• Non ci sono risultati.

La produzione coloniale

IL PROCESSO PRODUTTIVO STORICO

4.2. L'agricoltura in epoca coloniale

4.2.7. La produzione coloniale

La conquista non produsse nessun nuovo miglioramento della produzione agricola. Nelle zone periferiche gli agricoltori ancora insediati avevano dovuto apprendere i metodi di coltivazione per soddisfare i padroni. Le colture precolombiane che si basavano sui tuberi come la patata, la manioca, ma anche il mais, la zucca, i fagioli, non erano appetibili agli spagnoli. Dal 1532, ogni nave che approdasse nel Nuovo Mondo doveva trasportare semi, piante vive e animali domestici per garantire il vettovagliamento comune ai conquistatori. Negli altopiani, le colture europee furono accuratamente adattate all'altitudine: il grano poteva crescere fino ai 3.500 m, l'orzo fino ai 4.000 m. Il governo giunse a scoraggiare la produzione di alcune colture nel Nuovo Mondo, poiché incidevano negativamente nel bilancio commerciale di olive, seta, canapa e vino. Poiché gli spagnoli richiedevano il tributo in specie, gli indigeni dovettero adeguarsi a produrle. La diffusione del bestiame avvenne rapidamente nelle praterie americane e, in particolare, le pecore furono ben accette dagli indigeni degli altopiani come pure i cavalli.

Nella fascia costiera, il processo di cambiamento nella produzione agricola fu

74 La percentuale più alta corrispondeva alle piantagioni di canna da zucchero e vigneto, con un 50% del valore totale.

particolarmente profondo per la messa a coltura della canna da zucchero e della vite e per l'uso della trazione animale.

Già nel 1553, Cieza de León aveva commentato le numerose piantagioni di canna da zucchero nella regione Nazca:

“In questa valle di Ica si cammina in incantevoli vallate i quali sono stati in passato popolati e i fiumi abbeveravano i campi e le valli [...] e poiché in queste valli fertili come ho già detto è stato piantato in molti di essi, canneti dolci, che fanno molto zucchero e altri frutti lo portano a vendere nelle città di questo regno […]” pp. 203.

In un altro passo Egli rimase profondamente impressionato dalla fertilità dei terreni irrigui della costa e della sierra peruviana, manifestando che “le seguenti generazioni avrebbero testimoniato l'esportazione in altre parti d'America spagnola di grano, vini, carne, lana, seta” (Ibid, 1553).

Nel vicereame del Perù, si individuarono aree di colture predominanti anche se non si può parlare di una specializzazione assoluta. La coltivazione della vite e la produzione di vino e brandy si concentrarono in Ica e Moquegua, a sud di Lima, e anche se il mais rimase un alimento diffuso, i coloni bianchi prediligevano il grano che attecchiva assai bene. Alla fine del periodo coloniale anche il riso assunse un ruolo alimentare importante, sviluppato particolarmente nella zona di Trujillo, invece la produzione di cotone si diffuse su larga scala dal XVII secolo in Lambayeque (Burga, 1976).

Nonostante lo sviluppo in grande scala dell'agricoltura, le minacce agli interessi commerciali peruviani si manifestarono già dalla metà del XVIII secolo con il progressivo spostamento del mercato manifatturiero in Inghilterra, con l'abbandono delle piantagioni di canna da zucchero, determinato questo dal calo dei prezzi per la concorrenza caraibica e brasiliana76, che danneggiò le colture della costa settentrionale peruviana. Grandi distese di terra furono convertite a pascolo e alla coltivazione di tabacco. Con il deprezzamento della canna da zucchero, le piantagioni dell'Urubamba, Vilcabamba, Calca e Lares in Cusco, furono sostituite da coca77, soprattutto nell'Alto Perù quando i ricchi giacimenti minerari di Potosi passarono al Vicereame del Río de la Plata appena creato.

Sulla sierra più che sulla costa si conservarono le tecniche di produzione precolombiana. L'aratro trainato da buoi e la chaquitaclla o “aratro di piede” erano utilizzati indifferentemente, la combinazione delle due tecniche si evidenzia anche nella dicotomia mais-frumento, patate-fave, coca-zucchero, lama-pecora. Anche se in alcuni

76 Lo zucchero brasiliano passò a formare parte della produzione del nuovo Vicereame del Río de la Plata con l'apertura legale al commercio estero del porto di Buenos Aires nel 1776, un vero punto di svolta.

77 La coca fu il bene più importante dall’inizio della colonia fino al XVII secolo, quando cominciò a declinare la sua rilevanza in termini di guadagni nei mercati spagnoli, ma non nel caso degli indigeni, poiché la coca era una merce essenziale alla società indigena, e gli spagnoli avevano immensi guadagni da questa coltura. Con l’avvento degli spagnoli, la coltivazione e l'uso si diffusero in modo esponenziale. Un conoscitore dell'epoca, Polo de Ondegardo (1561), stimava che la produzione di coca fosse aumentata di 50 volte rispetto al periodo antecedente al 1532. Un altro informatore affidabile Damián de la Bandera (in Chocano, 2010), stimava l'incremento in circa 40 volte. D’altra parte Matienzo (1567) sosteneva che la coca fosse triplicata nel 1567, e rispondendo alle posizioni che cercavano di vietarne la coltivazione, egli segnalava che “cercare di togliere la coca è volere che non vi sia il Perù”. Le ragioni che adduceva Matienzo si focalizzavano sul fatto che la coca, come il cacao nella Nuova Spagna, funzionavano come moneta per gli

casi nicchie ecologiche favorevoli permisero la produzione di flora e fauna europee e autoctone, il bestiame importato invase le terre riservate all'agricoltura e le unità di produzione ad integrazione verticale appassirono. Le terrazze e l'irrigazione continuarono ad essere utilizzate ma in grado minore. Il riassetto agrario regionale fu subordinato dalla domanda e da fattori ambientali, negli scambi produttivi ad essere salvaguardate furono le aree poste lungo le vie di collegamento ai centri minerari, porti, piantagioni di zucchero, centri di manifattura artigianale. La fluidità dei trasporti dipendeva rigorosamente dal clima che spesso determinava l'impraticabilità delle vie di comunicazione. Tutti questi fattori limitavano il consolidamento della monocoltura o l'economia di piantagione.

Le piante e gli animali del Vecchio Mondo cambiarono completamente l'essenza delle risorse del continente. Dopo un primo periodo di dipendenza dai cibi locali, oggetto di compenso tributario, gli spagnoli si trasferirono nei centri urbani intessendo reti ortofrutticole e fattorie di allevamento. Così facendo, l'economia basata sul valore di scambio si è imposta all'economia tradizionale indigena fondata sul valore d'uso, sul lavoro collettivo e sulla pratica del baratto.