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coordinatori

Il campione è costituito da pazienti con disturbi dello spet- tro schizofrenico in accordo ai criteri del DSM-IV-TR. Sono esclusi pazienti con ritardo mentale, patologie neurologiche, epilessia, abuso di sostanze per più di sei mesi.

Lo studio è stato multicentrico; il reclutamento effettuato in servizi territoriali individuati in differenti realtà geografiche. La misurazione delle funzioni cognitive include la valuta- zione di:

• memoria; • attenzione; • funzioni esecutive; • flessibilità cognitiva.

(Lista di Rey; Matrici Attentive di Spinnler; Wisconsin Card Sor-

ting Test; Matrici Progressive di Raven)

La misurazione della metacognizione include la valutazione di: • abilità di TOM e comprensione stati mentali altrui (The Hin-

ting Task, Brune picture sequencing task);

• auto riflessività (Beck Cognitive Insight Scale)

• abilità di comprensione dell’intenzionalità altrui (Irony task). Valutazione psicopatologica generale e dei sintomi della schi- zofrenia:

• PANSS, CGI; • SF36, VGF.

Illustriamo i risultati preliminari di un gruppo di 30 pazienti che sembrano confermare le nostre ipotesi.

trattamento dei deficit della cognizione sociale: uno studio pilota

R. Menichincheri, F. Andronico, S. Carnevale, E. Piccirilli, G. Pacifico, P. Sistopaoli, E. Chiaia, G. Vinci, A. Borriello, A. Balbi

Nucleo Interventi Precoci – DSM ASL/RM D

introduzione: dati di letteratura evidenziano sempre più come

i deficit nella fase di riconoscimento, valutazione ed elabora- zione dell’esperienza emotiva siano specifici non solo della fase cronica della psicosi, ma anche delle fasi prodromica e precoce. Tali deficit sono correlati alla riduzione delle compe- tenze relazionali e a risposte fallimentari alle richieste sociali. L’attenzione rivolta agli aspetti metacognitivi, in particolare a quell’area definita social cognition, sia nell’assessment che nell’intervento riabilitativo, può fornire utili indicatori di de- corso e di esito e, almeno in ipotesi, indicazioni per un tratta- mento socio-riabilitativo mirato.

obiettivi e metodi: l’obiettivo è quello di fornire una specifica

valutazione della cognizione sociale e di proporre un inter- vento clinico che migliori le competenze relazionali di base, in un gruppo di pazienti all’esordio afferenti al Nucleo Inter- venti Precoci della Rete per gli Interventi precoci del DSM della ASL RomaD.

Un gruppo di pazienti è stato valutato attraverso un protocollo meta-cognitivo, basato su due test di riconoscimento visivo delle emozioni e una scala auto compilata per la valutazione del livello di empatia: Penn Emotion Recognition Test, Adult

Eyes Test, Empathy Quotient, in fase T0 pre-trattamento, T1 post-trattamento e T2 follow-up.

Il tipo di intervento, il Laboratorio di Apprendimento Sociale (LAS), ha utilizzato strumenti quali l’analisi narrativa e seman- tica delle storie, l’apprendimento strutturato con modeling, all’incontro con un nuovo paziente. Il questionario, insieme

a uno strumento validato di misura dello stato d’animo (Pro-

file of Mood State, POMS), è stato compilato da un gruppo

di 13 psichiatri, con caratteristiche eterogenee, in occasione di prime valutazioni in setting differenti e, ove possibile, dei colloqui successivi (retest); nelle stesse occasioni, sono stati raccolti dati anagrafici e clinici sui pazienti, formulata una diagnosi clinica e compilata la Brief Psychiatric Rating Scale 4.0 (BPRS).

risultati: sono stati raccolti e analizzati dati relativi a 527

primi colloqui e 60 retest. L’analisi dei singoli item e l’analisi fattoriale hanno consentito la selezione di 46 item signifi- cativi, variabili e riproducibili. L’analisi fattoriale definitiva ha identificato una struttura costituita da cinque dimensioni, dotate, secondo le analisi di affidabilità e di confronto con il POMS, di coerenza interna, riproducibilità e validità conver- gente con le sottoscale del POMS. Infine, le analisi prelimi- nari di varianza hanno mostrato una distribuzione dei gruppi diagnostici rispetto alle singole dimensioni dell’esperienza del clinico coerente con quanto atteso, con dati di significa- tività statistica incoraggianti.

Conclusioni: in conclusione è possibile dire che lo strumento

di valutazione costruito ha mostrato solide proprietà psico- metriche e, apparentemente, una buona capacità di ricostru- ire l’esperienza soggettiva del clinico secondo dimensioni coerenti, articolate e potenzialmente utili ai fini della valuta- zione diagnostica. Un confronto con dati clinici più struttu- rati potrà ridefinire il suo utilizzo, aprendo a potenziali ap- plicazioni in campo clinico, sperimentale e didattico.

schizofrenia e metacognizione

G. Vinci1, A. Balbi1, F. D’Amato2, D. Leonetti1, R. Popolo3

1 ASL Roma/D, 2 Università Federico II, Napoli; 3 AFORPS

La schizofrenia è un disturbo complesso, cronico e disabilitante che mostra aspetti clinici eterogenei, ad esempio nell’esito a lungo termine. Attenzione particolare si pone, allora, a definire interventi specifici volti a favorire e mantenere la remissione, aiutando il paziente schizofrenico a sviluppare l’accettazione e la consapevolezza di sé. In tal senso è importante considerare, nella pratica clinica, le relazioni tra capacità (cognitive e meta- cognitive) e funzionamento sociale (in ambito sociale, lavorati- vo e relazionale) in funzione della qualità della vita.

Dalla letteratura, infatti, emerge un’associazione tra metacogni- zione e altre capacità neurocognitive. Ipotizziamo che la meta- cognizione svolga un ruolo di mediatore tra il funzionamento cognitivo e l’adattamento sociale (Bell et al. in press; Lysaker et al. submitted).

La ricerca si propone di raggiungere i seguenti obiettivi:

1. studiare il funzionamento metacognitivo (ToM, riconosci-

mento delle emozioni, comprensione della mente propria e altrui, dell’intenzionalità dell’altro) nei disturbi psicotici;

2. studiare le funzioni cognitive (memoria, attenzione, funzio-

ni esecutive, flessibilità cognitiva) nei disturbi psicotici;

3. studiare le eventuali correlazioni tra funzioni cognitive e

metacognitive e aspetti psicopatologici e di funzionamento sociale;

4. studiare le funzioni cognitive e metacognitive nelle diverse

il riconoscimento emotivo dei volti nel primo episodio psicotico

A. Comparelli1, S. Rigucci1, A. De Carolis2, M.C. Rossi Espagnet3, V. Corigliano1, S. Romano1, R. Tatarelli1 4, A. Bozzao3 4, S. Ferracuti2 4, P. Girardi1 4.

1 NESMOS Department (Neurosciences, Mental Health and

Sense Organs) Unit of Psychiatry, Sant’Andrea Hospital, Rome, Italy; 2 NESMOS Department (Neurosciences, Mental Health and Sense Organs) Unit of Psychologycal Medicine, Sant’Andrea Hospital, Rome, Italy; 3 NESMOS Department (Neurosciences, Mental Health and Sense Organs) Unit of Neuroradiology, Sant’Andrea Hospital, Rome, Italy; 4 School of Medicine and Psychology, Sapienza University of Rome introduzione: il riconoscimento emotivo dei volti è una funzio-

ne neuropsicologica complessa, implicata nella “social cogni- tion”, spesso compromessa nella schizofrenia. Non è ancora stato chiarito se la compromissione del riconoscimento emoti- vo è specifico per alcune emozioni o se è generalizzato; se c’è una relazione fra psicopatologia, funzioni cognitive e anomalie neuroanatomiche. Alcuni studi dimostrano che anche nel pri- mo episodio schizofrenico la performance dei pazienti sui test di riconoscimento emotivo è inferiore alla norma.

Materiali e metodi: per esplorare la relazione esistente fra per-

formance al riconoscimento emotivo dei volti, compromissione di funzioni cognitive secondo il protocollo MATRICS e altera- zioni neuro anatomiche, 19 pazienti al primo episodio di schi- zofrenia e 15 controlli sani sono stati sottoposti presso l’Ospe- dale Sant’Andrea di Roma a valutazione quantitativa morfovo- lumetrica cerebrale mediante RM. È stata condotta una correla- zione statistica fra fattori PANSS, performance ai test cognitivi e di riconoscimento emotivo dei volti e i dati morfovolumetrici.

risultati: i pazienti presentano, rispetto ai controlli sani, una

significativa riduzione di volume dell’area 37 di Brodmann a sinistra; il volume del cervelletto a sinistra è inversamente cor- relato al fattore cognitivo/disorganizzato della PANSS; la per- formance al Trail-Making A e al Wisconsin Card Sorting Test

correla significativamente con i volumi delle aree BA32 e BA28 a destra, (p < 0,005). La performance al riconoscimento emo-

tivo dei volti correla con i decrementi volumetrici del giro pa- raippocampale destro (area BA36) (p < 0,005).

Conclusioni: nel primo episodio schizofrenico la performance

al test di riconoscimento emotivo dei volti è compromessa ri- spetto a quella dei controlli sani e correla con decrementi vo- lumetrici relativi a strutture del lobo limbico, suggerendo un’in- teressante prospettiva sintetica fra ipotesi del neurosviluppo e concezione neobleuleriana della malattia.

role-playing, feed-back, generalizzazione e problem-solving.

Il setting di gruppo ha facilitato un’esperienza di socialità e re- ciproco ascolto, favorendo il rispecchiamento e l’attivazione di parti sane della personalità.

risultati: i partecipanti hanno imparato a modulare le varie

espressioni emotive con maggiore consapevolezza e compe- tenza, gestendo meglio le abilità relazionali. Tali variazioni sono state confermate anche dai risultati dei test.

discussione: i risultati ottenuti hanno avvalorato non solo la

necessità di un intervento di tipo preventivo ma hanno posto le basi per il processo di standardizzazione di un modello di intervento specifico per la metacognizione negli stati mentali a rischio o all’esordio psicotico.

Conclusioni: il modello proposto può contribuire ad ampliare

le conoscenze sulla cognizione sociale nel campo degli esordi psicotici e offrire la possibilità di mettere in atto le più adegua- te strategie terapeutiche e riabilitative, riducendo il rischio di stigma e la cronicizzazione della patologia.

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3. Tra i putativi meccanismi fisiopatologici alla base di tale al- terazione di adattamento potrebbero esservi la sensitizzazione (sensitization) e la progressiva disregolazione dei meccanismi di plasticità neuronale che rappresenterebbero il substrato co- mune di disturbi differenti sotto il profilo categoriale ma con- vergenti in alcuni aspetti fisiopatologici. La sensitizzazione ori- ginariamente descritta in modelli di isomorfismo farmacologico nell’animale da esperimento, può considerarsi nella sua acce- zione pù semplice e riduttiva come una progressiva amplifica-

zione della risposta comportamentale a un specifico stimolo o

noxa al ripresentarsi di quest’ultimo. 4. Multipli meccanismi, neurotrasmettitoriali e molecolari, sono stati invocati per spie- gare le basi neuroanatomofunzionali e molecolari della sensi- tizzazione nelle psicosi e nelle forme di depressione resistente. I risultati di studi convergenti e indicano che meccanismi pre e post-sinaptici dopaminergici e disregolazione delle interazioni cortico-sottocorticali e dopamino-glutamatergiche possono es- sere ipotizzati per spiegare almeno in parte i putativi correlati della sensitizzazione nelle psicosi e nella depressione ricorren- te, suggerendo possibili meccanismi molecolari e recettoriali della resistenza alla terapia. Il ruolo dei meccanismi di modi- ficazione funzionale dei recettori metabotropici (in particolare D2R), la transizione da bassa ad alta affinità degli stessi recetto- ri; ovvero modificazioni della densità dei recettori (Bmax) rap- presento altrettanti meccanismi intracellulari potenzialmente implicati nella resistenza al teattamento farmacologico Nel caso di resistenza parziale a terapia con clozapina è stata valutata l’efficacia dello switch da clozapina a un antipsicotico atipico non utilizzato precedentemente. Nei pazienti più proble- matici ha mostrato parziale efficacia l’augmentation della cloza- pina con benzamidi (sulpiride, amisulpiride), mentre nei casi di estrema resistenza la strategia terapeutica raccomandata consiste in una terapia con il farmaco che ha mostrato maggiore efficacia nel paziente in associazione con interventi di natura psicosociale. Le prospettive della ricerca farmacologica nella schizofrenia si indirizzano verso l’indagine del possibile ruolo patogeneti- co e le relative possibilità di intervento farmacologico a livello del sistema glutamatergico, peptidergico e dei recettori sigma. Questi sistemi interagiscono in varia misura sia con il sistema DA che con il sistema 5-HT. Dati preliminari di ricerca sem- brano infatti indicare che farmaci attivi selettivamente su questi sistemi possano in alcuni casi influenzare in modo favorevole il decorso della malattia.

l’approccio psicofarmacologico M. Amore, S. Baratta, C. Di Vittorio

Università di Parma

Fare il punto sull’approccio moderno alla psicofarmacologia della schizofrenia resistente richiede, come premessa, il chia-

schizofrenia resistente: fattori di rischio e modelli di intervento

E. Aguglia

AOU Policlinico “G. Rodolico”, Vittorio Emanuele II, Catania, Dipartimento di Biomedicina Clinica e Molecolare, UOPI Psichiatria

La schizofrenia è una malattia cronica che affligge circa l’1% della popolazione generale, la cui completa remissione sin- tomatologica rimane un irraggiungibile traguardo per quei pa- zienti che manifestano resistenza al trattamento, definita come la mancanza di sufficienti variazioni sintomatologiche in seguito a un adeguato trattamento convenzionale. A oggi si stima una percentuale variabile dal 20 al 50% di schizofrenia resistente. Tale ampio range sembra giustificarsi per la mancanza di dati atti a distinguere la resistenza propriamente detta dall’inefficacia secondaria a un trattamento inadeguato, in termini di dosaggio, conformità e durata. In ogni caso l’inadeguata o mancata rispo- sta ai trattamenti convenzionali rappresenta un’importante sfida, tanto per il clinico quanto per il ricercatore, anche in relazione alle scadenti prospettive a lungo termine, che non lasciano pre- supporre il reinserimento del paziente nel proprio contesto so- cio-familiare, vero obiettivo di ogni trattamento individualizzato. Prenderemo dunque in esame tutti quei fattori, farmacologici e non, che contribuiscono alla realizzazione di un quadro di schi- zofrenia resistente, al fine di limitarne gli eventuali rischi derivati.

neurobiologia della risposta e della resistenza

al trattamento con farmaci psicotropi: focus sulle psicosi A. de Bartolomeis

Unità di Psichiatria Molecolare e Farmacoresistenza, Dipartimento di Neuroscienze, Università “Federico II” di Napoli

1. Numerose evidenze sperimentali indicano che meccanismi di adattamento patoplastico possono essere ipotizzati nella neurobiologia dei disturbi del tono dell’umore e delle psicosi, particolarmente nelle forme caratterizzate da elevata ricorrenza e resistenza alla terapia. Alterazioni patomorfologiche corticali indicanti morte neuronale (neuronal loss) sono infatti, state de- scritte nella corteccia prefrontale e dorsolaterale di pazienti con disturbo depressivo maggiore (Majikoska et al. 2001; Manji et al. 2009) e ipotizzate in patologie psicotiche (Olney et al. 2002; de Bartolomeis e Iasevoli 2005). 2. La scoperta di neurogene- si discreta in specifiche aree del sistema nervoso centrale dei primati, incluso l’uomo, ha suggerito inoltre la possibilità che eventi avversi e ricorrenti nel tempo possano influenzare tale formazione ex novo di cellule neuronali con conseguente di- sregolazione di circuiti neuroanatomofunzionali rilevanti nella regolazione del tono dell’umore e nelle psicosi.

saBato 18 FeBBraio 2012 - ore 11.40-13.40

Sala tintoretto

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