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La quarta maqāma: quella di al-Sukkur

Narrò al-Nāṣir b. Fattāḥ:

Continuai a percorrere mare e terra patendo gelo e afa. Dal viaggio furono sfinite le cavalcature. Quindi, infine, entrai nella città di Sukkur e da quel brutto nome ebbi un cattivo presentimento. Mi parve così stretta ogni ampiezza. Vi rimasi per giorni contati e, sapendo che gli auspici non erano dei migliori, ero nel supplizio e nell’angoscia.

Andai alla sede del suo giudice, quello che ha nelle mani la gestione di ciò che è vicino e di ciò che è lontano. Vedevo la gente accorrere da ogni strada più remota per interrogarlo su ciò che era vile e su ciò che era sublime. Eravamo là quando apparve uno shaykh con un lungo cinturone, come se fosse della tribù degli

ʿĀd. Portava per mano un ragazzo di cui si leggeva nelle pagine del volto la bellezza

– la prontezza nella lingua dell’adab ne costituiva certo il capitolo più puro.

Disse lo shaykh: «Sappiate giudice che le vostre sentenze sono come quelle passate. Ho speso nell’educazione di costui la mia esistenza. Nella sua formazione ho esaurito i miei mesi e i miei anni. Poi lui, quando scorse la canizie dei miei capelli, mi disobbedì e rubò una mia poesia».

Disse il giudice: «Come hai potuto derubare tuo padre quando ti aveva nutrito e cresciuto?»

Disse il giovane: «No – per Colui che ha creato gli esseri viventi, che ha spezzato le sementi e che ha versato nel mio cuore il più abbondante amore – non ho tradito il suo affetto e non ho rubato la sua poesia!»

Disse allora lo shaykh: «Ha rubato – per Dio – oh giudice, i miei versi in nūn e se li è attribuiti dopo averli volti in dāl». Proferì allora il giudice: «Rettifica la tua volontà interiore, proferisci i tuoi versi». Recitò allora lo shaykh:

Io sono a Delhi stamane e, siccome Ribelle, nelle mani degli afghani. Tra gente che non parla bene

Anzi, che mai conobbe il discernimento: Non credono al Signore nobile,

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Il loro credo è terreno come quello dell’Oman32.

Disse allora: «Lui cosa ha detto?» Recitò:

Io sono a Delhi stamane e, siccome Ribelle, nelle mani dei curdi.

Tra gente che non parla bene Anzi, che mai conobbe la ragione Non credono al signore nobile,

Il loro credo è terreno come quello di Ziyād33.

Giurò il ragazzo sulla letteratura – i suoi uomini, i suoi rami e i suoi pilastri – che non aveva mai sentito i versi citati. Li aveva invece ottenuti per ispirazione originale. Lo shaykh non ci credeva e mise in dubbio i suoi giuramenti. Il giudice fu disorientato da quanto vedeva.

Così disse: «Se Dio vorrà, la sentenza sarà domani e la mattina benedirà la gente il cammino notturno34».

Si oppose allora lo shaykh: «La sentenza sia in quest’ora, prima che si sciolga l’assemblea!»

Disse il giudice: «Ebbene, proferisca ognuno di voi dei versi amorosi di tipo serio e non di tipo faceto. Contengano metafore celebri come l’astro roteante, possa

32 Il credo dell’Oman si riferisce probabilmente alla dottrina kharijita cui l’Oman fu un importante

centro (Donner, 1999, pag. 45).

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Ziyād, secondo quanto commentato all’edizione del 1868 (pag. 16), fu un regnante kharijita.

34 “ʿInda al- ṣabāḥ yaḥmidu al-qawm al-surā”, “le persone loderannò la mattina il cammino notturno”

è un proverbio utilizzato come metafora di pazienza e perseveranza, nella raccolta di al-Maydānī (al- Maydānī, 1955, proverbio 2382, pag. 3) è presentato con la seguente narrazione: “Il primo a proferire questo proverbio fu Khālid b. al-Walīd quando, mentre era a Yamāna, fu inviato da Abū Bakr in Iraq. Questi volle passare per il deserto, gli disse allora Rāfiʿ al-Ṭā’ī: «L’ho percorso nel periodo della

jāhilliya ed è possibile con cinque cammelli, non credo ti sia possibile se non porti dell’acqua».

Abbeverò i cammelli a sazietà e poi li radunò. Imbavagliò le loro bocche e partì per il deserto. Quando due giorni dopo temette per l’arsura della gente e delle bestie, e temeva che andasse perso ciò che era all’interno dei cammelli, sgozzò i cammelli e prese l’acqua che era nelle loro pance. Poi proseguì. Alla quarta notte disse Rāfiʿ: «guardate! Vedete forse una grande luce? se così non fosse è la rovina». Guardarono lw genti e videro la luce. Lo informarono e proferirono ripetutamente “Allahu Akbar”. Si gettarono quindi nell’acqua. Disse dunque Khālid: (poesia) «A Dio si deve attribuire l’opera di Rāfiʿ ovvero che io sono stato condotto / Ha attraversato il deserto da Qurqār a Suwā / Dopo cinque giorni i soldati piangevano / Mai uomo prima aveva percorso tanto / Alla mattina la gente lodò il cammino

così io riconoscere il magro dal grasso e il vile dal prezioso. Vi notifico la sentenza coercitiva a cui si deve conformare chi sa parlare e a chi ha difficoltà ad articolare».

Recitò lo shaykh:

«Non già ottennero molte gazzelle il mio sangue,

in una stanza nel deserto al tempo della siesta e del riposo notturno? Sono stato costretto – nella fantasia – a baciarla sulla sua guancia. Sopraggiunsero allora la paura, la repulsione e la tristezza.

Mi portò all’orlo della contentezza. E disse:

“se è svanita la pianta aromatica odora il robusto cammello”.

Il giudice indicò quindi il ragazzo con il dito. Proferì sguainando la spada della sua eloquenza:

Si manifestò la luna piena all’orizzonte del desiderio

Come il germoglio che avanza impettito con leggiadre biforcazioni Che d’improvviso appare e passa

E non si ferma ma dice “lasciami”. La natura dei critici è la natura del male. Temo che sappiano di me,

giacché ho sopportato nel mio cammino per delle questioni. Ma la spiegazione non serve.

Mi perforarono le frecce quando mi guardavano Con le pupille. Accrebbe la mia paura

Che non mi stupirei se nessuno avesse mai temuto come me, Che nel dubbio stava per dire “prendimi!”

Sbigottì il giudice per la loro intelligenza, la loro chiarezza, la loro pienezza e la loro eloquenza. Venne a sapere che condividevano le briglie della miseria e che allo stesso tempo nelle competizioni delle lettere erano i destrieri. Disse allora: «Conciliatevi: la concordia è la miglior cosa».

Rispose lo shaykh: «La soluzione è nell’assenza di soddisfazione poiché io conosco la sua malafede!».

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Proferì il giudice: «Non mi è facile avere nelle mani la vostra separazione. Prendete questi mille dīnār e divideteveli al chiarore di questo giorno, dopo di che la questione e la decisione sarà vostra».

Prelevò il denaro lo shjaykh e uscirono dal suo cospetto. Camminai sulle loro tracce per domare il loro fuoco o assumere la loro luce. Lo raggiunsi sulla porta del Najd ed ecco! Era Abū al-Ẓafar l’indiano celebre per le sue brutture e ignominie. Il ragazzo era suo figlio di sicuro e senza dubbio. Me ne tornai così al mio posto e lo stupore camminava con me.

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