Narrò al-Nāṣir b. Fattāḥ:
Mi condusse la coscienziosità e la maturità nel paese noto come Bandarkanbāya. Là si riunivano i migliori. Rivolsi la mia attenzione al suo emiro. Mi ordinò di essere presente alla bevuta della prima mattina e a quella della sera: nel tempo del tramonto e quello dello spuntar del sole. In questo periodi, in particolare, non entravano al suo cospetto che i più distinti.
Accadde che vide un uomo seduto presso gli ultimi. I suoi occhi non lo avevano notato prima di quel giorno. Gli divenne allora stretto il respiro e a malincuore chiese di lui in presenza della gente. Capì l’uomo che l’emiro era stato messo a conoscenza della sua condizione e che sapeva che lui non era dei suoi. Si preparò così alla risposta della sua domanda.
Temette poi l’emiro che giungesse alla sua assemblea ciò che non si confaceva alla sua maestà e che vedesse l’uomo il suo timore interiore.
Disse dunque: «Oh uomo, informami sulla natura della tua condizione, del tuo fermarti e del tuo viaggiare, su quale è la causa del tuo venire a noi e del tuo presentarti al nostro cospetto».
Rispose: «Oh emiro, faccia perdurare Iddio le tue luci e moltiplichi i tuoi poteri. Non ho parole per lagnarmi del mio affanno e non vi è cuore che sopporti ciò che ho patito di tormento. Ho sopportato paure che dolgono e nuocciono . Ho subito condizioni che si ridono e si piangono. Non conoscevo nella terra natale preoccupazione e tristezza. Entrò però poi il nemico nelle nostre terre. Presero tutto ciò che possiedavamo eccetto le nostre famiglie e i nostri figli – ma poi si corressero e ritornarono prendendo i bambini e affransero i cuori. Ho una donna che amo e che mi ama. Io la desidero e lei mi desidera. Ci separarono le ristrettezze, la malignità dei nemici e l’affanno del debito. Sono divenuto assieme al gregge di quel bestiame
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come un pastore dopo aver seduto nei più alti castelli. Sono divenuto come gli abitanti delle tombe dopo aver avuto raffinate pietanze, vesti e aver bevuto il vino e aver spronato alle coppe. Sono divenuto un vagabondo per i paesi e un girovago per caverne e altopiani». Poi recitò triste:
«Sono stato ripagato con la coppa che gira rossiccia Che la terra mi gira.
Mentre passo la sera in un paese Al mattino in un altro volgo Come se fossi piume
Con cui gioca il ponente e lo zefiro.
Cosa avrei dovuto fare quando si restrinse l’ampiezza Ad opera di alcuni che ciò tramavano nel loro cuore? Biasimarono i critici, non sapevo certo che
Prove avrei dovuto sopportare. Patii dunque paure nelle quali Si frantumavano massi e rocce.
Nella mia mente vi è colui il quale se apparisse Eclisserebbero le lune alla sua vista.
A un ubriaco del vino del desiderio Ornarono i suoi occhi la stanchezza. Racconta dei suoi sguardi e
Tormenti la gazzella spaurita. Quanto hai discusso con lui
E il nostro compagno al-Shaʿrī al-ʿUbūr159. Bevvi il miele della sua saliva
E gli occhi della gente delle critiche divennero guerci.
Gli disse dunque l’emiro: «È necessario che tu ti rivolga a chi è stato provato come te e che ti consoli, così che tu possa dimenticare la tua amata o all’allontanarla dalla mente».
159 Shʿarā al-ʿubūr è una delle due stelle che compongono la costellazione di Sirio, l’altra stella è
Disse rivolgendosi a lei, come se presente nella sua testa, e che però lo sentisse e lui sentisse le sue parole all’orecchio:
«Io ho un animo libero e anche se lo sforzassi
Per dimenticarti, neanche con la morte avrei dimenticato».
Poi alzò la testa, guardò l’emiro e disse cambiando nella disposizione:
«Non ho dimenticato chi ho salutato e ho visto ciò Che ha manifestato dei suoi stati nascosti.
Ho visto il narciso dei suoi occhi che conduce Alla rosa delle sue guance di perle di violaciocca».
Disse allora: «Noi ti ripagheremo con una delle nostre donne e condivideremo con te la nostra ricchezza per il periodo della tua vita. Ti daremmo denaro per quanto ti arricchisca anche dopo la nostra morte».
Rispose: «Mai e poi mai si piegherà il mio animo a un’altra che lei né si pacherà senza che l’abbia vista».
Disse allora: «È possibile che sia morta tra quelli che sono deceduti e che se ne sia dipartita con quelli che sono trapassati. Non ti opporre quindi al destino, non lo contrastare e non perdere la tua vita nelle cialtronerie»
Disse: «Oh emiro, signore della magnificenza, è certo impossibile sentire nel mese di rajab le parole di shaʿbān160, non essere come il ricco che stanca l’affamato. Sappi che non ho predilezione che per lei anche se venissi a sapere della sua discesa nella tomba». Scorsero dunque le lacrime come un torrente e recitando pronunciò:
«Le spine si accumularono nell’animo di un amato che oppressero. La distanza tra di noi è la spiaggia di una costa.
Il mio sostare e il mio errare sono tutti nella loro aria.
Non vaga il mio pensiero su altro eccetto che su coloro che mai avrei amato. Loro nel mio cuore, ovunque fossi, hanno dimorato
160 Il mese di rajab precede shaʿbān e per questo motivo quindi sarebbe impossibile udire le parole
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E il loro ricordo alle mie orecchie divenne un pendente. Violato però il mio sangue, un giorno rivelai il loro segreto. Non fu rispettato il pattuito quando fu violata la clausola. Non mi venne in mente in alcun giorno di allontanarmi, Però proprio ciò decretò Chi ha potere e controllo. Mi sollevarono preferendo lui tra di loro.
E deprimerono la fortuna che scende e cala. Mi alzarono alle fracce e ho augurato ciò a cui Mi alzarono – il tempo farà giustizia.
Nel momento dell’addio non dimenticai le sue parole E fece cadere una perla con cui si orna la collana:
“Lascerai forse che io sia trattata ingiustamente senza crimine? Cercarai una terra in cui si fondono siccità e carestia?
Cercherai ciò che perisce e abbandonerai ciò che è duraturo? Non certo è questa equità, giustizia e onestà».
In quell’istante pianse l’emiro impietositosi per la sua condizione. Ordinò che fossero fatti i preparativi per il suo viaggio e gli diede tanto denaro quanto ne portarono dieci cammelli.
Gli disse dunque: «Va da tua moglie e recale i miei auguri. Non dimenticarti di me nella preghiera della mattina e della sera».
Uscii per salutarlo assieme ad alcuni fratelli e finimmo tra gli ultimi della folla.
Gli dissi: «Fammi conoscere il tuo nobile nome».
Rispose: «Abū al-Ẓafar l’indiano frutto autunnale ed invernale».
Quando montò il suo animale proferì: «Ritornatevene vi sia sufficiente il dolore! Lode a Dio “che ha messo ciò a noi161”».