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La quinta maqāma: quella di al-Aḥsan Ābād

Riferì al-Nāṣir b. Fattāḥ:

Fu stabilito che fossi messo alla prova da un tormento le cui onde si frastagliavano e le cui frotte si accalcavano. La causa di ciò è che ero in compagnia di un cucciolo di leone del califfo che nessuno poté mai contraddire e commisi un errore – ogni stallone ha la sua caduta. Fu capovolta così la mia condizione e fu preso quanto mi era stato dato.

Mi dissero poi: «Se ti votassi al santo sayyd seppellito a Aḥsan ʿĀbād per ottenere quanto desideri, il tuo desiderio sarà esaudito e chi t’invidia sarà umiliato».

Mi votai così a lui giacchè si addiceva alla mia condizione e gli diedi il mio denaro. Confidai nel voto le mie speranze e non passarono giorni, se non pochi mesi, che si aprirono le porte della gioia e della letizia. Presi allora la decisione giusta: andai a visitare quella tomba. Rimasi un periodo attorno a quel nobile giardino girando e ammirando le sue sublimi valli. Assistetti poi alla visita che si compie dall’anno della sua dipartita e non dall’anno della sua nascita. Vedevo la gente entrare a frotte e a frotte: sapienti, ricchi, poveri e principi. Nessuno volgeva lo sguardo ad alcuno nel gruppo come se fosse l’ora del giorno della resurrezione. Giunse infine un uomo che credetti un re per la sua maestosità, sontuosità e la venerazione della gente. Mi porse una rosa ed io la accettai. Gli presi la mano e la baciai. Si prostrarono allora al suo cospetto. Biasimai ciò nel mio cuore. La vena della collera fra i suoi occhi si alzò allora e mi additò con entrambe le mani. Disse: «Non criticare colui di cui non conosci la natura e che eccede nel glorificare e

magnificare! Si prostrano infatti al suolo in direzione della nobile casa e verso il suo sublime angolo destro. Tu non li hai visti, giacché ciò che conta è la vista interiore, non quella dell’apparenza. Per questo motivo accetta i santi – e quanti uomini sono!

Se non hai visto la mezzaluna allora fidati Della gente che l’ha vista con i suoi occhi».

Mi affidai a lui per la questione e chiesi scusa per l’errore.

Uscì, poi, da quel campo per un campo vicino che non era né lungo né largo. In questo campo fecero tappa i pellegrini nel loro ritorno. Vi passarono la notte della loro andata. Quando sedette in mezzo a loro le genti gli diedero il benvenuto e diressero a lui lo sguardo.

Si rivolse dunque a me dicendo: «Se ci permettesse il suo proprietario soggiornarvi, vi risiederemmo, ce ne rallegreremmo e la gente proverebbe piacere nell’abitarci».

Risposi: «Ma che si può fare in un campo la cui larghezza è a discapito della sua lunghezza?»

Si agguantò allora la barba, scosse la testa, si chinò e sospirò. Aveva capito che la gente era come una mandria di bovidi e non vi era uno che distinguesse tra quella dei poeti35 e quella delle bestie36.

Disse ai pellegrini: «Oh genti! La compagnia è durata per un’ora, l’amore rimanga fino a quell’ora – enell’esortazione religiosa e specialmente nel timore del peccato. Vedo che questo posto non è sicuro. Mi è venuto alla mente che veniate con me nel mio podere, nella terra della mia tribù e della mia famiglia. Dormirete nella sicurezza, poi andrete ai vostri posti».

Si conformò la gente al suo ordine. Dissero: «L’ascolto e l’ubbidienza!».

Camminò innanzi alla gente. Loro combattevano tra il cammino e il sonno. Quando il paese era vicino li precedette così da preparare loro il posto e il mangiare. Appena arrivarono furono fatti introdurre in case arredate i cui muri erano tinti d’oro. Offrì loro cibo su piatti cui si precipitarono come cavallerizzi gomito, gomito. Mangiavano chi seduto, chi in piedi e chi in sella. Quando si lavarono le mani girò

35 Quella dei poeti, al-shuʿarā’, è la ventisettesima sura del Corano. 36 Quella delle bestie, al-anʿām, è la settima sura del Corano.

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attorno a loro con l’incenso e fiori di violacciocca37. Pregarono allora che per lui – per il tempo ameno, per il nutrimento della sincerità e della fedeltà – gli angeli portassero sulle loro ali superbe armature ed equipaggiamenti.

Quanto ai loro beni e cavalcature, erano stati depositati in una casa con due porte. La controllavano e con ciò era calmo il loro animo.

Disse lui: «Dovete sapere che l’ospitalità e d’obbligo di tre giorni presso la gente del deserto. Vi prego, nel nome di Chi vi ha riunito qua questa notte, di non privarmi di questo piacere».

Risposero: «La questione è tua, certo non vorremmo gravare su di te».

Quando poi giunse il quarto giorno – e i miei compagni erano nei loro letti – mi accorsi che lo shaykh aveva preso tutto da quello che era grande a quello che era misero. Se ne era andato da dove era venuto. Gli corsi quindi dietro e infine lo raggiunsi. Lo minacciai e lo rimproverai. Al che mi guardò bieco, poi prese la strada. Tornai dalla gente. Si erano destati dal sonno. Non ebbero giornata più dura.

Andarono quindi insieme dagli abitanti del villaggio. Gli dissero: «Voi avete senza dubbio i nostri beni».

Risposero però: «Non conosciamo quest’uomo! Ebbe da noi in affitto queste case e perciò, quando raccolse il denaro e partì, pensammo che fosse il suo denaro con cui poteva fare ciò che voleva». In quell’istante realizzammo che era il famoso Abū al-Ẓafar. Ce ne andammo ed eravamo rassegnati come lo sono i miscredenti di fronte ai morti38.

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