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La prima maqāma: nota come quella di al-Surat

Narrò al-Nāṣir b. Fattāḥ:

Chiacchieravo con alcuni fratelli sulle meraviglie dei paesi che dicevano: «È noto, arcinoto e ha riempito le orecchie che la terra dell’India contiene tutte le meraviglie terrene e che vi è il benessere che successive domande non richiede». Anelai allora a lei come l’assetato desidera l’acqua, come l’emigrato aspira il rimpatrio, come l’afflitto sogna la gioia o come l’indigente brama la donazione. Non smisi di pensare allo stratagemma per raggiungerla e che mi ci avrebbe mandato da una qualsiasi direzione. Mi dissero che la gente di questa città voleva inviarci una nave. Feci dunque i miei preparativi e mi approntai a salire sull’imbarcazione degli stranieri. Mi affidai quindi al Signore della creazione e salii sulla barca. Da allora vagammo per porti e sopportammo grandi paure. Quando poi infine tememmo il distacco delle anime, apparve noi il molo di Surat la ben custodita e scendemmo in quella terra femminea, nel paese fondato sulla bellezza. L’esperienza reale sminuì quelle che erano state le notizie: l’orecchio non aveva sentito delle bellezze che l’occhio scrutava. Fummo accesi dalle sue luci brillanti, toccammo con mano i suoi

18 “Chi è ignorante in qualcosa ne è anche avverso”, “Man jahila sha’yan ʿādāhu”, è un ḥadīth (al-

mari abissali e pregammo la pioggia alle nuvole di al-ʿAydarūs19. Mi fermai lì del tempo nella tranquillità dopo quell’affanno.

Accadde che un giorno mi allontanai per recarmi nei suoi giardini e luoghi ameni la cui bellezza è scritta nelle sue guance.

Il giardino della bellezza è qui amanti Con fiumi e coppe di sorgenti

Rose si colgono in ogni dove Credenti entrate con la pace.

Vidi al mio ingresso un uomo seduto presso la porta il quale parlava con i suoi compagni.

Gli chiesi chi fosse il giardiniere. Disse: «Un uomo retto». Lo interrogai, quindi lo onorai, lo rincuorai e lo ossequiai. Prese così a richiamare alla mente paesi e quanto contengono in giardini, specie di frutta e piante aromatiche. Disse: «Ma questa è solo l’anticamera dell’India! Se avessi visto le sedi di re ed eserciti diresti: “ciò che vedo qua è qualcosa d’insignificante! ho visto e rivisto paradisi e regni immensi”. Mi fece sobbalzare il desiderio per ciò che aveva delineato, come per chi trionfa e rende giustizia. In quel momento mi alzai, salutai i miei fratelli, rettificai la mia volontà interiore e montai sulla mia cavalcatura.

Continuai a tener sciolte le briglie fino a quando non mi apparvero delle tende. Ci si rallegrò della mia presenza e del mio arrivo. Poi, dopo che vi entrai, osservai, ecco: le sue case erano capanne e baracche, tra i suoi abitanti i miseri erano la maggioranza e i migliori di loro erano la minoranza.

Continuai a sopportare il dolore e a tollerare l’insoddisfazione. Mi apparve dunque un uomo cui erano caduti i denti per la vecchiaia. Non mi scorse la pupilla

19 Al-ʿAydarūs è il nome di una famiglia originaria del Ḥaḍramaūt di discendenza profetica. Il suo

capostipite, in Yemen, è il sufi ʿAbd Allah ʿAydarūs b. ʿAlī b. al-Ḥasan b. ʿAlī b. Abī Bakr (m. 865/1508), la quale tomba, presso la moschea di al-ʿAydarus a Aden dal 914/1508 è una meta di pellegrinaggio (Engseng Ho, 2006, pag. 38). Oltre alla diffusiona che ebbe in India, come in gran parte dell’oceano indiano, tra i suoi illustri discendenti conta il sufi Shaykh b. ʿAbd Allah al-ʿAydarūs (918/1513- 990/1582) nato a Tarim, Ḥaḍramawt cui furono dedicati alla sua morte un santuario ad Ahmadabad, capitale del Gujarat dove visse, e altre sedi di pellegrinaggio a Broach e Surat (Engseng Ho, 2006, pag. 161). ʿAbd al-Raḥmān b. Muṣṭafā al-ʿAydarūs (m.1192/1778) è il nome di un letteratoche conobbe l’autore. ʿAlī b. Muṣṭfā al-ʿAydarūs, morto in a Surat (1127/1715) fu pianto in una poesia dall’autore (Maqāmāt al-Naẓriya, a cura di ʿAbd Allah Muḥammad al-Ḥabashī, ed.1999, pag. 14).

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sotto le sue palpebre per la forte debolezza. Avanzai così verso di lui e mi lagnai della mia condizione.

Dopo aver sentito la storia del mio viaggio e delle sue cause disse: «Alza le tende dalla terra in cui sei umiliato!»

Risposi allora: «La mia è una condizione di bisogno, non possiedo dirham che metà, l’ultima».

Rifletté per un’ora dopo la quale si erano profuse le imprecazioni e le rassegnazioni. Poi si alzò e affermò: «Cammina con me, prendi parte alle mie scorte di cibo». Camminai con lui e lui m’intratteneva con i più bei discorsi.

Infine giungemmo ad un castello costruito di palazzi su palazzi come fosse una collana in petto alle nubi. Entrò innanzi a me nel suo salone e lo onorarono i più eminenti cortigiani e compagni.

Proferì: «Informate il ministro che gli ho portato il genio della poesia dello Yemen, il sigillo dei poeti del tempo. Non ce ne partiremo se non ci avrà ricevuto lui e la sua cerchia di collaboratori numerosa e folta». Aveva ecceduto nel glorificarci, nello stimarci e nell’onorarci, così come lo shaykh aveva certo esagerato nel presentarmi con ciò che riempie le orecchie. Mi aveva descritto in una posizione in cui non è il settimo cielo. Il ministro dispose allora per me la veste d’onore lucente e mille Aḥmar ʿĀlamkīriyya20. Si alzò allora il ministro dal suo posto inviolabile e lo shaykh ricevette la veste e il denaro per il suo servizio. Mi diede quindi tre dīnār ordinando: «Dalli al cortigiano del ministro. Mi incontrerai poi in quel tal posto così che ti consegnerò il denaro e la veste». Rimasi con animo sereno giacché lui era nella sua terra e, se fosse mancato, mi avrebbero indicato alcuni suoi vicini. Rimasi ad aspettare sulla porta dell’emiro in attesa del cortigiano fino a quando il sole non fu coperto dall’orizzonte. Andai dunque all’alloggio dello shaykh ma non lo trovai a quell’indirizzo. Passai la notte davanti alla sua casa con fame e sete, illudendomi con il “forse” e con il “può darsi”.

Quando gli uccelli si svegliarono dal sonno e apparve la mattina con i suoi segni e splendore, girai per le case del quartiere chiedendo se l’uomo fosse vivo o morto. Nessuno aveva notizia, non aveva lasciato traccia.

20 Aḥmar ʿĀlamkīriyya, anche scritto come ʿālam qīriya e ʿālama akbariya, riferisce secondo al-

Habshī a una moneta d’oro coniata in origine dal sultano Mughal Aurangzeb (1029/1618-1118/1707) (al-Ḥabashī, 1999, pag. 27).

Quando poi avevo perso la speranza per le mie richieste, un ragazzo mi si avvicinò, diede il benvenuto al mio esser straniero e disse: «Sappi che quest’uomo non lo conosciamo se non per i giorni in cui è venuto in visita a noi. Da quando è uscito con te non è più tornato».

Chiesi allora: «Qualcuno forse conosce il suo nome, il suo kunya, la sua famiglia o la sua tribù?»

Rispose: «Quest’uomo malvagio – le cui nefandezze sono sia vecchie che recenti – è conosciuto ora come lo shaykh del Najd, ora come Abū al-Ẓafar l’indiano». Mi morsi dunque il dito indice dal rammarico e mi calmai con Abū Dulāma21.

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