• Non ci sono risultati.

s1 nuova normalità, nuove patologie

coordinatori

A. Amati (Catanzaro), m. Biondi (Roma)

emergono nuove forme di sofferenza, cambiano normalità e patologie: trasformazioni dal mondo di freud ad oggi

m. Biondi

Sapienza Università di Roma, Policlinico Umberto I

molti si chiedono se il concetto di normalità sia cambiato nella società attuale rispetto al passato e se stiano anche mutando i confini che delimitano questa rispetto alle patologie psichiche. La società occidentale odierna è per molti aspetti diversa da quella dell’epoca in cui vivevano i pazienti studiati da Freud o dai principali psicopatologi di inizio Novecento. Ci sono di- verse novità in campo e per ragionare intorno a queste trasfor- mazioni si possono fare alcune prime osservazioni: in primo luogo, permane la “follia” intesa come manifestazione acuta di perdita della ragione, agitazione, delirio, comportamenti gros- solanamente alterati e crisi emozionali imponenti, rottura con l’equilibrio e l’ordine, manifestazioni di aggressività impulsiva, e così via. In secondo luogo, negli ultimi decenni sono com- parse nuove forme di sofferenza psichica, oltre che forse un’au- mentata prevalenza di alcune; in terzo luogo, per contrasto, vi è un’aumentata tolleranza ed accettazione per comportamenti “diversi”, anormali, in passato ritenuti patologici e da curare. Il primo punto è di rilievo. Sono certamente sempre presenti alcune importanti disturbi psichiatrici descritti fin dall’antichità come ad esempio la ciclotimia e il disturbo bipolare (malattia maniaco-depressiva), i disturbi deliranti e la paranoia, le de- menze, le sindromi psicorganiche e confusionali (si vedano per esempio le descrizioni della “centuria” dei casi di “pazzia” di Vincenzo Chiarugi), ma anche forme di psicopatologia meno drammatiche come l’ipocondria, l’ansia e le fobie, i disturbi della personalità e della relazione (si vedano ad esempio i “temperamenti” descritti fin dalla medicina greca e i “caratteri” descritti in epoca antica da Teofrasto). Resta aperto il dubbio se la schizofrenia esista fin dall’antichità o se sia “comparsa” in tempi recenti. Inoltre pur tenendo conto della disponibilità di nuove cure (farmaci, psicoterapie) l’impatto delle trasformazio- ni sociali e sul ruolo che la complessità della società può avere sui decorsi.

Per quanto riguarda il secondo punto, a fronte di un aumentato benessere materiale e sicurezza sanitaria, sembra emergere una fragilità psichica che colpisce tutte le età, con in testa forme depressive, forme di ansia-angoscia e disturbi “psicosomatici”. Sono emerse anche patologie “nuove”, assenti nei trattati di psi- chiatria di fine Ottocento, come ad esempio l’anoressia, la bu- limia, i disturbi da stress post-traumatico, i disturbi dissociativi, l’ansia sociale, il disturbo da attacchi di panico, i disturbi soma- toformi e stress-dipendenti, i disturbi di personalità borderline e narcisistici, il disturbo del controllo degli impulsi, dipendenze patologiche, il disturbo da iperattività e deficit dell’attenzione; anche l’abuso e la dipendenza da sostanze, l’impiego di so- stanze di sintesi, il poliabuso specie in alcune fasce di età sono

nuovi. Se alcuni di questi sono nuovi, come i disturbi del com- portamento alimentare, altri disturbi esistevano probabilmente anche prima – come il disturbo da stress post-traumatico, ma non erano riconosciuti come patologia. Le nevrosi traumatiche da guerra, ad esempio, sono state oggetto di studio dalla prima guerra mondiale, per avere un riconoscimento pieno nel DSm III dopo la guerra del Vietnam. Per altre patologie ancora, è possibile che vengano diagnosticate di più perché più ricono- sciute – come forse il disturbo ossessivo. Altre forme ancora come quelle psicotiche potrebbero manifestarsi con più facilità a causa di un maggiore stress psicosociale (si pensi ai dimostrati maggiori tassi di diagnosi di psicosi nelle popolazioni all’inur- bamento e immigrate), in parte associate alla maggiore com- plessità organizzativa e di sforzo di adattamento alle richieste che caratterizzano l’attuale mondo sia sociale che del lavoro. In altri casi ancora è possibile che vi sia un misto di effettivo aumento di prevalenza, dovuto anche ad aumento di stress così come aumentata sensibilità per fare diagnosi: potrebbe essere il caso della sofferenza depressiva - legata al maggiore sforzo per essere se stessi e all’altezza – e per cause molteplici. Del tutto nuovi sono anche la definizione autonoma come entità in qualche modo “patologiche” di fenomeni come il burn-out, il mobbing, lo stalking, il bullismo che rinforzerebbero l’idea che questa società abbia riconosciuto come “disturbi” e dato di- gnità autonoma anormale o patologica a comportamenti e stati prima non segnalati.

Esaminiamo meglio il caso della depressione. I sintomi previ- sti convenzionalmente per la diagnosi di episodio depressio- ne maggiore sono listati nel DSm IV ma non riflettono alcuni aspetti. Dati epidemiologici riportano che la depressione è più che triplicata nel secondo dopoguerra rispetto agli anni Trenta e secondo proiezioni dell’OmS orientata a divenire una delle prime fonti di carico di sofferenza insieme a tumori e patologie cardiovascolari intorno al 2020. Resta il dubbio se questa cre- scita sia apparente e dipenda da un affiorare di una sofferenza prima non riconosciuta e diagnosticata, o se sia effettivamente recentemente creata e nuova. Un’altra possibilità che va atten- tamente valutata è la possibilità che sia cambiata la struttura sintomatologica delle depressioni e che vi sia un mutare della struttura della sofferenza depressiva: in passato centrata sulla colpa, la riduzione dell’autostima, su sintomi biologici (ridu- zione della spinta vitale, alterazione dei ritmi circadiani, per- dita di appetito e di peso, come nella “vecchia” depressione endogena), oggi più centrata sul senso di fatica, scontentezza, senso di vuoto, piuttosto che su una reale riduzione della spinta vitale e dell’umore. Questo rimanda al chiedersi quali sono i costi psichici dei mutamenti sociali e strutturali avvenuti dal XIX secolo? Ad esempio un grande cambiamento è stata la stan- dardizzazione dei ruoli e le abilità necessarie per il lavoro alta- mente specializzato, la necessità di conformarsi ad un “tempo” definito in minuti e secondi unico per tutti (i primi orologi non avevano lancetta per i minuti e la sincronizzazione tra orologi

nacque nelle stazioni ferroviarie), mentre è passato in secondo piano il tempo “soggettivo” fondato sui ritmi naturali di luce e buio, il ritmo dell’organizzazione del lavoro basato sul senso di energia o stanchezza? Quali sono i costi psichici dell’urbaniz- zazione e del sovraffollamento delle città, della concentrazione di attività e spazi, della temporizzazione di riposo e vacanze, dell’esigenza di un lavoro che è accettato solo se “realizza”, di sforzi per alte prestazioni continuate in molte attività lavorative competitive, oltre alla “fatica” di dover ricoprire prestazioni at- tese anche in ruoli privati (amore, sesso, famiglia) e nel riposo (vacanze, sport, acquisti, casa, tempo libero)?

Preoccupazioni per la salute ed ipocondriache possono sem- brare aumentate nella società occidentale dove il modello ide- ale di salute è centrato su stretti standard, da cui sono ad esem- pio esclusi l’obesità e il sovrappeso ridefiniti come patologie e non come varianti di uno stato di salute, dove esiste un’alta aspettativa di vita e una promessa di benessere fino a tarda età, piuttosto che accettare il destino di coesistere con la possibilità di malattia e di patologie croniche. Tuttavia, è sorprendente co- me l’allungarsi dell’età media, del benessere materiale e il mi- glioramento della qualità di vita non vanno automaticamente di pari passo con il senso di benessere psichico e della serenità. Le chiavi di lettura sono diverse, complesse, solo alcune riman- dano ad aspetti psichiatrici o psicopatologici. Un punto di rife- rimento fondamentale resta il concetto di “disagio della civiltà” di Freud, che individuò come il costo psichico di questa società fosse ben maggiore di quelle precedenti. In altri termini, l’uo- mo moderno paga la sicurezza che questa società offre con i maggiori costi psichici dati dall’esigenza di adattarsi alle regole di una società più protettiva ma più impegnativa e complessa. Lungo questa linea, è chiaro come al crescere degli standard e delle regole, aumenti anche il numero di persone che non vi stanno dentro o che hanno difficoltà ad adeguarvisi.

Il terzo punto – l’aumentata tolleranza di comportamenti prima ritenuti anormali - sembra in contrasto con l’emergere di nuova sofferenza psichica appena discusso. Alcuni comportamenti de- finiti un tempo patologici e oggetto di cura sono stati “depenna- ti” dall’elenco dei disturbi mentali manuale Diagnostico Stati- stico DSm–IV dell’American Psychiatric Association o dal’Inter- national Classification of Diseases, ICD-10, come ad esempio è stato per l’omosessualità – con il riconoscimento delle coppie gay in molti stati e la possibilità di riconoscere le unioni civili o l’adozione di figli; per alcuni comportamenti sessuali e forme di quasi-perversione, dall’amore di gruppo al sadismo e masochi- smo che sembrano avere più spazio rappresentativo (nel cine- ma, in letteratura, a teatro), nella fantasia ma anche nella vita; l’impronta di permissività, aperta, improntata ad una morale anti-autoritaria; comportamenti problematici nell’adolescenza, comportamenti impulsivi e di tipo aggressivo individuali e di gruppo, l’impiego voluttuario, moderato (la dose a scopo perso- nale), “ricreazionale” di sostanze (come nei rave party), anche con valenze antisociali, comportamenti influenzati dal culto di sé e narcisistici hanno un loro spazio in un’area della normali- tà che sembrerebbe “allargata”. Si è spesso sottolineato che il senso del dovere e il ruolo psichico della colpa sono diminuiti nella società odierna rispetto a quella Ottocentesca; prevarreb- be un relativismo di valori impostato sul desiderio individuale come criterio di norma di ciò che è bene o male, accettabile o riprovevole, sano o patologico; come criterio che organizza i comportamenti e le relazioni l’utile soggettivo è indubbiamente subentrato al principio di un “bene” o “male” oggettivi (definiti

ad esempio da norme religiose o codici sociali) tanto da in- fluenzare anche i contenuti di vari tipi di psicoterapie (come ad esempio alcune psicoterapie cognitive).

Conclusioni: in sintesi, si assiste ad un quadro variegato: da un lato si manifestano – a fianco del persistere di patologie “stori- che” descritte fino dall’antichità - nuove patologie assenti in un trattato di psichiatria dell’Ottocento, dall’altro i confini tra nor- malità e patologia si sono allentati, e diverse condizioni un tem- po ritenute patologiche sono oggi considerate nella norma. Per orientarsi, è utile fare riferimento alla complessità sia dell’indi- viduo come essere biologico e sociale, evitando di basarsi su un solo criterio come quello statistico o di devianza dei compor- tamenti per stabilire se un comportamento è patologico. I cri- teri per definire i confini tra normalità e psicopatologia variano entro certi limiti, con criteri culturali, statistici, antropologici che variano col variare delle epoche, criteri invece come quelli biologico, etologico, della forma e contenuto del pensiero so- no stabili e indipendenti dalle epoche. Ciò che era normale in un uomo del paleolitico continua ad essere “normale” ancora oggi, nel profilo di una continuità di normalità che prosegue nel tempo e assicura l’identità dell’essere umano. I suoi com- portamenti possono variare, generare ridefinizioni, variazioni culturali che, comunque, appaiono rispetto alla maggioranza degli individui.

Bibliografia

Biondi m, La mente selvaggia – Un saggio sulla normalità nei comporta-

menti umani. Roma: Il Pensiero Scientifico 1995.

dal determinismo genetico alla costruzione della mente

E. Boncinelli

Università Vita-Salute S. Raffaele, Milano

Parlando di cervello e di mente si pone sempre il problema di quanto del nostro comportamento, ma anche della nostra idea- zione, dipende da determinanti biologici o sociali, e quanto di- pende dal soggetto. Che cosa poi sia quest’ultimo indipenden- temente dai determinanti biologici e sociali è un altro discorso (Boncinelli E, Di Francesco M. Che fine ha fatto l’io? milano: Editrice San Raffaele 2010).

I determinanti ai quali si fa più spesso riferimento sono l’azione dei geni, l’operato degli ormoni e più in generale l’influenza dell’assetto biologico di ciascuno di noi e i condizionamenti culturali. Non ho la competenza per trattare l’argomento dei condizionamenti culturali, ma per quanto riguarda i determini- smi biologici si può dire che oggi abbiamo raggiunto un certo livello di chiarezza.

Quello che siamo e ciò che facciamo nasce dalla confluen- za di tre fonti di variabilità: i geni, l’ambiente e il caso. Non c’è dubbio che ci sia una componente genetica che deriva dal nostro patrimonio genetico, ma questa, al meglio delle nostre conoscenze attuali, non supera il 35-40% del totale. Non c’è altresì dubbio che una notevole influenza abbia l’ambiente dove siamo vissuti e dove viviamo e gli eventi ai quali siamo andati incontro fin dal giorno dalla nostra nascita: in sostanza la nostra biografia. Le due componenti, quella genetica e quella biografica, insieme non coprono però mai il 100% della varia- bilità. Occorre quindi postulare l’esistenza di una terza fonte di

variabilità che, in mancanza di una determinazione migliore, possiamo imputare all’azione del caso. Questo agisce prevalen- temente durante lo sviluppo, ma il suo operato è poi presente per tutta la vita. Questo spiega la notevole diversità fra parenti e anche fra individui geneticamente molto simili e ci fornisce quel margine di variabilità che ci permette di sfuggire alla ditta- tura dei diversi determinismi.

Bibliografia

Boncinelli E. Mi ritorno in mente. milano: Longanesi 2010.

Mutamento sociale e nuovi comportamenti

F. Mignella Calvosa

Centro Studi Scenari Urbani, Facoltà di Giurisprudenza, LUMSA, Roma

Affrontare l’analisi di nuovi comportamenti, prendendo le mos- se dall’analisi del mutamento sociale in atto, significa affrontare l’analisi della complessità contemporanea prendendo coscien- za dell’insufficienza delle teorie analitiche pure ed elaborare, per quanto possibile, un approccio olistico e globale per affron- tare problemi reali.

L’interdisciplinarietà insita in questo approccio costituisce un tentativo di superare i limiti propri di ciascuna disciplina per in- tegrare competenze e conoscenze a disposizione dei ricercatori che permettano di cogliere le strutture profonde dei fenomeni, nel tentativo di trovare spiegazioni.

Per comprendere la realtà sociale che ci circonda è necessario, dunque, operare una ricomposizione critica delle conoscenze settoriali della realtà, come premessa per scelte dirette a miglio- rare le condizioni di vita delle persone.

In questa relazione si cercherà di comprendere come le trasforma- zioni sociali in corso incidano sui comportamenti degli individui, in particolare dei giovani, che sono investiti da flussi comunicativi intensissimi e continui senza avere il tempo e le capacità di elabo- rare interpretazioni e ancora meno approcci valutativi.

Ci sono ambiti della società in cui si articola la realtà quotidia- na, che aprono spazi a comportamenti “critici” e che implicano una riflessioni in termini di comprensione dell’agire sociale che li sottende. Velocità, mancanza di tempo, deficit di confronto, im- pazienza, impero della forma sul contenuto, dell’agire sul dire: tutte sfere che danno vita a nuovi “alfabetismi” (o analfabetismi?) emotivi e relazionali, sempre più spesso costruiti ed esperiti con pratiche virtuali in spazi virtuali. D’altra parte, cambia anche nel- la società contemporanea la comprensione e l’uso dello spazio oltre che del tempo. I territori in generale, e le città in particolare, cambiano proprio perché a questi si aggiunge (ma, anche e po- tenzialmente, si sovrappone) uno spazio che non è quello reale che li delimita geograficamente, ma quello virtuale, modificando in profondità il rapporto che intercorre fra lo spazio e gli indivi- dui. E se lo spazio può essere annullato perché sovrapponibile, anche il tempo si piega all’intrecciarsi di relazioni comunicative. E tutto ciò si traduce in nuovi comportamenti.

esistenze incompiute tra narcisismo e dipendenza

A. Amati

Università Magna Græcia di Catanzaro

introduzione: insoddisfacente risposta alle terapie e recidi- vità pseudociclica non sono infrequenti tra le depressioni problematiche del giovane adulto. Con la destabilizzazione affettiva piuttosto che un sottotipo riconoscibile di disturbo di personalità, si evidenziano spesso tratti disturbati “trasver- sali”, che hanno significati differenti nei singoli disturbi del cluster B.

le dimensioni base: narcisismo e dipendenza sono due dimen- sioni che si trasformano nella evoluzione della mente e nello sviluppo dei comportamenti maturi. Il persistere di strutture narcisistiche precoci e di tratti dipendenti si riflette sul profi- lo soggettivo ed interpersonale dell’identità. Le reazioni non costruttive alle contrarietà rivelano grandiosità onnipotente, sfiducia e competitività verso gli altri e favoriscono l’insoddi- sfazione e lo scompenso depressivo. L’ipervigilanza allertata viene percepita come ingiustamente controllante ed induce comportamenti difensivo-aggressivi da parte dell’altro. Per Ker- nberg, tale funzionamento esprime la discrepanza tra bisogno superficiale di conferme e disprezzo profondo verso gli altri. La dipendenza negata è un altro elemento chiave d’instabili- tà esistenziale con manifestazioni impulsivo-esplosive, bassa autostima, difese distruttive in presenza di sentimenti avvertiti come minacciosi perché incontrollabili sono elementi di con- tiguità con il disturbo borderline. L’enfasi sull’autosufficienza e la scarsa empatia sono invece vicini allo stile interpersonale dell’antisociale. L’intolleranza all’indifferenza ed al rifiuto, con reattività di umiliazione rabbiosa si pongono in continuità con l’istrionico. L’arroganza comportamentale di una falsa e inap- propriata intraprendenza autoaffermativa può coesistere con un interessamento umano fittizio, che si trasforma in distruttività di annientamento improvvisa.

Conclusioni: la prevalenza dei disturbi di Personalità del cluster B sembra relativamente stabile ma tra i depressi problematici sono frequenti tratti inadeguati della personalità che si colle- gano al narcisismo ed alla dipendenza. Si tratta spesso persone con intelligenza vivida ma dispersiva che non accettano le re- gole o fingono di accettarle solo per sabotarle, sono ipersensibi- li alle critiche e distruttive nelle scelte comportamentali. Reagi- scono con astioso isolamento alle difficoltà interpersonali, che si costruiscono da soli. La depressione sembra evidenziare un arresto di sviluppo della personalità con crollo “del falso sé” ed incapacità di adattamento costruttivo. L’inconsistenza dell’evo- luzione profonda del sé potrebbe spiegare anche i limiti della farmacoterapia e la resistenza ad accettare una psicoterapia combinata

Bibliografia essenziale

Cloninger CR, A practical way to diagnose personality disorders: a pro-

posal. J Pers Dis 2000;14:99-108

mcGilloway A, Hall RE, Lee T, et al. A systematic review of personality

disorder, race and ethnicity: prevalence, aetiology and treatment. BmC

Psychiatry 2010;10(33).

Widiger TA. Personality disorders diagnosis, World Psychiatry 2003;2:131-8.

Widiger TA. Dimensional models of personality disorders. World Psy- chiatry 2007;6:15-9.

disturbo d’ansia di separazione dell’adulto e lutto complicato in una coorte di 454 pazienti con disturbi d’ansia e dell’umore

S. Pini, C. Gesi, m. muti, m. Abelli, A. Cardini, L. Lari, m. mauri, K. Shear, V. manicavasagar, G.B.Cassano

Dipartimento di Psichiatria, Università di Pisa

introduzione: recenti studi epidemiologici hanno mostrato che il disturbo d’ansia di separazione si presenta più frequente- mente negli adulti rispetto ai bambini. I dati provenienti dalla letteratura suggeriscono che il disturbo d’ansia di separazione dell’adulto (ASAD) può insorgere a seguito di un lutto o di una minaccia di perdita. La ricerca ha dimostrato che le persone che hanno subìto una perdita possono presentare una reazio- ne al lutto clinicamente significativa definita lutto compilato (CG) con importanti ripercussioni sulla qualità di vita dell’in- dividuo. Questo studio ha lo scopo di valutare la relazione tra ASAD e CG in un’ampia coorte di pazienti con disturbi d’ansia e dell’umore.

Metodo: il campione dello studio è costituito da 454 pazienti psichiatrici ambulatoriali con una diagnosi di disturbo d’ansia o dell’umore secondo i criteri del DSm-IV. Per l’assessment diagnostico è stata utilizzata la SCID-I, mentre l’ASAD è stata valutata tramite una versione adattata della Structured Clinical Interview for Separation Anxiety Symptoms (SCI- SAS-adult). I sintomi del lutto complicato sono stati indagati con l’Inventory of Complicated Grief (ICG). Per indagare l’impairment sociale e lavorativo è stata utilizzata la Sheehan Disability Scale (SDS). Infine, gli stili di attaccamento adulto sono stati valutati tramite il Relationship Questionnaire (RQ).

risultati: la frequenza complessiva di ASAD nel nostro cam- pione è risultata del 43%, mentre quella del CG del 23%. Gli individui con CG hanno riportato con maggior frequenza ASAD (56%) rispetto a quelli senza CG (40%) (p < ,005). I soggetti con ASAD e CG hanno ottenuto punteggi più elevati all’ICG ed una più significativa compromissione della qualità di vita, misurata dalla SDS, rispetto ai pazienti con CG senza ASAD.

Conclusioni: il disturbo d’ansia di separazione dell’adulto è presente in un’elevata percentuale di pazienti psichiatrici adulti con lutto complicato. L’associazione tra queste due condizioni dovrebbe essere ulteriormente investigata alla luce delle loro implicazioni cliniche.

ansia di separazione e panico: un modello animale

Outline

Documenti correlati