• Non ci sono risultati.

La trentatreesima maqāma: quella di Adūnī

Narrò al-Nāṣir b. Fattāḥ:

Viaggiai per far vagare i miei occhi nelle bellezze di Adūnī. Vidi là i doni a cui si tende. Furono elargiti all’arrivo. Si contrasse allora la gran timidizza nei confronti delle sue donne bianche e nere. Uscivano queste un po’ alla volta dirette a un luogo noto come Rām Jahra e bevevano di notte alla sua sorgente. Al che mi ricordai, in virtù della loro bellezza, le fonti ultraterrene.

Vidi la sua moschea rivestita d’oro. Era stata costruita dal raʾīs degli abissini. Notai che l’aveva costruita su stili meravigliosi e modelli peculiari di cui, a chi descrive, è impossibile trattare. Chi vi si ferma per lo scintillio non sa se viene da innanzi a lui o da dietro di lui. Vidi là un gruppo che conservava in vita ciò che era stato studiato presso le assemblee dei compagni del Profeta e notai che i suoi ʿulamāʾ non menzionavano altro che l’imām al-Ashkhar148.

Non avevo ancora visto i suoi eroi che mi dimenticai di Antara.

Non avevo ancora visto le sue donne che chiesi misericordia per il re

ʿAnbar149.

Non avevo ancora visto i suoi uomini che la mia anima mi disse che erano zolfo rosso.

Non avevo ancora visto la sua terra che dimenticai il profumo e l’ambra. Piantai in essa dunque il bastone da viggio e resi la mia permanenza presso di lei la mia primaria aspirazione. Vissi là una di una vita piacevole temendo solo la fine del mio desiderio.

Accadde allora che entrò presso le sue parti uno straniero e ne fu recato danno ai suo grandi e ai suoi nobili.

147

Corano, 57:16.

148 Al-Ashkhar è probabilmente Muḥammad b. Abī Bakr al-Ashkhar al-Yamanī (m. 991/1583). 149 Il re ʿAnbar, menzionato come “Mālik ʿAnbar Shanbūsanjis” (al.Muḥibbī, 2007, vol. 2, pag. 230) è

142

Al che si riunirono questi presso l’emiro del paese e dicendo: «Si sono sciolte le briglie della nostra tolleranza, lui è di una fazione dei sudditi e il suo intento è di diffondere la rovina»

Rispose loro: «Tornate alle vostre case e non occupatevi di lui ma del vostro cibo».

Inviò dunque uno squadrone militare ma non si vidi più nessuno tornare da quel villaggio. Continuarono a essere inviati truppa dopo truppa e lui gli sgominava al punto che furono enormi presso le genti le perdite.

Poi, per un dono celato di Dio, fu messo alla prova lo straniero dalla passione per una donna indiana e cominciò così, per il suo amore, a non distinguere più il mattino dalla sera. Lei continuava a trattarlo con indifferenza – ando mostra della sua bellezza – e non permettendogli di giungere a lei. Fu così impossibilitato a combattere e a fare complotti e guerre. Inviò quindi l’emiro dei soldati per portarglielo vivo in catene. Promise che avrebbe dato a colui che glielo consegnava tutto ciò che avesse voluto e che avesse desiderato e ambito. Andarono così a lui marciando sulla groppa di cammelli. Era più giallo della curcuma150 e più magro della luna nuova.

Quando fu presentato al cospetto dell’emiro disse: «Questo è l’uomo vile da cui sono state compiute queste gravi azioni».

Chiese allora: «Tu sei colui che incute paura nelle strade e che permetti di venire nelle donne nella parte in cui non si deve151?». Rispose: «Io sono quello che ha portato i pesi, ha sconfitto i valorosi, ha soggiogato gli uomini e ha attraversato al- Rimāl152. Noto che tu mi scruti con disprezzo, ma se questo luogo fosse il luogo dell’orgoglio ti vedrei onorare! Invece, quando il destino decreterà la cecità e quando finirà il tempo, non sarà utile astuzia e armamento. Se non fossi stato afflitto dalla passione e dal fervente amore non mi sarei in questa situazione».

Sospirò dunque profondamente. Al che si alzò e recitò:

Ho attraversato terre la cui traversata non si spera.

Ho attraversato una terra che non è come una spada o il tappeto di

150

Curcuma, chiamata anche zafferano delle indie, è una spezia.

151 Viene fatto riferimento al noto divieto cui l’ḥadīth (al-Nisā’ī, 2001, Beirut, vol.8, ḥadīth 8962, pag.

199) “lā yanẓur Allah ilā rajul ya’atī ilā imra’a fī duburiḥā”.

cuoio delle esecuzioni capitali. Ho passato al guado mari da cui desistono le navi.

Quanto la disgrazia mi nocque, e quanto mi rallegrò il guadagno, Patii paure e alleviai tormenti.

Soffrii le vicissitudini e – quanto mi compromise l’acqua putrida – Sfidai gli eroi e studiai i loro limiti.

Mi battei con i leoni e non fui colpito dalla rovina

Ma, quando fui messo alla prova dall’amore, divenni ingiusto E desolato – e non si doleva per me il tronco e il ramo.

Perdetti la testa per la mia gazzella che come un ramo è magra, Che come la luna è bella ed è ornata dal mantello e dalla camicia. In uno sbattere di palpebre è giunto delegato

Alle gazzelle un messo senza diritto. Quando desiderai l’unione disse umiliando:

“Non chiedi forse l’unione a colui il cui compito è di dividere?” Si corruppe così il mio corpo e persistette nell’odio.

Divenni senza raziocinio e non sparsi lacrima. Furono condivisi tra me e lui rivelazioni,

Da parte mia era svilimento da parte sua soddisfazione».

Si impietosì così l’emiro per la sua condizione e lo perdonò per il suo grave errore. Lo invitò alla penitenza per le sue colpe, per le sue brutte azioni e per i peccati.

Chiamò l’indiana, ne ottenne il possesso e sposò i due. Certo per sua mano fu consegnata.

Gli disse: «Dalle una felice sorte e scrivi di tuo pugno quanto le è dovuto in dote».

Scrisse dunque quanto segue: “riferisco io – Abū al-Ẓafar l’indiano – che sotto la mia protezione e presso di me è l’orgoglio delle donne bint Mardās153 e cinquantamila parole di cinque uomini acuti del conio del rajah Rāma Dās”.

Viaggiai dopo che avevo risieduto per un periodo e lo invidiai per il sollievo che gli era giuto dopo la distretta.

153 Bint Mardās è il nome anche della poetessa ʿUmra Bint Mardās b. Abī ʿAmir al-Sulmā, chiamata

144

Documenti correlati