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concordati, da quelli estranei da pagare integralmente sia pure entro il termine dilatorio oggi concesso dall’art 182 bis, 1 co., l.fall 120 Se ciò comporta

22. Segue: accordi di ristrutturazione.

Come rilevato a proposito dei creditori-soci della società interessata dalla ristrutturazione, le manifestazioni d’assenso dei creditori interni al gruppo danno minori garanzie, almeno in astratto, di una valutazione sincera e ponderata della risanabilità del debitore e delle probabilità di successo del piano198. Cosicché la funzione assegnata dal       

197 SACCHI, Il conflitto, cit., 3138; PRESTI, I crediti, cit., 933 e nt.42 ove riferimenti; contra, LICCARDO,

Sub 177, in Nigro-Sandulli-Santoro (a cura di), La legge fallimentare, 2009, III, 2200. Per ulteriori ampi

riferimenti rispetto all’estendebilità analogica dell’art. 127, 6 co., l.fall. v. SANTAGATA, Concordato preventivo, cit., 24 nt. 51. La giurisprudenza di merito respinge la conclusione indicata nel testo: v. Trib.

Verona, 27 marzo 2013, cit.; Trib. Monza, 2 novembre 2011 e 27 marzo 2012, entrambe consultabili su ilcaso.it.

198 Si pensi al caso nel quale la società in crisi sia la capogruppo. In tal caso è poco verosimile che le

società dominate, sue creditrici, aderiscano all’accordo di ristrutturazione in base ad una valutazione oggettiva, ponderata, sul successo del piano, sulla convenienza di esperire tale tentativo di soluzione della crisi rispetto alle alternative possibili. Piuttosto le dominate aderiranno alla proposta di ristrutturazione dell’accordo perché a ciò indirizzate dalla holding nell’esercizio dell’eterodirezione. Conteggiando i rispettivi crediti nella soglia del 60 %, la funzione per la quale essa è stata prescritta dal legislatore verrebbe, perciò, aggirata o diluita. Il discorso non muta anche se l’accordo riguarda

legislatore alla soglia del 60% verrebbe fortemente sminuita, qualora i medesimi soggetti potessero - per usare un’espressione atecnica, ma efficace - “votarsi da soli” la soluzione stragiudiziale della crisi d’impresa, fino a risultare del tutto aggirata qualora l’importo delle loro pretese fossero sufficienti al raggiungimento della soglia.

Ricorre, inoltre, il rischio che il peculiare rapporto fra le società creditrici e quella in crisi determini l’appropriazione da parte delle prime, nell’ambito delle trattative aventi per oggetto la definizione di una nuova disciplina dei rispettivi rapporti obbligatori, di una posizione di vantaggio egoistico più accentuata rispetto a quella attingibile da un creditore comune e, dunque, potenzialmente, più lesiva delle pretese dei soggetti estranei al tentativo di superamento della situazione di crisi.

Poiché questi sembrano essere i motivi per cui il legislatore ha escluso dal computo della soglia del 60% i crediti dei finanziatori soci “in funzione”, li stessi depongono a favore dell’applicazione di un’analoga regola anche per i crediti vantati da società del gruppo, a cui appartiene anche quella che versa in stato di crisi.

Rispetto al problema in esame non si ignora, naturalmente, che il Trib. di Milano ha recentemente affermato, nel caso degli accordi di ristrutturazione del gruppo Gabetti, la necessità di computare nel calcolo per il raggiungimento del 60% anche i crediti infragruppo (considerandoli sia nel calcolo complessivo dei crediti, sia per il raggiungimento della percentuale richiesta dalla legge)199.

Le argomentazioni addotte dal giudicante per sostenere tale conclusione, tuttavia, non persuadono.

Intanto si afferma nelle pronunce che, nel momento in cui il legislatore ha inteso escludere dal calcolo delle maggioranze alcune categorie di crediti, lo ha fatto espressamente (v. artt. 127, 6 co., e 177, co. 4 e 182 quater, ult. co.). Per questo, siccome niente si prevede riguardo ai crediti infragruppo coinvolti in un accordo di ristrutturazione, dovrebbe trovare applicazione la massima ubi lex voluit, dixit. Così ragionando, non si tiene, però, nella dovuta considerazione che, a prescindere dal suo tenore letterale - anzi anche contro quest’ultimo -, la dottrina largamente prevalente equipara il trattamento dei crediti dei soci a quelli infragruppo200. Quindi non si comprende per quale motivo tale equiparazione debba venir meno ai fini della disciplina dell’adesione all’accordo di ristrutturazione, tanto più che rispetto ai finanziamenti infragruppo si è cercato di evidenziare la sussistenza degli stessi motivi che giustificano       

l’esposizione debitoria di una eterodiretta, perché comunque l’adesione delle società sorelle è comunque etero-determinata dalla capogruppo e da interessi connaturati al rapporto di gruppo, piuttosto che alla migliore regolamentazione della situazione di crisi (si pensi per. es. ad una società che svolga la funzione di polmone finanziario di tutto il gruppo; o che assorba la produzione di alcune società sorelle).

199 Trib. Milano, decr. 11 giugno 2009 e 15 ottobre 2009, leggibili nell’opera di seguito cit.; MOLINARI,

Accordi di ristrutturazione dei debiti ex art. 182 bis l.fall., in Crisi di imprese: casi e materiali, a cura

di Bonelli, Milano, 2011, 71, il quale evidenzia anche che la procura di Milano aveva espresso un avviso opposto a quello fatto proprio dall’organo giudicante.

200 Equiparazione, peraltro, che lo stesso legislatore compie a livello di diritto sostanziale (v. l’art. 2467

c.c. richiamato dall’art. 2497 quinquies c.c.). V. sopra quanto detto circa la prededucibilità accordata al 3 co. primo periodo della disposizione in esame, nella quale i finanziamenti infragruppo non sono, a rigore, menzionati.

l’esclusione dal computo del 60% dei creditori-soci. Comunque sia, peraltro, l’argomento appare superato dall’estensione della portata precettiva dell’art. 177 operata dal d.l. 83/2015.

Il Tribunale di Milano fonda la propria decisione anche sulla natura eccezionale delle limitazioni del voto, per cui quelle espressamente previste non sarebbero suscettibili di applicazione analogica. Anche tale rilievo risulta scorretto, poiché la dottrina specialistica insegna che il divieto di analogia previsto dall’art. 14 disp. prel. c.c. non è assoluto: la disposizione eccezionale può essere estesa a casi simili, che ricadono ‘‘nell’ambito al quale la norma stessa è pertinente; nei confini di questo ambito anche la norma eccezionale può generalizzarsi’’201. Posto che una disposizione eccezionale ha una propria ratio - sia pure eccezionale rispetto alla ratio della disciplina generale derogata -, essa può essere applicata a casi non previsti, per i quali valga lo stesso motivo di eccezionalità che ne ha determinato l’introduzione202.

E tale precondizione pare effettivamente ricorrere anche rispetto al caso, non previsto, dell’adesione dei crediti infragruppo all’accordo di ristrutturazione, se il termine di raffronto è l’esclusione normativa dal computo del 60% dei crediti dei soci.

Non corretta viene considerata, ancora, dal Trib. di Milano la pretesa applicabilità dell’art. 127, 6 co., dettato per il concordato fallimentare, posto che andrebbe semmai richiamato l’art. 177 (che a differenza della norma precedente non dispone alcuna esclusione per i crediti infragruppo), essendo la disciplina del concordato preventivo “più vicina” a quella degli accordi di ristrutturazione203. Ma l’argomento ha perso validità a seguito della nuova previsione aggiunta all’art. 177, 4 co., dal d.l. 83/2015.

Infine il tribunale meneghino adduce quali argomentazioni a sostegno della propria conclusione le previsioni che disciplinano il diritto di voto dei creditori nel concordato preventivo, non avvedendosi che un simile raffronto - come si è evidenziato nella precedente trattazione - risulta inesatto, posto che per l’approvazione di tale procedura concorsuale vige il principio maggioritario, inapplicabile, invece, - per regola generale e salva l’eccezione contemplata nel nuovo art. 182 septies l.fall. per gli accordi con le banche e gli intermediari finanziari - per gli accordi di ristrutturazione.

Se, tenendo conto di questa diversità, si indagano le autonome ragioni sottese all’esclusione normativa dei crediti dei soci “in funzione” dalla percentuale del 60% ex art. 182 bis, 1 co., l.fall., ci si accorge che le stesse appaiono valide anche rispetto al creditore interno al gruppo.

Quanto fin qui rilevato, consente di trarre un’ulteriore conclusione, in linea, peraltro, con quella che si è già prospettata trattando del voto o del computo dei crediti dei soci rispettivamente nel concordato o negli accordi di ristrutturazione.

Siccome l’applicabilità dell’esclusione dal voto o dal calcolo della percentuale del 60% dei crediti infragruppo è stata fondata su argomenti che prescindono dal fatto che gli stessi derivano da prestiti erogati “in funzione”, si deve conseguentemente generalizzare       

201 CARCATERRA, voce Analogia, cit., 10.

202 PORTALE, Rapporti fra assemblea, cit., 3 ss., 29 e nt. 58; BOBBIO, voce Analogia, cit., 603;

GIANNINI, L’analogia, cit., 66; MORTATI, Istituzioni, cit., 338; WINDSCHEID, Diritto, cit., 84, § 29, nt.

3; TARELLO, L’interpretazione, cit., 241 ss.

la stessa regola a tutte le pretese appartenenti a quella categoria, valorizzandone la provenienza da una entità parte di una aggregazione sottoposta ad una comune eterodirezione.

Capitolo III

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