l’altro nel viaggio per giungervi. Dicevo alla mia anima: “pazienta può darsi che Iddio produca, in seguito, qualche evento183” e lei mi rispondeva: “avrai forse, con il viaggio, dopo la fatica il benessere”.

Quindi, dopo prolungamenti e dilungamenti – e discorsi lunghi e larghi – e dopo aver chiesto a Dio l’ispirazione, andai solo allora per la strada. Fra me e il posto menzionato vi era una distanza di mille miglia. Provai nel viaggio ciò di cui hanno orrore le anime. Al punto che tra le mie palpebre e il sonno vi fu una guerra come quella di al-Basūs184 – e stavo per tornare indietro e desistere ma si acquietò il mio animo e domò le paure. Attraversai le sabbie subendo afflizione e agevolezze. Le dissi: “senza la raccolta delle api, non si avrebbe certo il frutto dalle api!185”.

Passai presso un villaggio con alberi, frutti, bacini e fiumi. Vi rimasi dieci giorni di una vita più lieta di coloro che dormono nel torpore delle loro palpebre.

Uno di questi giorni mi accadde di passare per la casa di un certo governante e vidi ciò che fa cessare affanno e patimento: danza e canto. Mi guardò allora di nascosto una giovane donna. Ecco, il suo viso era più lucente del tramonto della luna. Iniziò così impadronirsi della mia mente e il suo amore prese ad albergare nell’intimo del mio cuore. Sedetti con animo desideroso e interessato dicendomi “magari la vedessi una seconda volta”.

Venne poi un uomo al governante con notizie dalle parti del paese e delle fazioni della terra.

Disse: «In un tal posto vi è un uomo ferito e per l’acutezza del doloro piange e grida». Si impietosì dunque il governatore misericode e si preoccupò.

183 Corano, 65:1.

184 La guerra di Basūs è la guerra tra Banū Bakr e i Banū Taghlib combattuta in era preislamica tra

494 al 534 (Encyclopedia of Islam, 1986, voce “Basus war”).

185 “Wa dūna ijtinā’ al-naḥli mā janati al-naḥlu”, “Senza la raccolta delle api, non si avrebbe frutto

dalle api” è il secondo emistichio del verso di Ibn Fāriḍ (576/1181-632/1235) (Ibn al-Fāriḍ, 2002, pag. 102).

Ordinò: «Andate con lui nella casa di cura. Quando sarà guarito dalla malattia portatelo a me dopo averlo introdotto nell’ḥammām. Forse così saprò la causa delle sue ferite e cosa ha incontrato nella suo andare e nel suo tornare».

Abbandonai il mio intento. Mi dissi: “rimango qua, forse sentirò queste informazioni richieste e godrò della visione di quell’amata”.

Dopo che fu trascorso un mese di tempo giunse la notizia che era entrato presso l’ḥammām e che sarebbe venuto presto. Giunse dunque e salutò.

Disse il governante: «Tu sia benvenuto!».

Quando lo interrogò riconobbe che era degno di beneficenza, gli diede dunque molti regali e lo vestì della veste d’onore. Gli chiese allora la causa delle sue ferite, delle botte e delle percosse.

Rispose: «Oh emiro! Ciò che è passato si ripete e le disgrazie non colpiscono eccetto che i più gloriosi!»

Disse: «È doveroso il rendiconto della tua vicenda e della causa del tuo malessere e danno!»

Disse: «Oh emiro, a condizione che non mi puniate per le malefatte, né mi siate ostile giacchè sono come colui che si è amputato il naso con le sue mani e che ha cercato la morte per sua inclinazione».

Rispose: «Il perdono sia nelle tue mani! Io non voglio altro che sapere che cosa ti è accaduto!»

Disse: «Dovete sapere, oh emiro, che arrivai a Nāqina. Non sapevo certo che la seduzione demoniaca là era in agguato. La gente – il grande e il piccolo – si riuniva nelle notti di al-ghadīr186 presso la casa del loro raʾīs. Spargevano allora farina a terra in un luogo pulito – che in realtà era più sporco di una cloaca! Si mescolavano gli uomini alle donne, abbondavano allora le grida e il fracasso. Ognuno prendeva una e la portava in quella farina – anche se era straniera o una parente ed anche se era sua figlia, zia paterna o materna o addirittura sua madre o anche sua sorella. Facevano poi di quella farina un pane di cui si benedicevano lungo l’anno e non lo mangiavano che i loro uomini più potenti.

Accadde che entrai con loro. Credevano fossi uno di loro. La mia mano non si posò però che su una vecchia – per mia sfortuna! – la lasciai dunque quando era sotto di me ed estesi la mano per un'altra, sperando per qualcosa di meglio.

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Urlò allora la vecchia, piangendo e singhiozzando: “Uno straniero! Uno straniero!”

Accesero le lanterne e si rivolsero verso di me. Mi picchiarono che spero giunga su di me la misericordia di Dio nella stessa misura in cui erano discese su di me le botte. Mi gettarono in un letamaio che ero sul punto di morire, privo di sensi. Non arrivai al posto in cui mi avete visto – e dal quale mi avete sollevato – se non dopo un anno nel quale i miei occhi non vinsero l’imputridimento».

Disse allora al-Nāṣir187: «In quell’istante cambiai le briglie della mia volontà di entrarvi e dissi: “non entreremo mai in quella terra finché quelli saranno colà188”».

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