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La perdita delle conoscenze tradizional

LE CONOSCENZE TRADIZIONAL

5.2. La perdita delle conoscenze tradizional

Oggi, molti sistemi di conoscenze indigene sono a rischio di estinzione per i rapidi cambiamenti degli ambienti naturali e la veloce evoluzione in ambito economico, politico e culturale su scala globale. Le pratiche svaniscono man mano che diventano inadeguate e, diminuiscono la loro competitività alle nuove sfide per il loro lento adattamento. Infatti, molte conoscenze scompaiono per l'intrusione di tecnologie esterne o concetti di sviluppo che promettono guadagni o soluzioni a breve termine, insostenibili nel tempo. La tragedia dell’oblio imminente dei saperi è più evidente a coloro che l'hanno sviluppato come loro mezzo di sostentamento.

La ricerca sul campo ha individuato molteplici esempi di perdita delle conoscenze tradizionali, dell'impoverimento genetico in piante e colture, oltre che in lingua, tradizioni, etc., il recupero delle conoscenze tradizionali risulta imperativo per contrastare gli effetti nocivi dell'incremento della produzione agricola estensiva che sta danneggiando le principali risorse (terra, acqua, piante, etc.) ambientali di cui milioni di persone dipendono per la loro sussistenza, inoltre le pratiche tradizionali sono tra i principali strumenti da considerare per lo sviluppo rurale.

Sebbene molti agricoltori pur riconoscendo la perdita delle loro conoscenze e ne ignorino le cause, le loro storie rappresentano tracce di numerosi fattori che hanno influenzato questo oblio. Verranno pertanto analizzati alcuni fattori di ordine politico, economico, sociale, culturale che comprendono alcune variabili di seguito sotto descritte:

 La globalizzazione

Guardando alla perdita di informazioni intese quali conoscenze tradizionali, Wolff e Medin (2001) suggerivano che la “modernizzazione” porta ad una rarefazione delle conoscenze complice il passaggio dalle aree rurali a maggiore coinvolgimento di nozioni ed esperienze a contesti urbani meno esigenti104.

L'intensificazione dell'agricoltura nel XX secolo ha rappresentato un cambiamento di paradigma dei sistemi agricoli tradizionali e il passaggio alla meccanizzazione, alla standardizzazione delle colture, alla sostituzione della manodopera, all'uso di fertilizzanti e pesticidi chimici, producendo un incremento significativo della produttività.

Con l'avvento dell'era industriale e la globalizzazione si è venuto a creare un processo di omogeneizzazione della produzione con conseguenze rapide anche gli aspetti culturali. Nel mondo contemporaneo vi è una crisi di diversità naturale e culturale, minacciate entrambe dalle tendenze del progresso e della modernizzazione riconducibili ai principi della concorrenza, della specializzazione, dell'egemonia e dell'uniformità. Il successo del paradigma industriale dell'agricoltura industriale percepisce la diversità culturale e naturale come un problema.

Gli impatti sociali e le implicazioni della moderna biotecnologia agricola hanno le loro origini nella cosiddetta “Rivoluzione Verde” degli anni '60 e '70 del secolo scorso, movimento agricolo di grande successo dove le nuove varietà vegetali ibride, in associazione con una migliore irrigazione, con l'uso di fertilizzanti e pesticidi, e la meccanizzazione hanno consentito rese di ottenere rese molto elevate. Venne così incentivata l'omogeneità attraverso la coltura di varietà geneticamente uniformi di mais, grano, riso; in zone con un alto potenziale irriguo, gli erbicidi hanno rimpiazzato la preparazione del terreno e hanno fornito un'alternativa alla rotazione delle colture eliminando specie indesiderate. La rivoluzione verde è stata fortemente incoraggiata in Asia e nell'America Latina nel tentativo di promuovere lo sviluppo dei paesi del Sud del mondo attraverso la modernizzazione dei sistemi agricoli tradizionali. Gli agricoltori furono in tal modo invitati ad abbandonare le colture tradizionali per adeguarsi a sistemi ad alto rendimento produttivo.

La Rivoluzione verde nel tempo non dimostrò di essere la panacea promessa, soprattutto in molte grandi aree di paesi dell'allora “Terzo Mondo”. Mentre globalmente venne posta in atto questa rivoluzione, nel Perù si avviava la riforma agraria che modificava profondamente l'agricoltura del paese. A partire degli anni '80 cominciavano a formarsi le aziende ad alto capitale di investimento, con uso di tecnologia moderna, irrigazione artificiale finanziate dallo Stato, gestione imprenditoriale nelle valli costiere, che con la loro posizione garantivano le esportazioni. Sulla sierra permaneva un sistema minifondista con produzione di sussistenza.

La Rivoluzione verde è stata certamente un fattore chiave per evitare la fame, ma ancora oggi la malnutrizione colpisce due miliardi di persone e più di 800 milioni soffrono la fame (FAO, 2013). Ovviamente sono indiscutibili l'alta produttività e il riflesso dei benefici crescenti di alcune colture, tuttavia a volte, questi benefici sono lenti nel raggiungere quelle zone che non sono adeguatamente integrate nel circuito economico e vi è da considerare che le rese incrementate non sembrano corrispondere a miglioramenti nel benessere delle popolazioni.

Oltre ai successi della Rivoluzione verde sono diventati manifesti anche i suoi effetti negativi, con grandi impatti in termini di costi sociali e ambientali nei paesi in via di sviluppo. Evenson e Gollin (2003) hanno fornito una valutazione

approfondita della Rivoluzione Verde, nella quale si evidenzia come nel periodo 1960-2000, i centri internazionali di ricerca agricola in collaborazione con i programmi agricoli di ricerca nazionale hanno contribuito allo sviluppo di varietà ibride in molte colture con interessanti aumenti della produzione agricola. Gli incrementi di produttività tuttavia sono stati irregolari: i consumatori in generale beneficiavano della riduzione dei costi alimentari che ricadeva sugli agricoltori non sostenuti adeguatamente dalla riduzione dei costi all'origine. Chi ne ha beneficiato in grande quantità sono state le multinazionali che producevano macchinari agricoli, fertilizzanti chimici e seminativi in monopolio, e l’industria alimentare per la diminuzione dei prezzi dei prodotti agricoli.

I raccolti abbondanti hanno attratto di converso un'ampia varietà di parassiti da debellare con l'uso di pesticidi chimici in maggiore quantità. Inoltre, le nuove specie di colture sono state selezionate in modo da poter adattarsi ad un areale assai vasto (riduzione della fotosensibilità) e a diverse latitudini. Insieme alla recrudescenza di parassiti, gli effetti negativi sulla fertilità del terreno dovuto all'applicazione indiscriminata di fertilizzanti chimici e pesticidi ha finito per degradare il suolo, inquinare le acque e l'ambiente con un danno ecologico insostenibile.

Presago di quanto accadeva, Swaminathan (1968, in Ammann 2007) aveva

avvertito degli sviluppi indesiderati legati alla Rivoluzione verde: l'avvio dello sfruttamento agricolo senza una corretta comprensione delle diverse conseguenze di ognuna delle modifiche introdotte nell'agricoltura

tradizionale, senza aver costruito prima una vera e propria base scientifica e di formazione per sostenerlo, può portarci nel lungo periodo ad una catastrofe della produzione agricola. Le lezioni tratte dalla Rivoluzione verde non sono che i passi compiuti verso produzioni redditizie che non ha tenuto conto della salvaguardando dei suoli, dell'acqua, della biodiversità. Vi è necessità di nuovi approcci e politiche rinnovate per affrontare la produzione alimentare senza compromettere le risorse naturali da cui dipendiamo.

Pertanto, la crescita economica dovuta alla cosiddetta “modernizzazione” dell'agricoltura ha implicato una maggiore concentrazione delle risorse in poche mani e una maggiore disuguaglianza nella distribuzione dell'eccedente. Tale situazione comporta alti tassi di povertà, migrazioni, bassi prodotti lordi, deterioramento delle risorse naturali.

Le conseguenze sul tessuto sociale sono pesanti: il fenomeno ha comportato una drastica riduzione del lavoro impiegato nei sistemi agricoli; nel caso peruviano ha provocato l'esodo massiccio dalle campagne alle città. La migrazione sia nazionale che internazionale è un aspetto focale della globalizzazione; i flussi verso le aree urbane producono cambiamenti nelle conoscenze ancestrali e tradizionali sul trattamento delle piante e sulla produzione agricola. In questi ambienti per certi aspetti nuovi (di solito multietnici), i migranti si trovano ad affrontare una serie di pressioni sociali, economiche, ambientali e sanitarie rispetto al loro luogo d'origine. La velocità di questi fenomeni è tale da non consentire un graduale assorbimento dei nuovi arrivati, generando gravi tensioni e scontri, fattori che contribuiscono ulteriormente alla perdita di nozioni tramandate.

La trasformazione delle tecniche di coltivazione sulla costa come nelle aree produttive delle valli interandine ha influito negativamente sulla qualità delle colture ecologiche e anche sul paesaggio. La sostituzione della tecnologia autoctona con quella importata ha prodotto la perdita di gran parte delle conoscenze agricole tradizionali, producendo profonde ripercussioni sulla sopravvivenza della diversità culturale.

Negli ultimi anni, l'espansione agraria e zootecnica rivolta soprattutto all'esportazione ha avuto importanti conseguenze: i lavori a bassa produttività sono scemati, la superficie coltivata con prodotti tradizionali come mais, legumi, patate, grani, si è notevolmente ridotta; la struttura agraria segue un rapido processo di concentrazione nel possesso della terra (soprattutto sulla costa) in mano alle grandi aziende agro-industriali, ciò alimenta la precarizzazione del livello di vita rurale, in generale dei piccoli agricoltori e contadini, per nulla competitivi nell'accesso a capitali e tecnologia intensiva.

Esiste un altro aspetto che ben si presta a rilevare il contrasto: si tratta dell'organizzazione su basi imprenditoriali della produzione agricola. Questo sistema rappresenta il limite estremo in fatto di razionalizzazione della produzione e della centralizzazione del controllo organizzativo, dove la moderna industria ad alto livello tecnologico sta trasformando l'agricoltura in un'attività altamente redditizia intorno a cui ruota un imponente giro d'affari. Una recente variante dell'agricoltura industriale, sviluppata negli Stati Uniti, si chiama agricoltura di precisione. Si tratta di un sistema di gestione basato principalmente sulla combinazione di tecnologie informatiche di segnalazioni in rete, di monitoraggio via satellite e di sistemi di guida automatizzati per macchine agricole. L'agricoltura di precisione consente di risparmiare tempo ed energia, riduce le applicazioni inutili di prodotti chimici e acqua, può portare ad un'agricoltura più ecologica con una maggiore resa. Anche se questo tipo di agricoltura non contraddice i principi fondamentali dell'ecologia, bisogna prevedere le conseguenze di tipo sociale.

Il cambiamento economico alimentato dal capitale e dall'occupazione dei mercati porta ad un collasso ecologico che circoscrive la produttività e la sostenibilità tradizionali. La tradizione secolare nella conservazione delle derrate in territorio andino è ormai compromessa da forze politiche ed economiche esterne. Si accelera il degrado delle risorse naturali con conseguente erosione delle risorse genetiche; crolla l'organizzazione sociale delle comunità comportando la perdita delle tradizioni. Nel contesto di un delicato equilibrio socio-ambientale può essere necessario molto tempo prima che un'innovazione sia assimilata fino a stabilire nuovi equilibri. Nel frattempo il divario fra le capacità produttive dei paesi sviluppati e quelle delle aree in via di sviluppo diventa notevole non riuscendo la politica ad escogitare metodi efficaci per una compensazione. Sebbene la Rivoluzione verde in Perù non sia stata radicale come per esempio nel Messico, la riforma nelle campagne è stata orientata quasi esclusivamente all'aumento della produzione per l'esportazione, coinvolgendo soltanto produttori medio-grandi e se cambiamento vi è stato esso ha comportato soltanto misure palliative basate sul sostegno alimentare. Non si sono adottate specifiche strategie di lotta alla povertà rurale della sierra, situazione che occulta una serie di aspetti sociali.

 Le politiche agricole inadeguate

Il settore agricolo ha subito negli ultimi quattro decenni delle trasformazioni a largo raggio permanenti che non hanno permesso di elaborare un percorso di crescita sostenuta. A partire degli anni '60 si è intrapreso una grande espansione agricola, ma nel 1962 la Riforma Agraria ha portato fluttuazioni produttive e di stagnazione, seguita da una politica che ha privilegiato il coinvolgimento statale nell'attività produttiva. La favorevole risposta all'esproprio delle haciendas non ha migliorato le condizioni di sviluppo industriale e la produzione per milioni di contadini.

Economicamente l'importanza della riforma risiedeva nel tentativo di conciliare la struttura classica di sussistenza con lo sviluppo industriale incipiente, imponendo nuove forme di organizzazione del lavoro, occupazione della terra e insediamento di popolazione.

Nei decenni successivi l'inizio delle attività terroristiche, gli effetti nocivi del fenomeno di El Niño e gli alti livelli di inflazione, lasciarono il paese in una profonda crisi economica con scarse opportunità di investimenti nell'agricoltura. Con il perseguimento di una politica di governo pro-industriale (controllo dei prezzi che favorivano i prezzi degli alimenti nelle città mentre i prezzi di produzione erano elevati), si è aggiunto un'elevata svalutazione aggravata dalla presenza di tassi di cambio multipli e trattamenti tariffari differenziati i cui effetti tracimarono nel contrabbando e nell'abbattimento dei prezzi del cibo di importazione (che in alcuni casi erano già sovvenzionati).

La linea politica economica a partire degli anni '90 ha lasciato che le forze del mercato determinassero lo sviluppo dell'economia nazionale escludendo gli agricoltori fortemente indeboliti e privi delle capacità di negoziazione mercantile. Tale situazione accentuò l'indigenza della popolazione rurale poco o nulla competitiva rispetto ai prodotti d'importazione sovvenzionati. Proseguendo nella disamina delle scelte verso tempi più recenti si riscontra il veto ai sistemi di gestione delle comunità rimpiazzati da comitati di amministrazione e controllo verso una struttura di nuova formazione: l'impresa. Non vi fu una transizione, un passaggio tra un sistema e l’altro, si tolsero dallo scenario due attori chiave: gli anziani (depositari della cultura organizzativa, pianificatrice, di coordinamento dei lavori e di direzione della vita comunitaria) e i bambini (che apprendevano sin da piccoli l'esercizio della responsabilità e il servizio alla comunità).

L'espansione dell'intervento economico e sociale dello Stato sempre più paternalistico e sussidiario appare inefficace e spesso impedisce una reale integrazione sociale. Per Vásquez (2013), bassa copertura o deficit nella copertura, infiltrazione e giustapposizione sono tre problemi persistenti nell'attuazione dei programmi sociali che provocano perdite e dispersione delle risorse economiche a causa di una gestione e di un controllo impropri.

Gli agricoltori esprimono la loro insoddisfazione per la gestione dei programmi sociali Statali considerati inefficienti e gestiti in modo scorretto, poiché vi è poco controllo degli aiuti erogati ai più bisognosi. Rosa, una pastora di Puno ritiene che: “[...] gli aiuti erogati dallo Stato insegnano alle popolazioni rurali l'ozio; i contadini aspettano ogni mese i S/. 100 del programma Juntos che

dovrebbe colmare le necessità delle famiglie bisognose, ma coloro che non hanno bisogno sono lì in attesa dei soldi per comprare il pane e altri prodotti come nelle città [...]” e aggiunge “le persone non sono più povere come una volta, ai contadini non manca nulla perché hanno sempre da mangiare e se gli manca qualcosa vendono un'alpaca, una pecora o una mucca, vendono la lana degli animali o vanno a pesca, invece, li si abitua agli aiuti. Inoltre, questi aiuti non sono utili, per esempio arrivano vestiti che nessuno potrebbe indossare e non soddisfano le reali esigenze della popolazione”. Nella comunità di Soras, un operatore agricolo conferma questa asserzione e dichiara che “le autorità del Comune distribuiscono gli aiuti per favorire i loro familiari, per esempio, ciò che è arrivato per il friaje105 non è stato somministrato ai bisognosi […], tale

situazione ha creato divisionismo nella comunità”. Un'operatrice di Andamarca ribadisce queste considerazioni, “le persone sono diventate inoperose e non vogliono più lavorare nelle loro chacras, aspettano i soldi dei programmi sociali o di aprire i propri negozi”.

Queste testimonianze dimostrano quanto i programmi forniti dallo Stato non abbiano beneficiato le famiglie bisognose e non si siano verificati cambiamenti concreti nel benessere della popolazione.

L'attuale crisi dell'agricoltura e viepiù complessa dovuto dall'introduzione forzata di sovvenzioni dirette e promozione finanziate di entità estere, di Ong, dall'uso inappropriato di tecnologie per l'ambiente andino. Innovazioni, che anche se dettate dalle migliori intenzioni, sono incentrate sulle monocolture, sull'introduzione di tecniche meccaniche e chimiche nelle varie fasi della coltivazione e sulla sostituzione del germoplasma nativo con ibridi o migliorati, concepiti all'interno di un sistema produttivo “moderno”. Una linea di sviluppo che provvede sussidi, promuove varietà migliorate e tecnologie a scapito dell’esperienza tradizionale locale e della biodiversità, non è una politica che appare vicina, aperta, capace di proporre idee, progetti, di stimolare la partecipazione, di offrire nuovi contributi a risolvere emergenze concrete.

 La sottovalutazione delle colture e degli animali autoctoni

L'azione che ha caratterizzato gli anni '60 e '70 era correlata con il concetto di sviluppo, da attuarsi attraverso “fasi di crescita economica” alle quali sarebbe seguito un processo di istruzione diffusa, durante il quale le società più all’avanguardia avrebbero provveduto alla formazione di quelle meno sviluppate. Secondo questo approccio, la conoscenza tradizionale costituirebbe un ostacolo allo sviluppo, perché le culture contadine ed indigene si oppongono al cambiamento e ostruiscono il progresso (Foster, 1962). A partire della Rivoluzione verde, si è avviato una metamorfosi culturale che ha segnato anni di grande sviluppo agricolo inteso essenzialmente come il processo di modernizzazione nel solco del modello “occidentale”. Sotto questo manifesto l'agricoltura industrializzata si è imposta in ogni angolo del mondo al di sopra delle conoscenze locali, viste come arretrate, primitive, inutili.

105 Il friaje dei recenti inverni è un fenomeno di anomalo e d'intenso freddo sperimentato negli ultimi anni, che sta colpendo le capacità delle comunità di sopravvivere nelle punas e soprattutto nell'altopiano. Le temperature scendono talvolta fino a -35°C con gravi conseguenze sulle persone, colpite da ipotermia,

Tale esclusione spazza letteralmente la memoria delle società nel loro rapporto storico con la natura; l'ideologia del progresso, dell'ammodernamento e dello sviluppo si basa sulla pretesa superiorità del “moderno”, del mercato, della tecnologia. Per lungo tempo, “tradizione” si traduceva in “problema” nell'ambito dei ricercatori dello sviluppo e degli antropologi, definizione che marcava atteggiamenti semplici, selvaggi e statici, caricando il termine di valori negativi e non di valori consolidati nell'esperienza secolare.

La visione del mondo meccanicista ha preso il sopravvento soppiantando l'abilità contadina nella sierra e dai diversi gruppi etnici. La cultura tradizionale è stata accusata di scarsa analisi sistematica, di verifica, di evoluzione dinamica, di innovazione, portando a identificarla con la stagnazione e l'arretratezza. Sulla base di questo pregiudizio sono subentrati altri modelli scientifici al sapere tradizionale che era sopravvissuto per secoli come elemento sinergico con le credenze e la visione cosmica dei popoli andini, quale tramite tra la natura e gli uomini con un'elevata capacità di adattamento. Il riduzionismo ha portato alla specializzazione di discipline e ad un'organizzazione sofisticata, trasferendo poi le conoscenze frammentate al mondo della produzione.

Tuttavia nonostante l'imposizione della visione globale, le tradizioni sono comunque sopravvissute e si sono costantemente arricchite per l'interazione dinamica tra comunità e ambiente in trasformazione. L'esclusione della cultura tradizionale e indigena ha ristretto la base delle conoscenze di cui il paese e l'umanità hanno bisogno per affrontare le crisi mondiali. Quella cultura di cui sono portatori le comunità indigene, le donne, i contadini, gli anziani, quella cultura senza la quale si innesca un processo di impoverimento intellettuale di cui l'umanità soffre rendendola più vulnerabile a minacce di vario tipo.

L'erosione dei valori e delle regole consuetudinarie, l'indebolimento delle autorità tradizionali, la migrazione nelle città e i cambiamenti nell'occupazione si accompagnano alla perdita dell'identità e dei valori spirituali anche se considerati spesso arcaici. Dall'altra parte la diversità di espressione della conoscenza è strettamente legata alla biodiversità naturale, la cui marginalizzazione rappresenterebbe una perdita tanto culturale quanto naturale.

 L'introduzione di nuove biotecnologie e le coltivazioni transgeniche

La nuova corrente di pensiero improntata sull'ecologia ha cambiato orientamento in termini di business rivendicando la capacità di risolvere i problemi ambientali attraverso la super-industrializzazione, con l'applicazione estensiva di tecnologia “pulita” in una logica industriale, tuttavia, i limiti di una tutela ecologica affidata al mercato e al profitto appaiono evidenti se si pensa alla biodiversità. Il principio di modernizzazione ecologica pone ai sistemi agricoli problemi più ampi, come la gestione razionale dell'acqua, l'adozione di pratiche agronomiche che riducano l'erosione del suolo, il contenimento dell'uso di fertilizzanti e pesticidi chimici e soprattutto l'introduzione di nuove varietà geneticamente modificate.

Le potenzialità dell'ingegneria genetica per la selezione delle piante coltivate sono, in teoria, considerevoli, e possono risolvere situazioni difficili ed essere ecocompatibili con i diversi agroecosistemi, poiché tali piante sono maggiormente resistenti alla siccità e alla salinità e più adatte ad affrontare i

cambiamenti climatici, tolleranti ai parassiti, soggette a una conservazione più duratura. Si cerca di ottenere ogm più efficienti nel consumo d'acqua e di fertilizzanti, in grado di fissare l'azoto atmosferico, con una maggiore