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sintomi psicotici, inadeguata/assente consapevolezza di malat- tia. La mancanza di insight, a sua volta, è più frequente nei pa- zienti giovani, di sesso maschile, con breve durata di malattia, con episodi psicotici o con disturbo bipolare II. Infine, il rifiuto delle cure è più frequente in caso di comorbidità con abuso di alcol/sostanze o con disturbi di personalità (Perlick et al. 2004). Questi ultimi svolgerebbero un’azione negativa anche indiretta perché correlati a fattori che riducono l’adesione alle cure co- me scarsa perseveranza, abuso di sostanze, inadeguata consa- pevolezza di malattia e rifiuto di un controllo farmacologico dei propri stati emotivi (Colom et al. 2000).
dimensioni psicopatologiche e non adesione alle cure nel disturbo ossessivo-compulsivo
U. Albert, A. Aguglia, G. Maina, F. Bogetto
Dipartimento di Neuroscienze, Servizio per i Disturbi Depressivi e d’Ansia, Università di Torino
Il disturbo ossessivo-compulsivo (DOC) è un disturbo che nella storia è sempre stato descritto, da un punto di vista psicopato- logico, in modo unitario. Tuttavia, soprattutto in anni recenti, è stato riconosciuto che esso presenta una eterogeneità nella presentazione clinico-psicopatologica e che tale eterogeneità, ove riconosciuta e approfondita, può risultare da un lato in una migliore definizione di sottotipi omogenei utili allo studio dei fattori di rischio genetici e ambientali, dall’altro alla migliore definizione di strategie terapeutiche mirate.
In anni recenti si è recuperata una sottotipizzazione per tipo di sintomatologia prevalente, anche in un’ottica dimensionale. Una serie di studi che hanno impiegato una principal compo-
nent analysis hanno identificato 4-5 dimensioni psicopatologi-
che/sintomatologiche nel DOC. Tali dimensioni sintomatologi- che non mutualmente esclusive sembrano caratterizzate dalla attivazione di specifici circuiti cerebrali, pur condividendo il coinvolgimento del sistema fronto-striato-talamo-corticale. L’analisi delle dimensioni sintomatologiche assume rilevanza anche ai fini del trattamento. Studi preliminari sembrano sug- gerire che alcune di esse influenzano negativamente la risposta ai trattamenti, sia farmacologici che cognitivo-comportamen- tali. La presente relazione si propone di riassumere i dati di letteratura circa l’influenza delle dimensioni psicopatologiche su: risposta ai trattamenti farmacologici, risposta ai trattamenti cognitivo-comportamentali e soprattutto adesione o meno ai progetti terapeutici. Verrà integrata dalla presentazione di dati derivanti da studi naturalistici di trattamento.
dimensioni psicopatologiche e non adesione alle cure nel disturbo di panico
G. Perna1 2 3, G. Guerriero1, R. Menotti1, D. Caldirola1
1 Dipartimento di Neuroscienze Cliniche, Villa San Benedetto Menni, Suore Ospedaliere, Albese con Cassano (Como); 2 Faculty of Life Sciences, Health and Medicine, Maastricht University (NL); 3 Miller School of Medicine, Miami University (USA)
Il disturbo di panico di presenta come un disturbo mentale complesso che si caratterizza per numerosi elementi psicopa- tologici che si integrano in maniera variabile da persona a per- ganizzato, l’ansia, la depressione. Gli interventi per migliorare
l’aderenza consistono nell’accrescere la consapevolezza di ma- lattia, informare riguardo la cronicità della malattia e la necessi- tà di una terapia prolungata, coinvolgere il paziente nelle scelte terapeutiche. La scelta del farmaco è un momento critico in cui il medico deve pianificare una strategia che limiti gli effetti col- laterali e procuri una migliore qualità della vita e un benessere soggettivo che può derivare da miglioramenti sintomatologici in caso di insonnia, ansia e depressione. L’uso di antipsicoti- ci depot si potrebbe rivelare utile per potenziare l’aderenza e fornire al medico informazioni attendibili sul dosaggio terapeu- tico assunto, allo scopo di eventuali aggiustamenti posologici o modifiche farmacologiche in caso di ricaduta. Nello studio sull’aderenza dell’Università di Tor Vergata, la terapia farmaco- logica e gli effetti collaterali non sono risultati predittori statisti- camente significativi di non aderenza nel campione di pazienti schizofrenici, i dati di questo studio hanno mostrato inoltre che la presenza di un caregiver affidabile, l’attitudine verso i farma- ci, la dipendenza e l’abuso di sostanze erano predittori statisti- camente significativi di aderenza. Potrebbe essere utile valutare altre dimensioni psicopatologiche, tratti di personalità, stili di attaccamento come predittori di aderenza. Nello studio di Tor Vergata sono emersi dati interessanti relativi a tali dimensioni psicopatologiche nel campione di pazienti bipolari con sintomi psicotici.
dimensioni psicopatologiche e non adesione alle cure nei disturbi bipolari
A. Tundo
Istituto di Psicopatologia, Roma
Una recente revisione della letteratura ha stimato che il 42% dei pazienti con disturbo bipolare rifiuta o interrompe precoce- mente le cure (Goodwin e Jamison, 2007) con ricadute negative in termini di evoluzione della malattia, sofferenza personale e familiare e costi sociali. Se confrontati con quelli relativi alla schizofrenia, a oggi sono scarsi gli studi che hanno valutato le cause della non adesione alle cure nei disturbi bipolari e l’attenzione è stata rivolta principalmente ai potenziali effetti secondari dei farmaci, ai fattori ambientali e alla qualità del rapporto medico-paziente. L’esperienza clinica, invece, inse- gna che l’accettazione/non accettazione delle terapie è condi- zionata anche da fattori individuali, di natura clinica, psicolo- gica e psicopatologica. Per esempio, è osservazione comune che le persone giovani e/o all’inizio della malattia tendono a rifiutare diagnosi e trattamento profilattico, salvo poi cambia- re atteggiamento nel tempo, dopo aver sperimentato ulteriori recidive e relative conseguenze. Jamison et al. (1979) hanno individuato 10 convinzioni alla base del rifiuto di seguire una terapia con sali di litio che, nell’ordine, sono: non tollerare l’idea che il proprio umore sia controllato da un farmaco, non riconoscere di essere euforico, sentirsi depresso, non accettare l’idea di soffrire di una malattia cronica, sentirsi bene e quindi non avere bisogno di farmaci, sentirsi meno interessante agli occhi degli amici, perdere la creatività o la produttività, sentirsi meno interessante agli occhi del partner. Per quanto riguarda le dimensioni psicopatologiche, la non adesione alle cure è risul- tata correlata alla presenza (in atto e/o lifetime) di umore eufo- rico, idee o deliri di grandezza, mania monopolare, mania con
no la persona che soffre per il disturbo di panico a una scarsa adesione o addirittura a un rifiuto verso le cure. Tra le solu- zioni possibili possiamo individuare come centrali una corretta psicoeducazione sul disturbo che deve basarsi su ciò che la scienza dimostra e non su opinioni personali del clinico; l’ap- plicazioni di protocolli basati sulle evidenze scientifiche, l’at- tenzione alle richieste di spiegazione e aiuto della persona con disturbo di panico soprattutto durante le prime fasi del tratta- mento, un’azione sociale per abbattere lo stigma che accompa- gna la malattia mentale e infine, una attenzione attiva all’iden- tificazione e alla gestione degli effetti collaterali secondari. Le dimensioni psicopatologiche della vulnerabilità agli attacchi di panico, dei sintomi residui, dei meccanismi difensivi che si esprimono con l’ansia anticipatoria e l’agorafobia, se non cor- rettamente individuate e restituite al paziente possono costituire un ostacolo determinante per l’aderenza ai trattamenti proposti. sona. Il disturbo di panico è una delle condizioni psichiatriche
a prognosi migliore con una percentuale di remissione clinica molto elevata. Uno degli elementi limitanti il raggiungimen- to di una restituito ad integrum è la scarsa aderenza alle cure che può essere spiegata da diverse ragioni. La tendenza a un peggioramento iniziale della sintomatologia ansiosa durante le prime due settimane di cura induce spesso il paziente a sospen- dere la cura; il timore ingiustificato della tossicità dei farmaci spesso inducono a sotto dosare la terapia farmacologica; La frequente applicazione di interventi psicoterapici senza alcun fondamento sperimentale che scoraggiano il paziente nella pro- secuzione della ricerca di un trattamento efficace; gli effetti col- laterali della terapia farmacologica che colpiscono soprattutto la sfera sessuale e l’aumento di peso e, infine, lo stigma verso lo psichiatra che induce il paziente a rivolgersi in prima battuta a psicologi o neurologi sono alcune delle ragioni che porta-
l’impatto della genetica M. Gennarelli
Sezione di Biologia e Genetica, Dipartimento di Scienze Biomediche e Biotecnologie, Università di Brescia; Unità di Genetica, IRCCS Centro “San Giovanni di Dio Fatebenefratelli”, Brescia
Dopo la recente caratterizzazione del genoma umano, si sono sviluppate tecnologie genomiche sempre più efficienti che oggi permettono di sequenziare l’intero genoma di un individuo in tempi brevissimi e con costi in costante diminuzione. Le applica- zioni di queste tecnologie cambieranno velocemente le strategie di ricerca permettendo molto probabilmente la caratterizzazione della componente genetica delle malattie complesse comprese le patologie psichiatriche. È inoltre probabile che le principali ricadute applicative nella pratica clinica più che alla diagnosi, saranno indirizzate alla personalizzazione delle terapie. Infatti lo sviluppo di specifici test genetici in grado di indirizzare verso la terapia più efficace e sicura rimane l’obbiettivo primario di evidente impatto. Tuttavia anche la risposta ai farmaci psicotropi è un fenotipo complesso dove molti fattori biologici insieme a molti fattori ambientali possono contribuire alla variabilità della risposta. È chiaro quindi che sarà necessario un approccio di un profonda integrazione dell’enorme mole di dati biologici derivanti non solo dalla genomica ma anche dalle altre scienze “omiche” come la “transcrittomica, la “proteomica” “la “metabolomica” e l’”epigenomica” insieme a una caratterizzazione clinica sempre più completa e dettagliata.
il contributo del neuroimaging alla psicopatologia dei disturbi psichiatrici
S. Galderisi
Dipartimento di Psichiatria, Università di Napoli SUN
In ambito psichiatrico gli studi di neuroimaging hanno avuto vari obiettivi: migliorare le conoscenze sulla patofisiologia dei disturbi psichiatrici e dei loro sintomi, fornire nuovi strumenti per la diagnosi e la prevenzione, individuare nuovi trattamen- ti e monitorare gli interventi terapeutici e riabilitativi. Decenni di ricerca hanno consentito di individuare i principali circuiti neuronali coinvolti nella genesi di numerosi aspetti normali e patologici del funzionamento mentale, non sempre fornendo risultati coerenti.
Nel presente contributo saranno illustrati i contributi più signi- ficativi, con particolare riguardo alle allucinazioni uditive, ai deliri e ai sintomi negativi della schizofrenia.
Sarà evidenziata l’importanza di studi recenti che hanno foca- lizzato l’attenzione su costrutti precedentemente inesplorati, quali il “sense of agency” o il senso di sé, nel tentativo di supe- rare i limiti dell’attuale psicopatologia descrittiva alla base dei principali sistemi diagnostici.
venerdì 17 FeBBraio 2012 - ore 11.40-13.40
Sala MaSaccio