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La maqāma filologica

2.2 l’Isnad nella maqāma di Bāʿabūd

2.5.1 La maqāma filologica

Ogni maqāma ha un contenuto filologico: il protagonista ottiene, quasi in ogni narrazione, ciò a cui ambisce attraverso delle performance di eloquenza.

La maqāma filologica viene definita genericamente da Hämeen-Anttila come la maqāma in cui l’interesse filologico è la base di una parte della maqāma (Hämeen- Anttila, 2002, pag. 58). Tale interesse filologico si esplicita nella presentazione all’interno della narrazione di questioni letterarie, di gare di poesia e di discussioni su poeti e letterati.

In Bāʿabūd all’interno di questo genere si possono riconoscere tre cornici attorno questo interesse.

L’espediente che porta alla presentazione di questioni filologiche è (maqāma 4, 19) la citazione in giudizio presso un qāḍī da parte del protagonista riguardo l’originalità di un verso poetico. Lo shaykh Abū al-Ẓafar inscena una diatriba con suo figlio la quale non riesce a essere risolta dal giudice. In queste maqāma il protagonista portando in tribunale suo figlio dichiara di aver speso tutta la sua esistenza nella sua formazione e malgrado ciò il figlio gli ha derubato qualcosa. Il giudice infine, pur di risolvere la questione, risarcisce entrambi o consegna ai due una somma di denaro che devono dividersi autonomamente. Il contenuto filologico è costituito dall’esame che il giudice dispone per poter risolvere la lite. Il protagonista e il suo socio recitano così alcune poesie secondo le indicazioni dell’autorità.

In alcune maqāma (13, 16, 21, 49) il narratore assiste inoltre a una discussione di poesia presso la corte di un wālī o un governante. La questione che viene dibattuta sembra non avere soluzione fino a quando il protagonista interviene. Grazie a questa prova di erudizione il protagonista ottiene credito, una veste d’onore e denaro. Le questioni che vengono dibattute ripetono un indirizzo riconosciuto da Kilito per Ḥarīrī (Kilito, 1983, pag. 133): vi è infatti un’attenzione per il particolare o per delle questioni estremamente generali.

Tra i dibattiti su elementi specifici e particolari – ad esempio – nella sedicesima maqāma viene dibattuta l’attribuzione di un verso di Abū Tammām:

«Mai sentii uomo esser sincero come sincero è Abū Tammām: “Diceva a Qawmas il mio compagno, che già avevamo / Percorso il cammino guidando la marcia delle cavalcature: / È dove sorge il sole che vuoi portarci? / Risposi: No! ma dove sorge la generosità6”. Gli disse allora un uomo: «Oh sciocco, oh uomo di debole trasmissione, non sai che questi sono rubati a Ṣarīʿ al- Ghawānī7? È noto al lontano e al vicino! Le parole sono queste: “Diceva il mio compagno, che già era divenuto aspro per noi il viaggio / E le cavalcature avanzavano e presso i cavalieri erano le briglie, / È dove sorge il sole che vuoi portarci? / Risposi: No! ma dove sorge la liberalità”.

Nei dibattiti su questioni generali nella tredicesima maqāma presso una bettola Abū al-Ẓafar risolve la lite scatenata al che uno afferma:

«Com’è fine il verso degli arabi e come lo è quello che porta all’estasi! Com’è sincero il verso della gente di rango! Com’è mendace presso gli uomini delle lettere!» Dissentirono allora come i nemici e litigarono come quelli che si odiano. […] Disse Abū al-Ẓafar: «Ascoltate e accontentatevi dell’errore. La miglior espressione è quella che è breve e indicativa. Il più fine dei versi è quello del re errabondo8 ed è quello che porta all’estasi nella bella assemblea. Se se ne decide l’ascolto nelle riunioni, è il più piacevole

6 La stessa questione riguardante l’attribuzione di questi versi (presentata in questa maqāma) è stata

trattata anche da ibn Khallikān (608/1211-681/1282). Data la corrispondenza dei due versi presentati (yaqūlu fī Qawmas ṣaḥbī wa qad akhdhat / minnā al-surā wa khtā al-mahrya al-qawdi / a maṭlaʿ al- shams tanwī an tu’am binā / faqultu kallā wa lakin maṭlaʿ al-jawd; e i versi: yaqūlu ṣaḥbī wa qad jaddū ʿalā al-ʿajl / wa al-khayl tastannu bi’l-rukbān fī al-sujmi / a magrab al-shams tanwī an ta’um binā / faqultu kallā wa lakin maṭlaʿ al-karm”) l’autore potrebbe aver attinto da questa fonte (Wafayātu

al-Aʿyān, a cura di Iḥsān ʿAbbās, ed. 1968 vol.3, pag. 83, voce 343 “ʿAbd Allah b. Ṭāhir”. Di cui la

traduzione: Mac Guckin de Slane, 1843, Ibn Khallikan’s Biographical Dictonary, vol. 2, pag. 49, voce, nella traslitterazione di de Slane, “Abd Allah ibn Tahir”). Il verso di Abū Tammām è anche in:

Sharḥ Dīwan Abī Tammām, a cura di Abū Zakariyā Yaḥyā b. ʿAlī Khaṭīb al-Tibrīzī, ed. 1994, vol. 2

pag. 517.

7 Ṣarīʿ al-Ghawānī è Muslim b. al-Walīd al-Anṣārī morto nel 208/824.

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all’udito. Quanto al verso più vero, è quello di Labīd9. Mentre il verso più mendace è quello di al-Muhalhal al-Mushīd10».

Il contenuto filologico viene fornito inoltre nel contesto dell’assunzione da parte di un regnante di un poeta o di un segretario. Per potersi guadagnare il ruolo, il figlio di Abū al-Ẓafar da sfoggio della sua eloquenza e improvvisazione poetica. Nella quarantottesima maqāma il protagonista interroga in versi il figlio riguardo a delle questioni di diritto:

In quell’istante allora l’uomo si alzò sui suoi piedi e indicò suo figlio: «Che cosa dice l’imām del tempo nostro signore / Riguardo al malato estenuato dal desiderio e dal pensiero? / Gli è permessa la rappresentazione della sua amata / Nel suo cuore? o sostenete che la sua azione è una pericolosa?» Si affrettò il ragazzo alla risposta e disse senza esitazione e titubanza: «Dico che per la rappresentazione dell’amato non vi è obiezione / E su ciò non v’è dubbio ed esame. / Tratta il divieto di rappresentazione quanto si legge / Negli ḥadīth e abbiamo detto che è reso noto ciò che è nocivo».

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