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s5 il disturbo bipolare nell’arco della vita: aspetti specifici di vulnerabilità

coordinatori

R. Brugnoli (Roma), C. Vampini (Verona) mento scientifico e sia realizzato senza alcuna consapevolezza

circa la sua efficacia o la sua nocività. Nella convinzione che gli interventi in situazioni di disastro debbano essere guidati da evidenze scientifiche, e che il recupero possa essere favo- rito fin dalle prime ore non solo da professionisti della salute mentale ma anche da volontari e operatori in grado di offri- re un supporto psicologico di base, gli Autori presenteranno il modello del “Primo Soccorso Psicologico”. Questo modello di intervento può essere adottato da tutte le figure professionali e volontarie che intervengono in una situazione di emergenza ed è stato strutturato per ridurre lo stress iniziale causato da eventi

traumatici e promuovere il funzionamento adattivo a breve e a lungo termine, favorendo la naturale resilienza di individui e comunità. Può, altresì, essere adottato per sostenere i primi soccorritori e gli altri operatori che intervengono in situazioni di disastro, che devono far fronte ad un pesante carico di soffe- renza psicologica. I principi e le tecniche del Primo Soccorso Psicologico sono: fondati su evidenze scientifiche, applicabili e utilizzabili sul campo, appropriati per le diverse età e sensibili alla variabile culturale. Il modello è già stato sperimentato con efficacia a livello in altre situazioni di disastro a livello interna- zionale come l’11 settembre e l’uragano Kathrina

fenomenologia attuale del disturbo bipolare

A. Koukopoulos

Centro Lucio Bini, Roma

Questa presentazione si limiterà agli stati depressivi misti, argo- mento di grande attualità ed importanza clinica e terapeutica. La Task Force per i disturbi dell’umore nel prossimo DSM 5 dopo avere proposto l’abolizione dell’improbabile “Mixed Epi- sode”, presenta i criteri provvisori di una nuova, per il DSm, forma nosologica: “Mixed Features Specifier” distinta in un tipo di episodio prevalentemente maniacale o ipomaniacale ed un tipo prevalentemente depressivo. Quest’ultimo dovrebbe sod- disfare pienamente i criteri dell’episodio di depressione mag- giore e presentare anche almeno tre di sette sintomi di polarità opposta. Fra questi vengono elencati: umore elevato, espansi- vo, aumentata stima di sé o grandiosità, aumento di energia o di attività finalizzate, aumentato o eccessivo coinvolgimento in attività che hanno un alto potenziale per conseguenze spiace- voli (p. es. eccessi nel comprare, comportamenti sessuali scon- venienti, o investimenti in affari avventati), diminuito bisogno di sonno (sentirsi riposato malgrado dorma meno del solito). Nella realtà clinica nessun paziente che soffre di depressione mi- sta presenta uno di questi sintomi. Inoltre mancano sintomi fonda- mentali come la agitazione psichica, l’agitazione motoria e l’irrita- bilità. Nei precedenti DSm la depressione mista non era presente. Nel nuovo DSm V è profondamente e incredibilmente sbagliata.

il disturbo bipolare nell’adolescenza

R. Brugnoli

Sapienza Università di Roma, Ospedale S. Andrea

Lo studio dei disturbi dell’umore durante l’adolescenza deve prevedere una particolare attenzione in quanto non appare

2. maggiore evidenza di sintomi affettivi (rispetto a quello dell’adulto);

3. condotte a rischio;

4. dipendenza da sostanze d’abuso (stimolanti, alcol); 5. elevato rischio suicidario;

6. alta frequenza di sintomi psicotici;

7. vita caotica e tempestosa, fortemente instabile (BD II).

spettro di decorso dei disturbi dell’umore: dall’episodio singolo alla ciclicità ultradiana

G. Perugi

Istituto di Scienze del Comportamento, Pisa; Dipartimento di Psichiatria, Università di Pisa

Il disturbo bipolare ha morbilità e mortalità elevate; più della metà dei pazienti con episodio depressivo e più dell’80% di quelli con un episodio maniacale presenterà un nuovo epi- sodio durante il decorso della malattia. In alcuni pazienti il decorso del disturbo assume caratteristiche di elevata cicli- cità con numerosi episodi di entrambe le polarità depressive ed espansive. Il decorso a cicli rapidi (RC) rappresenta una modalità evolutiva del disturbo bipolare, caratterizzata dalla presenza di almeno quattro episodi affettivi (mania, ipoma- nia o depressione maggiore) nel corso di un anno; i diversi episodi devono essere distinti da un passaggio sottoforma di viraggio da una fase ad un’altra di opposta polarità, oppure da un periodo di remissione clinica di almeno due mesi. Per quanto riguarda la durata media dei cicli, si distinguono: la forma classica (da tre giorni fino a 12 settimane), ultrarapida (fino a tre giorni) e ultra-ultra rapida o ultradiana (meno di 24 ore); in relazione all’insorgenza si può avere un esordio precoce o tardivo; mentre, in relazione ai fattori precipitanti, si possono identificare le forme spontanee o quelle indotte da farmaci o da agenti non farmacologici. La forma ultradiana ha probabilmente caratteristiche epidemiologiche e cliniche distinte e tende a sovrapporsi a quadri misti, con grande in- stabilità dell’umore. Questi ultimi sono molto comuni in età evolutiva e nei pazienti con uso di sostanze. I RC classici sono una condizione rara nei giovani, nei pazienti con depressione unipolare ed in quelli con uso di sostanze. La prevalenza si aggira da 10 a 20% dei bipolari a seconda delle casistiche, ed il sesso femminile è maggiormente rappresentato (70-90% dei casi); la diagnosi più frequente è disturbo bipolare II, abi- tualmente con un’età d’insorgenza tardiva (sopra i 40 anni) e con l’episodio di esordio a polarità depressiva. L’ipotiroidismo ed il ruolo degli ormoni sessuali femminili sono stati chia- mati in causa per giustificare la maggiore prevalenza dei RC nelle donne. Evidenze cliniche suggeriscono che i cicli rapidi potrebbero in una percentuale rilevante di casi essere indotti da farmaci antidepressivi. Il trattamento di elezione dei RC è rappresentato dagli antiepilettici come il valproato e la carba- mazepina. Tra i nuovi antiepilettici la lamotrigina ha mostrato risultati promettenti, come pure l’olanzapina e la quetiapina tra i nuovi antipsicotici. In molti casi resistenti sono utilizzate combinazioni farmacologiche anche se i dati empirici al ri- guardo sono scarsi.

il disturbo bipolare late-onset: peculiarità cliniche

C. Vampini*, F. Nifosì

Dipartimento per la Salute Mentale, Verona; * Scuola di

Specializzazione in Psichiatria, Università di Udine

I più accurati studi epidemiologici condotti indicano una pre- valenza del disturbo bipolare nell’anziano compresa tra 0,1 e 0,4%. La prevalenza del disturbo conosce un progressivo de- cremento dall’età giovanile alla terza età, con il passaggio da un valore di prevalenza di 1,5% nell’età compresa tra i 18 e i 44 anni ad un valore di 0,4% sopra i 65 anni. L’affidabilità degli studi epidemiologici sulla prevalenza del disturbo bipola- re dell’anziano risente degli stessi bias principali dei corrispet- tivi studi condotti sulla popolazione giovane/adulta; in primo luogo la somministrazione di interviste (vis a vis o telefoniche) determina un numero significativo di falsi negativi, soprattutto relativamente al riconoscimento degli episodi ipo/maniacali; in secondo luogo l’applicazione dei medesimi criteri di esclusio- ne, in particolare riguardo la presenza di eventuali comorbilità somatiche, determina una inevitabile diminuzione dei valori di prevalenza in età anziana.

In generale, la maggior parte degli studi presenti in letteratura che analizzano le caratteristiche delle manifestazioni cliniche del disturbo bipolare nell’anziano, mettono a confronto le più consolidate conoscenze in materia riguardo la popolazione gio- vane/adulta con la popolazione più anziana, al fine di far risal- tare differenze o similitudini. Sotto questo profilo non sono state registrate differenze tra i due gruppi circa la durata dei periodi di ospedalizzazione, alla durata delle fasi maniacali e alla pre- senza di episodi misti dell’umore. Differenze significative sono state osservate relativamente alla durata della cosiddetta fase di latenza depressione-mania, ovvero il tempo intercorrente tra il manifestarsi del primo episodio depressivo maggiore e il primo episodio maniacale, che durerebbe circa tre anni nel campione di giovani adulti e ben 17 anni negli anziani. Se l’osservazione clinica suggerirebbe una maggiore presenza si sintomi psicoti- ci, deliri a contenuto persecutorio in particolare e allucinazioni nella popolazione anziana, gli studi condotti riportano una fre- quenza del 64%, del tutto simile a quella osservata nei campio- ni di giovani adulti.

Tra tutte, la discriminante clinica sulla quale la letteratura in- siste di più, quasi a voler introdurre la possibilità dell’esisten- za di due entità nosografiche distinte l’una dall’altra è rap- presentata dall’età d’esordio. In tal modo si può distinguere un disturbo bipolare ad esordio precoce (early onset) da uno ad esordio tardivo (late onset) utilizzando il limite anagrafico convenzionale dei 60 anni di età. Sono circa 12 gli studi che hanno confrontato gruppi di pazienti ad esordio precoce e tar- divo, rilevando una serie di differenze minori e poco replicate. Viceversa il dato più saliente, la differenza pressoché costan- te, che discriminerebbe le caratteristiche cliniche è data dalla maggior frequenza di comorbilità neurologiche nelle popola- zioni di anziani bipolari con esordio tardivo della sintomato- logia. La distribuzione delle età di esordio del disturbo sembra conoscere una distribuzione unimodale, per lo meno se l’ana- lisi si restringe all’età giovane/adulta, con un picco compreso tra i 20 e i 29 anni a seconda delle fonti. Il fattore, fra i tanti, maggiormente confondente riguardo questa tipologia di studi, e le conseguenti conclusioni che ne derivano gli autori, è rap- presentato dalla definizione di esordio, la quale, ovviamente, non è la stessa da studio a studio. Si passa da definizioni, più

scelta da parte del terapeuta di allearsi con i familiari, adeguan- dosi alle loro richieste o al loro modo di vivere. Ne deriva una possibile stigmatizzazione, che può allargarsi al nucleo fami- liare. Non è poi infrequente osservare che i genitori sono più disponibili ad accettare la prescrizione di uno stabilizzatore dell’umore o antidepressivo (che corrisponde ad una diagnosi più accettabile di depressione), piuttosto che un antipsicotico che rimanda ad una diagnosi di psicosi, intesa ora come sino- nimo di malattia mentale di cui vergognarsi o disperarsi per l’incurabilità.

Il terapeuta ha di fronte a sé quindi non un “corpo” o una “mente” (separazione artificiale che ha creato vari guai, Ai- senstein M, 2006) ma un “lui” o una “lei” (Bion, 1985), non- ché un gruppo specifico, con suoi valori esistenziali, ipotesi interpretative della patologia ed attese terapeutiche: pensare ad un farmaco, ad una certa dose, ad una via di somministra- zione non è una semplice prescrizione e l’azione conseguen- MerColedì 16 feBBraio 2011 – ore 11,40-13,40

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