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coordinatori

Qualità di vita come obiettivo degli interventi: modificare le modalità di valutazione e di trattamento

C. Mencacci, G. Cerveri

Dipartimento di Neuroscienze Azienda Ospedaliera

Fatebenefratelli e Oftalmico, Milano

introduzione: il trattamento di numerose patologie psichia-

triche ha subito nel corso degli anni modificazioni rispetto agli obiettivi del trattamento. Se le iniziali modalità di in- tervento, fino agli anni ’60 del secolo scorso, erano di fatto volte al controllo dei comportamenti disturbanti, la maggiore conoscenza dei meccanismi sottesi alla patologia psichica e una maggiore disponibilità di composti attivi ha reso di fatto possibile lo sviluppo di interventi volti al trattamento di sin- goli e diversificati aspetti sintomatologici.

Tali modifiche degli interventi hanno spinto sempre più i ri- cercatori e i clinici a identificare specifiche procedure che in modo più significativo erano in grado di modificare l’outco- me della patologia. Si è dunque spostata la misurazione degli esiti da specifici fenomeni psichici a una valutazione globale e spesso soggettiva della qualità di vita percepita dal medico e dal paziente.

Metodi: sono stati valutati pazienti in carico a un CSM per

gravi patologie psichiche con una valutazione globale forni- ta dal medico curante (CGI) e una valutazione soggettiva del paziente sulla percezione della propria qualità di vita (SWB).

risultati: dalla valutazione effettuata emerge che la qualità

di vita è una dimensione non completamente riconducibile alla gravità sintomatologica presentata dai pazienti. Dipende da numerose altre variabili riconducibili al contesto vitale della persona, alla compresenza o meno di patologie fisiche.

Conclusioni: la qualità di vita percepita rappresenta un ele-

mento di notevole importanza negli obiettivi di cura per una persona in trattamento per patologia psichica. Spesso lo psi- chiatra non ha sufficienti elementi culturali per porre la do- vuta attenzione a questo aspetto che dovrebbe essere preso in considerazione quando si definiscono gli obiettivi di un intervento. In questa relazione verranno descritti anche i ri- sultati di una valutazione della qualità di vita degli operatori del servizio di salute mentale.

il benessere soggettivo come obiettivo terapeutico: riflessioni evoluzionistiche

A. Troisi

Dipartimento di Neuroscienze, Università di Roma Tor Vergata

Cosa si aspettano i pazienti affetti da sindromi psichiatriche quando si rivolgono al medico per essere curati? Quali sono gli obiettivi terapeutici che lo psichiatra mira a raggiungere nel trattamento delle varie condizioni psicopatologiche? Que- ste domande sarebbero probabilmente sembrate inappropria- te soltanto dieci anni fa. Attualmente sono invece al centro del dibattito sulla valutazione degli esiti in psichiatria clini- ca. La remissione sintomatologica non viene più considerata l’obiettivo unico dell’intervento terapeutico. Altrettanto im- portanti vengono considerati il ripristino di un normale livello di funzionamento sociale, lavorativo e affettivo così come il ristabilirsi di una condizione soggettiva di benessere. Le im- plicazioni di questo spostamento del fuoco di attenzione sui chiatrici e relativi parenti, amici o conoscenti sono stati

intervistati con la Batteria di Strumenti per l’indagine della QdV (BASIQ) o con il Quick Instrument for Quality of Life (QuiQ).

risultati: persone uscite dall’acuzie sintomatologica continua-

no ad avere punteggi di QdV significativamente più bassi della media della popolazione.

Conclusioni: l’approccio a tipo QdV può costituire un’alterna-

tiva o un’integrazione alla “restitutio ad integrum”. Infatti esso propone un concetto di cura fondato sulla persona nella sua complessità e non semplicemente sui sintomi del disturbo da cui è affetta.

Ha un’applicabilità trasversale a tutta la gamma dei disturbi psi- chici e delle vulnerabilità che vi si possono associare.

Benessere soggettivo e antipsicotici: quale rapporto? G. Di Sciascio

UO Psichiatria Universitaria, Azienda Ospedaliero Universitaria, “Policlinico Consorziale” di Bari

La storia del trattamento farmacologico dei disturbi psichiatrici ha assunto una direzione nuova dal momento in cui al propo- sito di ottenere la migliore gestione possibile del sintomo, si è sostituito quello della migliore gestione del paziente. Questa svolta, che può a prima vista apparire solo concettuale, ha di fatto portato in luce alcuni aspetti della terapia farmacologica connessi alla sua capacità di incidere profondamente sulla qua- lità della vita del paziente, sul suo generale livello di “satisfac- tion” per i farmaci e quindi di compliance alla terapia. La necessità di rendere il paziente l’elemento centrale nella scelta del trattamento si basa sul fatto che i dati presenti in let- teratura evidenziano come il 50-55% dei pazienti psichiatrici presentano una scarsa aderenza al trattamento sia in termini di assunzione irregolare che di sospensione completa.

Risulta, pertanto, evidente come il livello di accettabilità della cura da parte del paziente, costituisce anche un fattore di im- portanza centrale nel determinare la prognosi del disturbo. Per tale motivo la comunità scientifica, soprattutto negli ultimi anni, ha posto particolare attenzione alla possibilità di avvalersi di strumenti standardizzati per valutare il grado di “benessere soggettivo” del paziente in trattamento con talune tipologie di farmaci e in particolare con antipsicotici.

Ciò risulta evidente soprattutto alla luce del fatto che la gran parte di questi farmaci possono presentare effetti indesiderati capaci di incidere in maniera più o meno importante sul livello di “subjective wellbeing”.

D’altra parte, esistono in letteratura un numero crescente di la- vori che evidenziano l’esistenza di differenze apprezzabili tra antipsicotici di vecchia e nuova generazione, in termini di in- cisività degli stessi sulla qualità della vita del paziente e quindi sul suo livello di benessere soggettivo.

Data la scarsità di strumenti di cui la comunità scientifica di- spone per la valutazione del benessere soggettivo, quelli attual- mente disponibili costituiscono, oltre che un interessante argo- mento di studio, una risorsa estremamente preziosa.

Tra questi, uno strumento validato a livello internazionale è la “Subjective Wellbeing under Neuroleptics” (Naber e Lambert 2001).

diversi obiettivi terapeutici (remissione dei sintomi, livello di funzionamento, benessere soggettivo, qualità di vita) sono di carattere pratico e teorico.

Le implicazioni pratiche riguardano fondamentalmente le pro- cedure di valutazione clinica da applicare per valutare i cam- biamenti indotti dalle terapie. Nella presentazione prenderò in esame i dati che sono stati pubblicati su questo tema dagli studi che hanno analizzato l’efficacia dei farmaci antidepres- sivi. La conclusione è che la remissione sintomatologica, il li- vello di funzionamento e il benessere soggettivo sono variabili moderatamente correlate e quindi da misurare indipendente- mente. Le implicazioni teoriche riguardano la definizione di salute e malattie. Nella presentazione affronterò questo tema dal punto di vista della psichiatria darwiniana, discutendo il significato adattativo delle emozioni positive e negative e analizzando criticamente la comune equazione tra benessere soggettivo e salute mentale.

Bibliografia

Troisi A, McGuire MT. Darwinian psychiatry and the concept of men-

tal disorder. Neuroendocrinol Lett 2002;23:31-8.

Troisi A, McGuire MT. Evolution and mental health. In: Friedman HS, editor. Encyclopedia of Mental Health, vol. 2. San Diego: Academic Press 1998, pp. 173-81.

McGuire MT, Troisi A. Evolutionary biology and psychiatry. In: Sadock BJ, Sadock VA, editors. Kaplan & Sadock’s Comprehensive Textbook

of Psychiatry/VII. Philadelphia: Lippincott Williams & Wilkins 2000,

pp. 484-92.

Troisi A, McGuire MT. Psychotherapy in the context of Darwinian psy-

chiatry. In: Gilbert P, Bailey KG, editors. Genes on the couch: explo- rations in evolutionary psychotherapy. Hove, UK: Brunner-Routledge

2000, pp. 28-41.

depressione, cognitività e BPCo: l’efficacia dell’attività fisica nell’ottica di un intervento integrato

L. Crea1, G. Catalfo1, N. Crimi2, T. Lo Castro1, G. Minutolo1, G. Siscaro2, E. Aguglia1

1 AOU Policlinico “G. Rodolico”, Vittorio Emanuele II, Catania, Dipartimento di Biomedicina Clinica e Molecolare, UOPI Psichiatria, 2 Clinica Pneumologica, Università di Catania

I livelli di ansia e depressione nei soggetti con BPCO risultano maggiori non solo relativamente alla popolazione generale ma anche rispetto a pazienti affetti da altre patologie croniche. Stu- di epidemiologici hanno mostrato una significativa correlazio- ne tra attività fisica e salute mentale, evidenziandone l’efficacia, con funzione sinergica alla farmacoterapia e alla psicoterapia. Le linee guida della American Thoracic Society (ATS) e della Eu-

ropean Respiratory Society (ERS), sottolineano a riguardo l’im-

portanza della riabilitazione polmonare per i pazienti affetti da BPCO, sia per gli effetti diretti sulla fisiologia polmonare, con conseguente miglioramento della dispnea, che sulla QOL, con ricadute positive sulla componente timica reattiva, oltre che sul funzionamento socio-relazionale.

Lo studio prevede due valutazioni (prima e dopo il trattamento riabilitativo) in cui si effettuano la visita pneumologica, la vi- sita psichiatrica e la somministrazione di test psicodiagnostici (HAMD, HADS, SF-36, SCL-90, TRAIL, CPM, 15 parole di Rey). Il campione arruolato è suddiviso in due gruppi sulla base del cut off (8) del test HAMD. Il 70% dei casi ha presentato comor- bidità con disturbi depressivi di grado da lieve a moderato, non in trattamento psicofarmacologico.

I dati preliminari evidenziano in questo gruppo un significativo miglioramento della sintomatologia depressiva e della perfor- mance cognitiva.

Bibliografia

Ninot G. Anxiety and depression in COPD: a review. Rev Mal Respir 2011;28:739-48.

Celli BR, MacNee W, and committee members. Standards for the diag-

nosis and treatment of patients with COPD: ATS (American Thoracic Society)/ERS European Respiratory Society) position paper. Eur Respir

Metodi per la valutazione dell’attendibilità

della testimonianza dei minori supposte vittime di abuso sessuale

S. Ferracuti

Unità di Psichiatria, Dipartimento di Neuroscienze, Salute Mentale e Organi di Senso, Sapienza Università di Roma

L’attendibilità della testimonianza dei minori vittime di abuso sessuale è un enorme problema psicologico forense, con pareri che sono spesso basati su valutazioni meramente cliniche che, tuttavia, hanno rilevanti ripercussioni sul giudizio penale o ci- vile concernente questi casi. Questo conduce a feroci confronti dibattimentali, dove è stimato che addirittura il 50% dei pareri siano errati. Diversi specificazioni della Corte di Cassazione sul ruolo dei consulenti, sull’esatto limite dei quesiti e sulle effetti- ve facoltà che il consulente deve valutare non hanno liberato il processo, specialmente quello penale, dal fatto che il parere del consulente del PM, o del perito, spesso introduce nel processo un criterio rispetto alla autenticità del racconto del minore. Il fatto che queste valutazioni siano così squisitamente cliniche è fonte di non poche preoccupazioni da parte di esperti e giuri- sti, dal momento che i limiti del metodo clinico sono ben noti almeno dagli anni ’50 e sono valide sia in quest’ambito, sia in ambiti diversi, come, per esempio, la predizione di pericolosità sociale.

Si presentano qui i risultati di diversi studi relativi: alle metodi- che di intervista dei minori applicate dai consulenti in tribuna- le, alla validazione della scala di Gudjonsson, a quella di Bonn, entrambe metodiche validate per misurare il grado di suggestio- nabilità dei minori e a un confronto tra le stesse.

Infine sono riportati i dati relativi a uno studio di validazione effettuato con la CBCA (Criterion-Based Content Analisis), uno strumento standardizzato di analisi dell’intervista rilasciata da un minore che rende testimonianza, la cui funzione è di discri- minare tra racconti suppostamente immaginati e racconti basati su eventi effettivamente vissuti.

disturbi del controllo degli impulsi F. Carabellese, D. La Tegola

Sezione di Criminologia e Psichiatria Forense, DIMIMP, Università di Bari

La psicopatologia degli impulsi è stata oggetto di crescente in- teresse nella ricerca degli ultimi anni, sia per la necessità di approfondirne alcuni presupposti teorici, sia per impostarne adeguatamente diagnosi e terapia.

La quarta edizione del Diagnostic and Statistical Manual of

la pedofilia

E. Aguglia, N. Avelli, F. Magnano San Lio

AOU Policlinico “G. Rodolico”, Vittorio Emanuele II, Catania, Dipartimento di Biomedicina Clinica e Molecolare, UOPI Psichiatria

Nel DSM-IV la pedofilia rientra nella categoria dei disturbi sessuali e dell’identità di genere, in particolare è inserita nel paragrafo delle Parafilie e indica l’attività sessuale con bam- bini prepuberi; per semplificare Blanchard nel 2010 suggeri- sce come criterio diagnostico unico una storia di atti sessuali che coinvolgano bambini. Il termine “ebefilia” è stato coniato per descrivere la preferenza erotica per giovani adolescenti (tra 11 e 14 anni) e lo stesso Blanchard nel 2009 suggerisce per il DSM-V l’utilizzo del termine più completo di “pedoe- befilia”. Mentre la pedofilia può limitarsi a fantasie e impulsi, i comportamenti pedofilici interessano sia la salute mentale che la autorità giudiziaria. Poco si sa sugli uomini che non hanno ancora commesso abusi sessuali sui minori, ma pos- sono essere a rischio di farlo (potential offenders) e dei fattori che distinguono questi da coloro i quali commettono abusi sessuali su minori che non vengono riferiti alla autorità giu- diziari (Dunkelfeld offenders), i quali rappresenterebbero il target preferenziale per la prevenzione primaria (Schaefer et al. 2010). Un possibile fattore di rischio remoto può essere individuato in una storia di abusi sessuali in età infantile, che trova fattori di rischio secondari che portano all’espressione del disturbo nella comorbidità con altre patologie psichia- triche e nell’abuso di sostanze (Fagan 2002). Joyal et al. nel 2007 hanno dimostrato la presenza di un particolare profilo neurocognitivo dei soggetti pedofili, con una correlazione tra QI ed età dell’abusato. Gli abusi sessuali sui minori possono essere perpetrati, inoltre, da soggetti non affetti da pedofilia e le ragioni perché questo si verifica sono discusse e posso- no comprendere il disturbo di personalità antisociale, l’abuso di sostanze o la mancanza di altre opportunità sessuali (Seto 2008). Fenomeno di recente insorgenza è quello della cyber pedofilia, in associazione con quello della pedopornografia. La frequenza e il tipo di pornografia fruita dipendono dalla personalità del soggetto, per Cohen (2002) in particolare con tratti di personalità compulsivo-aggressivi. L’uso della pedo- pornografia (Kingston 2008) costituisce un fattore di rischio maggiore per l’attuazione di comportamenti di abuso sessuale nei confronti di minori.

giovedì 16 FeBBraio 2012 - ore 16.00-18.00

Sala Pinturicchio

s22 - aspetti problematici tra psicopatologia clinica

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